24 aprile 2023

LE OTTO MONTAGNE di Paolo Cognetti




«Il passato è a valle, il futuro a monte. Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa».

La montagna come dimensione del vivere, spazio e tempo favorevole all'incontro, all’amore, all'amicizia quella vera; la montagna specchio delle ansie e paure, dei limiti dell’uomo; la montagna amica e nemica, dispensatrice di tanta bellezza e al contempo di tanto orrore; la montagna generosa che dà con tanto amore e toglie con altrettanta crudeltà. È la legge della natura - che spesso l'uomo dimentica - forse perché la generalizza con quello stesso nome, «così astratto» senza definirla «come bosco, pascolo, torrente roccia, cose che uno può indicare con un dito».

È la montagna a fare da scenario, a questo bellissimo romanzo di Paolo Cognetti, una storia piena di emozioni, sentimenti, e tanta riflessione.

Pietro è un ragazzino di città, timido e solitario, che trascorre insieme ai genitori la lunga pausa estiva a Grana, paese di montagna, alle pendici del Monte Rosa.  È lì che conosce Bruno, suo coetaneo, spronato dalla madre (donna altruista e piena di entusiasmo), condividendo scorribande ed esplorazioni su pendi e ghiacciai ad alta quota. I due cominciano a prendere confidenza l’uno dell’altro fino a trovare una vera sintonia, uniti da una profondo e sincero amore per la montagna.

Il libro si divide in tre parti scandendo i momenti di vita del protagonista, dal cui punto di vista si muove la storia. Nella prima, “Montagna d’infanzia”, domina il rapporto col padre, un uomo «emotivo, autoritario, insofferente», dinamico, instancabile camminatore col desiderio di portarsi dietro il figlio ribelle nella conquista delle vette più alte. La madre invece appare come una donna meditativa,«forte, tranquilla, e conservatrice, che credeva fermamente nella necessità di intervenire nella vita degli altri». In “La casa della riconciliazione”, si assiste al ritorno di Pietro (dopo essersi allontanato da casa nel periodo post adolescenziale), alla presa di coscienza del suo presente attraverso il cammino dei sentieri percorsi un tempo dal padre e dall’intesa che unisce i due giovani nel ristrutturare un rifugio avuto in eredità. Nella terza parte “Inverno di un amico”, si corona invece il profondo rapporto tra i due amici, divenuti già adulti, carichi ognuno del fardello delle proprie scelte.

Una storia di amicizia profonda, di un legame quasi fraterno che dall’infanzia si consolida e irrobustisce nel tempo, attraverso processi paralleli di maturazione e crescita che vedono il loro punto d’incontro (nei momenti critici e importanti delle vite dei due protagonisti) proprio sui pendii della montagna.

È anche una storia di solitudine che la montagna può anche favorire, approfondire, sublimare come per Pietro che al ritorno nel suo rifugio di montagna afferma: «C’era voluto del tempo per abituarmi alla solitudine, farne un luogo in cui potevo accomodarmi e stare bene». Ma è anche grazie a questo isolamento, che riesce a riappropriarsi della propria dimensione, a ritrovarsi, come dice lui stesso: «Ogni volta che tornavo lassù mi sembrava di tornare a me stesso. Al luogo in cui ero io e stavo bene».

Cosa sono le otto montagne? mi sono presto chiesta. Ci viene rivelato oltre la metà del libro. Il titolo si allaccia a una vecchia leggenda del Nepal – luogo in cui Pietro viaggia come reporter – dove le otto montagne sono simbolicamente rappresentate in un mandala. Non aggiungo ulteriori informazioni, per non svelare troppo, se non alcune riflessioni. Chi è più vicino alla verità, colui che viaggia, raggiunge le otto montagne o colui che ne raggiunge solo una, Sumeru (quella al centro) e lì rimane?  Due modi diversi di interpretare e vivere l'esistenza, così come altrettanto diversi e opposti sono Pietro e Bruno nel loro approccio al mondo, divisi ma uniti però dalla stessa passione per la montagna e da un amicizia fedele, profonda che li terrà legati fino alla fine.

