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16 novembre 2025

IL VALORE AFFETTIVO di Nicoletta Verna

 

«Non è che fossi triste: quello che sentivo non era il contrario della felicità, era il contrario della vita»

L’esordio letterario di Nicoletta Verna, è stato davvero una piacevole scoperta: un romanzo dalla scrittura matura, intensa e profondamente consapevole.

La storia narra di una famiglia felice, simile a molte altre negli anni del boom industriale. Al centro, due bambine, Bianca e Stella, unite da un sentimento di sorellanza indissolubile, finchè un evento tragico infrange quell’equilibrio e stravolge per sempre il modello familiare. La morte di Stella lascia un vuoto incolmabile: Bianca rimane sola, la sua vita non sarà più la stessa, tormentata dal senso di colpa e dalla convinzione di avere avuto un ruolo significativo, nella tragedia. Anche gli adulti cedono al dolore: la madre si chiude in una depressione autodistruttiva, mentre il padre sceglie di allontanarsi per rifarsi una nuova esistenza.

La bellezza straordinaria di Bianca, diventa l’ elemento vincente per farsi strada nel mondo della televisione, più per compiacere la madre - ipnotizzata dallo schermo - che per convinzione personale. E qui, il romanzo offre interessanti spunti di riflessione sulla televisione spazzatura, pensata per distrarre, per non far pensare, per trasformare gli individui in consumatori passivi, privati del senso critico e pieni di falsi bisogni. «La merce mira al cuore del consumatore, lo spoglia di ogni artificio finchè non è in preda al desiderio più atavico: un onnivoro senso di possesso».

Nella sua ricerca di equilibrio, Bianca incontra Carlo, un cardiochirurgo affascinante, ammirato da tutte le studentesse dell’Università in cui insegna. Tra i due inizia una relazione di affetto e passione. Lui la adora e Bianca sembra ricambiare con gentilezza e docilità. Ma Bianca ama davvero Carlo? O dietro quel legame si nasconde qualcos’altro? In ogni caso non è la vicenda romantica il cuore pulsante del romanzo: il fulcro è il senso di colpa di Bianca che attraversa ogni sua scelta dando inizio a un percorso di crescita, consapevolezza e accettazione di sé.

 «Qual è il prezzo esatto del senso di colpa? Il valore monetario del valore affettivo?»

La potenza del libro risiede tutta in Bianca, un personaggio di grande spessore, capace di precipitare nell’abisso più cupo, e al tempo stesso, di riemergere con dignità e forza, in un continuo alternarsi di cadute e risalite.

Lo stile dell’autrice è nitido e controllato, ogni frase scelta con cura, il registro sobrio ma emotivamente denso, in cu isi alternano sequenze riflessive a quelle narrative. Il ritmo è vario anche se serrato.

La trama, costruita in prima persona, non segue un ordine cronologico lineare, ma con salti temporali, di scene che, come scatti fotografici, rivelano la storia a poco a poco, lasciando emergere conflitti e interrogativi, spesso senza risposta.

Ho letto Il valore affettivo tutto di un fiato, catturata dalla capacità dell’autrice di “agganciare” il lettore fino alle ultime pagine, soprattutto riguardo la disgrazia che avvolge gran parte della vicenda, svelata solo quasi al termine del romanzo.

La scrittura di Nicoletta Verna dà voce alle emozioni, anche quelle scomode e meno nobili, che fanno comunque parte di noi. Alla fine, ciò che resta è la certezza che il valore affettivo non si misura in colpe, ma nel coraggio di riconoscersi per ciò che si è davvero. 

“Il valore affettivo” di Nicoletta Verna ( ed.Einaudi 2021)


04 novembre 2025

CHIEDI ALLA POLVERE di John Fante

 


CHIEDI ALLA POLVERE di John Fante

«Ho un consiglio molto semplice da dare a tutti i giovani scrittori. Non tiratevi mai indietro di fronte a una nuova esperienza. Vivete la vita fino in fondo, prendetela di petto, non lasciatevi sfuggire nulla».

È la quarta volta che rileggo Chiedi alla polvere, e ogni volta scopro nuove sfumature, dettagli un tempo sfuggiti, capaci di suscitare pensieri e riflessioni inedite. E la cosa più sorprendente è che, al termine della lettura, non rimango mai delusa.

Siamo negli anni Quaranta. Arturo Bandini, un giovane ragazzo di origini italiane, si trasferisce dal Colorado a Los Angeles con il sogno di diventare uno scrittore di successo. Nella polverosa metropoli coltiva la sua ambizione, facendo esperienze nuove, intrecciando relazioni con prostitute - per poi pentirsene subito dopo - conoscendo i coinquilini dell’albergo dove vive, uomini e donne segnati da storie di fallimento, di alcolismo e degrado.

L’incontro con Camilla Lopez, la cameriera messicana del pub che frequenta quando non scrive, segnerà la svolta. Arturo sente di amarla, anche se lei è innamorata di Sammy, il cameriere che invece la disprezza per la sua etnia. Un amore tormentato, un’altalena di sentimenti e passioni dove i ruoli spesso si invertono. Una trama apparentemente comune, una storia di amore non corrisposto, ma che in realtà nasconde molto di più. Non a caso la letteratura di Fante è stata riscoperta e apprezzata, anche grazie a Bukowski, che lo considerava un maestro.

