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25 giugno 2023

NUOTO LIBERO di Julie Otsuka

 



All’inizio non è stata una lettura proprio facile Nuoto libero di Julie Otsuka, scrittrice americana di origine giapponese che non conoscevo, ma dopo il primo incedere claudicante devo ammettere che l’impegno è stato ampiamente ricompensato. È uno di quei libri che ha bisogno di tempo e attenzione per entrare nel mood, un modo concentrato e vigile per abituarsi allo stile dell’autrice, alla punteggiatura, al ritmo della sua scrittura.

Il libro sembra diviso in due parti ben distinte: una prima introduttiva in cui l’autrice descrive e racconta la realtà sotterranea della piscina e dei frequentatori, un mondo colorato di personaggi molto diversi tra loro con la comune passione per il nuoto; e una seconda in cui invece ci introduce nel cuore della storia, focalizzata sulla figura di Alice, settantenne in pensione assidua nuotatrice un tempo, che deve fare i conti con una malattia che inesorabilmente la trasforma.

L’inizio è lento, come se l’autrice ci volesse preparare (ci dà infatti alcuni indizi sul personaggio di Alice senza farne la protagonista) a far ingresso nel mondo gelido dell’oblio, in quella realtà terrificante che cancella pian piano ogni ricordo, affetto, sentimento, personalità. E lo fa con rispetto e discrezione nei suoi confronti, come a volerla liberare da ogni mancanza e colpa.

Un modo delicato e quasi sussurrato di raccontarci la sua storia, attraverso una narrativa ricca di riflessioni, di congetture e pensieri, di aggettivi appropriati, di elenchi lunghi ma calzanti.

Ecco che la piscina, come un’isola, una dimensione a sé, un mondo separato da un sopra (la superficie urbana dove il popolo dei nuotatori si sente “turista”) e un sotto (la superficie sotterranea), diviene il pretesto narrativo per parlare di un modo alternativo di vita, un luogo dove potersi rigenerare e ritrovare l’ equilibrio perduto, una bolla, un rifugio. La piscina come metafora di una vita fuori dal coro, che ognuno può scegliere e costruire seguendo le proprie aspirazioni, peculiarità, desideri e sogni.

Ma in questo nostro impero teso alla perfezione, qualcosa può andare storto, contrario al nostro programma. Una crepa, una ferita può metterlo a repentaglio, destinandolo improvvisamente al crollo, alla fine. La crepa (la fenditura iniziale nella piscina e tutta l’ossessiva attenzione alla quale l’autrice dedica un intero capitolo) non è altro che la minaccia del cambiamento, rappresentando l’anticamera della malattia, quel pertugio dal quale ha inizio la perdita, lo smarrimento delle parole, dei ricordi e infine dei sentimenti.

Privati del nostro mondo, ci troviamo perciò a varcare la soglia del Bellavista, la casa di riposo in cui Alice soggiornerà (altro luogo sicuro, protetto ma non scelto) perché non più in grado di badare a sé stessa. E qui siamo spettatori del suo graduale peggioramento, un cammino in discesa, lento ma inesorabile, un percorso dal quale purtroppo non si torna indietro. Commoventi le parole della scrittrice sulla perdita della memoria, in cui però riesce a togliere tutta l’angoscia e la drammaticità dell’evento, coronandolo addirittura come uno stato di grazia, un livello superiore di coscienza: «Con il passare dei giorni comincerà a dimenticare sempre più cose.[] E a ogni ricordo che se ne va si sentirà più leggera. Presto sarà completamente spoglia, uno spazio vuoto, e per la prima volta nella vita sarà libera. Avrà raggiunto lo stato a cui aspirano i meditatori di tutto il pianeta: esisterà in tutto e per tutto «nel qui e ora».

Altrettanto oggettiva e realistica la spiegazione della malattia: «Alcune informazioni sulla sua malattia. Non è temporanea. È progressiva, incurabile e irreversibile. In ultima analisi è terminale, come la vita stessa.[] Assumere un irrealistico atteggiamento positivo non la fermerà, e anzi potrebbe addirittura accelerare il declino. Anche se non vi sono eccezioni a queste regole. Anche se lei è una persona speciale, il suo non è un caso speciale [] La sua malattia non ha alcun «significato» o «fine superiore». Non è un «dono», né una «prova», né un’occasione di crescita e trasformazione. Non guarirà la sua anima arrabbiata e ferita, né la renderà una persona più buona e compassionevole, meno incline a giudicare gli altri».

Interessante dal punto di vista stilistico, il continuo cambio di persona e del punto di vista che la scrittrice alterna nei capitoli (e forse la difficoltà nella lettura che accennavo all’inizio sta anche in questo). Nel primo e secondo capitolo ad esempio, la narrazione è in prima persona plurale dal punto di vista dei nuotatori; nel terzo usa invece la seconda persona singolare e il punto di vista è onnisciente; nel quarto il punto di vista è l’Istituto stesso mentre è scritto in prima persona plurale; nel quinto il punto di vista è quello della figlia, in seconda persona singolare. Ed è in questo ultimo capitolo, che si capisce l’impronta autobiografica del romanzo: la figlia scrittrice che non ha mai avuto buoni rapporti con la madre, e che si scoprirà più tollerante, clemente, riconciliante nei suoi confronti, stimolata proprio dalla nuova e imprevedibile condizione.

Un libro “meraviglioso” e forte per l’intensità dei sentimenti, magistrale nello stile, dal linguaggio ricercato, preciso e dettagliato (come nei lunghi elenchi mai noiosi), un libro che si termina con un po’ di nostalgia, soddisfatti però di tutto l’impegno dedicato.

A.C.

Nuoto libero di Julie Otsuka ( Bollati Boringhieri2022)