Una scrittura accogliente, invitante, limpida proprio come i torrenti di montagna, tersa e pulita come il cielo di alcune giornate estive in altura. Una lettura che ho davvero molto apprezzato, e non solo per l’ amore che anch’io nutro per la montagna, ma per quel modo attento, scrupoloso e delicato con cui l’autore pone l’occhio sul comportamento umano per restituircelo con un’immagine nuova, aperta, chiara, senza alcun giudizio o intenzione. Uno stile che mi ha piacevolmente sorpreso, tanto che ripeterò senz’altro un’altra esperienza letteraria dell’autore, di cui questa era la prima lettura.

 

A.C. 

15 aprile 2023

SLAVA UKRAÏNI - 9 penne contro l’Orco - a cura di Pierfrancesco Prosperi e autori

 


Un tascabile nel vero senso del termine questo libriccino di nemmeno cento pagine che raccoglie ben nove racconti  di autori diversi, a cura di Pierfrancesco Prosperi, tutti apprezzabili e godibili anche se, ahimè, l'argomento non è felice. Come si evince dal titolo (Slava Ukraïni- Gloria all'Ucraina), si parla di guerra tra Russia e Ucraina, il conflitto bellico scoppiato il 24 febbraio del 2022, che tuttora persiste senza tregua. 

Ognuno degli autori, pur rimanendo fedele alla Storia, ne dà un'interpretazione personale, fantastica, ipotetica, adottando il proprio  stile e genere che ben emerge in ogni singolo contributo. Si  spazia così dalle memorie su un diario segreto di una adolescente in un futuro prossimo, a ucronie ucraine in cui la realtà segue percorsi alternativi; da racconti estremamente realistici, processi inconclusi, storie e immagini di sangue, azioni disumane, dove non c'è pietà per la pietà, a storie in cui anche personaggi femminili assumono un ruolo fondamentale (anche se un po' macabro) sullo scenario politico ed economico del conflitto; non manca, per fortuna anche quel barlume di speranza (come negli ultimi due racconti), in cui indirettamente forze aliene o gli uomini stessi possono compiere miracoli, prendendo piena consapevolezza del paradosso della guerra.

Un libro che nella varietà di voci, ci conduce a un’ univoca riflessione e conclusione: non dovrebbe più esistere la  guerra, come tanti oggetti  passati in disuso perché il progresso li ha cancellati (i gettoni telefonici, i rullini fotografici,...),  la più assurda, crudele e stupida espressione fra tutte le capacità e possibilità umane. Continua a stupirmi il fatto che ancora non si sia capito.

 SLAVA UKRAÏNI -9 penne contro l’Orco - a cura di Pierfrancesco Prosperi e autori (Tabula Fati 2022)

12 aprile 2023

LA SETTIMANA BIANCA di Emmanuel Carrère

 


Adoro La settimana bianca, ultima proposta del nostro Gruppo di lettura, riletto davvero con piacere, offrendomi l’opportunità di cogliere altri aspetti importanti della storia, che non avevo focalizzato in prima battuta, trasportata più dal “filo misterioso” della trama, che dai preziosi ricami attorno ad essa.

Emmanuel Carrère ci introduce gradualmente nel mondo del piccolo Nicolas, accompagnato dal padre col proprio mezzo allo chalet di montagna per trascorrere la settimana bianca insieme ai compagni di classe, che invece sono arrivati in pullman. Tutto ciò perché dieci giorni prima un camion si è scontrato con uno scuolabus uccidendo parte della scolaresca e il genitore non ha voluto correre rischi. Soltanto ore dopo il suo arrivo, il ragazzino si accorge che lo zaino con tutto l’occorrente per la vacanza è rimasto nel bagagliaio dell’auto, dando il via a una catena di eventi e problematiche.

Nicolas ci viene presentato (punto di vista in terza persona) come un bambino “particolare”, stravagante, timido, con« la testa fra le nuvole», oppresso dal padre, che decide per lui, che cerca attraverso un’ iperprotezione smisurata di salvaguardarlo da ogni pericolo e frustrazione. Si  avverte subito, che c’è ossessione, qualcosa di patologico, di assurdo se vogliamo, nell’ atteggiamento dell’uomo che si impone alle buone e sagge regole del vivere civile comune, non permettendo al figlio di confrontarsi, relazionarsi stabilire amicizie e accordi, di crescere. Il disagio aumenta man mano che l’autore ci svela altri indizi. Singolare è la poca presenza della madre (e le sue capacità decisionali) di cui ritroviamo il fantasma in sottofondo (anche nella battuta finale) che si proietta come un’ombra, senza mai davvero apparire in carne e ossa.

Potremmo definirlo un romanzo di formazione, non in prima ma in terza persona, dove il protagonista non è un adolescente ma un ragazzino di dieci anni circa. Nicolas sembra uno stupido, ma in realtà ha un mondo interiore così ricco, articolato e con una sua logica, un animo così sensibile e suscettibile, da giustificare ogni sua azione, anche quelle all’apparenza più insensate. Ci si innamora subito di questo bambino così fragile e incompreso, che con le sue sventure riesce a conquistare subito Patrick l’animatore, ricambiato con fiducia e ammirazione. Patrick assume forse il ruolo di figura antitetica del padre (rigoroso, ossessivo, misterioso), con la sua indole solare, allegra, anticonformista, leggera e trasparente.

Anche se l’autore non ci mette in guardia su qualcosa di specifico, si avverte fin dall’inizio un senso di catastrofe imminente, qualcosa che deve accadere e che non sarà niente di piacevole.

Viene sfiorato appena il tema del bullismo, mettendo solo in risalto le coalizioni all’interno del gruppo scolastico, le regole del più forte (Hodkann) che sovverte il più fragile, e del gregge che segue il capobanda nelle buone e cattive azioni.

Da un punto di vista strutturale mi ha entusiasmato la modalità di narrazione. La storia si svolge nel presente, con flashback sul passato (in cui si apprendono notizie chiave sulla famiglia del piccolo Nicolas) e proiezioni future, ma la cosa che ho trovato più originale, è l’ipotesi continua che l’autore fa su ciò che può accadere facendo parlare il mondo immaginario di Nicolas, rendendoci partecipi diretti delle sue fantasie, paure, angosce, fantasmi interiori. Non è solo entrare nel suo punto di vista, vedere il mondo attraverso i suoi occhi, ma penetrare nella sua mente tormentata, nei suoi pensieri, nel suo modo di ragionare e interpretare ciò che accade intorno a lui, nella sua modalità, cioè quella di formulare possibili vicende future, da renderle altrettanto vere e tangibili come quelle reali. È come se la storia si aprisse a infinite storie, estese possibilità, ognuna non meno importante dell’altra.

Anche le descrizioni sono mirabili esempi di ottima scrittura, dove l’autore senza catalogare niente ci dice tutto:«Anche il pullman aveva l’aria di un animale addormentato: cucciolo dello chalet, stretto al suo fianco, che dormiva a occhi aperti coi suoi grandi fari spenti».Così quando descrive le sensazioni del protagonista: «Nicolas aveva l’impressione di ansimare, di correre a perdifiato dentro di sé, sbattendo contro le pareti, e al tempo stesso sapeva che dall’esterno niente di tutto ciò era visibile []; sembrava che gli organi di Nicolas, spaventati, cercassero rifugio il più lontano possibile dalla parete che quelle mani calde e sicure palpavano[]; Nei canali del suo cervello ostruiti dal gelo i pensieri non riuscivano più a circolare[];Combattuto tra il desiderio di riavere le sue cose e il timore di veder tornare suo padre[]; Provava la sgradevole sensazione di essere il nuovo arrivato a cui niente è familiare e che gli altri sicuramente prenderanno in giro».

Un passaggio che ho trovato particolarmente avvincente e tenero nel farci conoscere il ragazzino, è quando uscendo nella notte nevosa, preoccupato per ciò che è accaduto fra le lenzuola, Nicolas si fa coraggio, nell’abitacolo dell’auto di Patrick, paragonandosi alla Sirenetta, che per divenire donna dovrà in cambio perdere la sua meravigliosa voce; anche lui perderà la voce, morirà di freddo. Nella descrizione accurata della metamorfosi del corpo della Sirena ho intravisto la stessa trasformazione che ogni fanciullo o fanciulla dovrà affrontare al momento dell’adolescenza, momento di passaggio critico e fondamentale per ciascun essere umano. Un’altra riflessione che come un’eco mi è più volte tornata indietro, è che Nicolas appare “incosciente” sui fatti che riguardano la sua famiglia ma proprio perché è un bambino sveglio, come lo definisce Patrick, in realtà sembra che abbia intuito molto di più di ciò che pare, avvicinandosi a una verità che non gli è mai stata svelata, ma che nel suo intimo sembra custodire.

La maestria dell’autore è nel sapere mantenere sempre presente “il segreto”, sempre alta la tensione, prolungando la suspence, mettendoci alla fine un delitto inaspettato (almeno per me) che ingigantisce e continua ad animare l’attesa.

Tutto si cela tra le righe della narrazione, all’apparenza semplice e chiara, ma assai complessa, ben architettata: ogni parola ha un peso, un valore, non viene menzionata a caso, ma ritorna con puntualità e significato (il trasloco della famiglia, il braccialettino brasiliano e i desideri annessi, il padre che dorme giornate intere quando torna a casa e che rivolge domande senza senso e memoria…), insomma un complicato e affascinante marchingegno narrativo.

Il capitolo 26 che inizialmente non avevo compreso, trovandolo fuori contesto ai fini narrativi, è quello invece di maggiore spessore a un’analisi più attenta. Nicolas e Hodkann, si incontrano trentenni, quindi nel futuro, dove l’amico non se la passa granché bene e forse col rancore della menzogna e della beffa subita dal piccolo Nicolas, gli si scaglia contro con un coltello affilato. In queste poche righe l’autore ci ha ridato tutta la speranza che sembrava averci tolto nel finale con l’affermazione dell’animatrice sul destino del ragazzino: «Che vita potrà mai avere?» Ecco, qui si ha la rivelazione della redenzione di Nicolas. La sua salvezza è proprio in questa visione futura dove noi lettori possiamo intravedere che il dramma familiare, non ha creato “un diverso”, ma un adulto che riuscirà a condurre una vita ordinaria (la cartella sottobraccio ne rappresenta il simbolo).

Una lettura davvero sorprendente capace di mantenere alta l’attenzione e l’empatia verso il protagonista e i personaggi molto realistici, fino all’ultima pagina. Da leggere assolutamente.

A.C.

La settimana bianca di Emmanuel Carrère (Gli Adelphi 2014)

07 aprile 2023

CANTO DI NATALE di Charles Dickens

 

Davvero un piccolo cammeo questo breve romanzo di Charles Dickens, un prezioso gioiello narrativo che si ammira e apprezza dalla prima all’ultima pagina, un’incisione sottile e profonda che fa emergere la verità sui valori umani, i soli per cui vale la pena di vivere e morire.

 Scrooge è un uomo d’affari, cinico, egoista, animato soltanto dal desiderio di accumulare denaro, indurito dalla sua stessa avidità, ma anche profondamente solo, senza amici, colleghi, familiari al fianco, allontanati nel corso della sua esistenza. Sarà proprio la notte di Natale, come una folgorazione, a cambiare la sua sorte, a redimerlo, a dargli quell’opportunità e speranza di sfuggire a un destino di dimenticanza e oblio. Quale momento migliore del Natale - in cui tutti si vogliono bene, abbandonati antichi odi e rancori, uniti davanti a tavole imbandite più del solito, giocando, ballando, scherzando attorno al focolare insieme ai propri cari - per farlo?

Scrooge «duro e acuto come una selce […]chiuso, controllato solitario come un’ostrica» farà un viaggio fuori e dentro la sua anima, accompagnato da tre spiriti diversi, attraversando i Natali del passato, del presente e del futuro, arrivando finalmente a comprendere ciò che veramente conta nella vita, ovvero i sentimenti di amore, rispetto, solidarietà, carità, clemenza, pazienza, benevolenza verso gli altri. E qui, sta tutta la sua forza di scrittore, ritenuto il fondatore del romanzo sociale, proprio per l’attenzione e la denuncia delle condizioni sociali delle classi più disagiate, abiette, povere del suo tempo, mettendone a nudo la sofferenza, la fame, le difficoltà economiche e di salute.

Non è solo il Natale a regalarci l’incanto fiabesco, ma le atmosfere che fanno da sfondo al racconto, perlopiù cupe, tenebrose, oscure, come a voler mettere ancor più in risalto l’animo privo di luce del protagonista, sempre più solo e distante dalla felicità.

Narrazione ricca di affascinanti e originali descrizioni «Non è facile dire se fossero loro a entrare nella città o se fosse la città a sorgere dal suolo e a circondarli con il suo traffico»; «Vi erano mannelli di grappoli d’uva che, per la delicata attenzione del negoziante, dondolavano dai grossi ganci perché la gente che passava potesse avere gratis l’acquolina in bocca»;  «Gli occhi avevano un che di ansioso, di avido, di inquieto e svelavano la passione che avrebbe preso radici in lui, facevano intuire dove sarebbero cadute le ombre dell’albero che stava crescendo»; «La vecchia campana… battè fra le nuvole le ore e i quarti con rintocchi prolungati e tremuli, come se lassù le crocchiassero i denti nella testa gelata». Altrettanto azzeccate e divertenti le metafore e le similitudini: «Il vecchio Marley era morto come il chiodo di un uscio»; «Nebbia e brina assediavano l’androne della casa in maniera tale da far pensare che il genio stesso del freddo sedesse sulla soglia in cupa meditazione» e quante altre, arricchite da una vena umoristica come se la vita non andasse presa troppo sul serio.

Una lettura davvero amabile, che ci impone con la leggerezza di una favola, a far chiarezza anche dentro noi stessi, a porre ascolto ai nostri fantasmi, a ciò che hanno da dirci, perché non è mai tardi per cambiare strada e rimettersi sul sentiero giusto, quello dell’empatia, condivisione e partecipazione, unica soluzione per essere davvero felici e in pace con sé stessi.

 A.C.

Il Canto di Natale di Charles Dickens (Feltrinelli 2016)

02 aprile 2023

LA SCRITTRICE OBESA di Marisa Salabelle

 

La Scrittrice obesa, è il primo libro che leggo dell’autrice, Marisa Salabelle, consigliata da un’amica. Non poteva che intrigarmi un simile testo, dal momento che anche per me scrivere è una grande passione, unita alla lettura. Copertina e titolo sono assai invitanti: l’immagine della signora piena e abbondante di Tiziano Vercellio nel suntuoso abito porpora è senz’altro un punto a favore del libro, oltre al tema della scrittura, al fascino della letteratura e dell’arte dello “scrivere”.

Susanna Rosso è una giovane donna che ama la scrittura più di ogni altra cosa al mondo, parimenti solo al cibo di cui si nutre in maniera eccessiva e sregolata, tanto da diventare obesa. Orfana di padre, e poi anche della madre, rimane sola nell’appartamento di famiglia, dedicandosi soltanto alla scrittura, producendo racconti, romanzi, riflessioni, lettere a personaggi famosi e case editrici (Mondadori, Woody Allen, Ginzburg, Guccini, Tolkien, Roth, perfino Dio…) senza averne mai una risposta. In quelle lettere si avverte tutta la sua rabbia, l’odio ma anche la presunzione di non essere riconosciuta per quello che invece crede e sente di valere.

Colpisce subito la personalità di Susanna, (di cui seguiamo l’intero percorso di vita, giovane trentenne, donna matura e infine anziana), quel suo modo arrogante e presuntuoso di divorare il mondo (insieme al cibo), mondo che non l’ascolta, che continua a ignorarla nonostante le ripetute sollecitazioni. Ciò fa aumentare tutto il suo rancore, la frustrazione, l’insoddisfazione, che sublima sì scrivendo, ma riempiendosi fino all’ inverosimile di cibo malsano. Nemmeno Lorella, sua amica di infanzia, e suor Consolazione, che cercano di aiutarla, riusciranno a parte sporadici momenti, a farla deviare dalla sua folle discesa verso l’autodistruzione.

Nonostante sia una perdente, vittima di un destino che le rema contro (e quindi soggetto facile all’empatia del lettore), mi è stato difficile simpatizzare con lei, stare dalla sua parte, forse per questo atteggiamento troppo rabbioso, egocentrico, superbo e ostinato che non lascia spazio agli altri. Il suo continuo piangersi addosso e rimpinzarsi di cibo per colmare il vuoto dell’insuccesso, senza prestare ascolto a ciò che accade intorno, rifiutando il rapporto e il confronto diretto con gli altri, non me l’ha fatta amare.

Certo, ciò che Susanna afferma sull’editoria è molto vero, e spesso non basta il talento da solo a dar vita a uno scrittore apprezzato, occorre anche una buona dose di fortuna e conoscenze. Susanna può esserne l’esempio, ma non è certo l’autodistruzione, far terra bruciata intorno a sé, la modalità corretta per risolvere il problema.

In tutta sincerità, il personaggio di Susanna, non mi ha entusiasmato granché. Avrei voluto sentire e capire meglio le motivazioni, i pensieri, i veri sentimenti che ribollivano sotto tutto quel panno di grasso, oltre la rabbia e la frustrazione (sono le uniche emozioni che sono riuscita a percepire) di non riuscire a sfondare in quel talento che solo lei, Lorella e la suora riconoscono. L’ho trovata insomma un personaggio un po’ piatto, e anche la storia, la trama (che per me non è elemento fondamentale) piuttosto uniforme  (in cui si ripetono le continue abbuffate, le ordinazioni del cibo a domicilio, le liti con la vicina di casa…) senza consistenti alti e bassi da creare un ritmo più brioso e coinvolgente. Sicuramente è un mio gusto personale la scrittura più intimistica, quella che approfondisce più la psicologia del personaggio, le emozioni, i tormenti interiori, le paure, i dubbi, le sicurezze… e forse qui non ne ho trovata abbastanza.

La struttura del romanzo è sicuramente interessante e ben impostata, con l’alternanza dei punti di vista (in terza persona onnisciente e in prima persona quando parla Lorella, l’amica), altrettanto l’idea delle epistole o mail ai grandi personaggi (coloro che ce l’hanno fatta) in cui la protagonista esprime tutto il suo risentimento. Assai suggestivi sono i passi in cui Susanna, ormai chiusa nel proprio mondo, isolata da troppo tempo, immersa completamente nella scrittura, comincia a confondere la realtà con la finzione: i due mondi (realtà e immaginario) si fondono, formandone uno solo, unico e vero, ma soltanto per lei. Gli incontri tra Susanna e i suoi personaggi, i quali molto spesso si lamentano con lei per la sorte che ha destinato loro, sono davvero ben costruiti e memorabili. «Perché mi hai fatto i piedi palmati? Si può sapere  cosa ti è saltato in mente?» ,«Il cancro mi sta divorando, ho dolore indescrivibili!»,«Già mi ha dato un cognome assurdo, c’era bisogno che mi facessi venire pure la sclerosi multipla?»,«Sadica!», «Pervertita!», «Assassina!»

La scrittura è fluida, nitida, competente, sicuramente una piacevole lettura, anche se alla fine, per tutte le ragioni anzidette, mi ha lasciato una sensazione di mancanza, quel  vuoto che la protagonista avrebbe senz’altro riempito, con un bel bignè alla crema, o forse due.

 A.C.

La scrittrice obesa di Marisa Salabelle (Arkadia2022)