Arturo Bandini è l’ alter ego dell’autore, tanto che potremmo definirlo in gran parte un romanzo autobiografico. Cambiano i nomi, ma nella sostanza c’è lui, John Fante. La vicenda si svolge durante le due Guerre Mondiali, con riferimenti fugaci all’ Europa e a Hitler, ma senza che l’autore insista sugli eventi storici e la loro tragicità. Il suo sguardo è rivolto al conflitto interiore del protagonista, un giovane alle prese con le sue aspirazioni letterarie e le proprie fragilità.

Dietro l’ambizione e l’ arroganza di Bandini, si nasconde una grande umiltà, un animo gentile e comprensivo. Bandini/ Fante è l’ «amico degli uomini  come degli animali», perché conosce la condizione degli emarginati, di coloro che per conquistarsi dignità e reputazione devono lottare con le proprie forze. Lui fa parte di questo popolo. La redenzione degli ultimi, attraverso la tenacia, il sacrificio e anche un po’ di fortuna è la lezione che Fante vuole dimostrare con questa sua grande opera.

Nel romanzo emerge anche una profonda ricerca di spiritualità, radicata nella tradizione familiare dell’autore, spesso incapace di dare risposte ai suoi interrogativi. Bandini patteggia con Dio, lo invoca e lo respinge, combattuto tra fede e scetticismo: « Quale Dio? Quale Cristo? Erano miti in cui avevo creduto un tempo ma ora era fede che mi sembrava mito […] Scendi giù dal tuo paradiso, Dio, scendi che ti spacco la faccia, maledetto buffone […] La Chiesa deve sparire; è il ricettacolo degli stolti, delle canaglie e delle mezze cartucce».

A mio parere, non è la trama, ma lo stile il vero punto di forza del romanzo. La narrazione in prima persona è scorrevole e intimistica, come se fosse il lettore a dialogare con sé stesso. Ma l’alternanza con la terza persona, in alcuni passaggi, rende il ritmo ancora più dinamico consentendo all’autore di osservare il suo protagonista da una certa distanza, restituendolo come un’entità indipendente.

Le descrizioni sono poesia, senza effetti speciali, ma di una bellezza sobria e naturale.

«Quando varcò le porte girevoli, fu come una musica […] La città che si stendeva ai miei piedi sembrava un albero di Natale […] la nebbia si era insinuata ovunque come un grande animale bianco […] I suoi capelli sparsi sul cuscino sembravano inchiostro uscito da una boccetta […] Il suo viso giallastro, in cui solo gli occhi sembravano vivi, mi ricordava una rosa dimenticata tra le pagine di un libro […] Facce sbiadite come fiori strappati alla radice e ficcati in un vaso…», il libro ne è pieno.

Nei dialoghi Fante è un maestro: sono essenziali, vivi, perfetti. Nascondono bene la loro finzione.

È pure evidente nel racconto, la difficoltà - così attuale - di affermarsi come scrittori, di rendersi credibili al mondo e all’editoria, nonostante il talento.

In Arturo si avverte una profonda solitudine, condizione quasi necessaria alla creazione artistica, che lo porta a preferire l’immaginazione all’esperienza diretta dell’amore per Camilla.

La Morte e la malattia, attraversano spesso questo romanzo, argomenti scomodi per un giovane come Bandini, ma che diventano occasione di  consapevolezza e di trasformazione artistica. «Fui sopraffatto dalla consapevolezza del patetico destino dell’uomo […] il male del mondo non era più tale, ma diventava ai miei occhi un mezzo indispensabile per tener lontano il deserto».

Lo stesso deserto da cui arriva la polvere che dà il titolo al libro, riempie ogni scena, ogni passaggio, le strade di L.A, la stanza di Arturo. È  la polvere del Mojave, quel velo dietro cui si cela la verità delle cose, oppure come scrive Fante nell’epilogo, «è una polvere da cui non cresce nulla, una cultura senza radici, una frenetica ricerca di un riparo, la furia cieca di un popolo perso e senza speranza alle prese con la ricerca affannosa di una pace che non potrà mai raggiungere». Parole di grande attualità, che sembrano raccontare la storia odierna, di quelle popolazioni perseguitate in cerca di asilo o di una patria.               

Chiedi alla polvere è un grande libro, un desiderio di appartenenza, un respiro di speranza, di possibilità di sogni che possono realizzarsi.

Una lezione di vita, nella voce di un ventenne: «Diventare un uomo migliore: sempre quella era l’idea di Arturo Bandini, di diventare un grand’uomo, di scrollarsi la polvere della strada, di amare uomini e bestie nello stesso modo»

“Chiedi alla polvere” di John Fante ( ed Einaudi 1982)

25 ottobre 2025

ANATOMIA DELL’IMPROBABILE di Massimo Acciai Baggiani e Renato Campinoti

 


Quando si conoscono gli autori di un libro, la lettura assume un tono diverso, più ricco: le parole non le leggiamo più con la nostra voce, ma con la loro, con il loro timbro, inflessione, ritmo. In questo caso, poi, poichè i racconti sono stati scritti a quattro mani, è affascinante cercare di riconoscere, nei vari passaggi, l’impronta dell’uno e dell’altro autore.

Si può riconoscere la voce leggera, quasi  sussurrata, di Massimo Acciai Baggiani, appassionato di esperanto, che predilige personaggi complessi e problematici, portatori di un ricco mondo interiore, da esplorare, sviscerare, condividere.

Più forte e decisa è invece la voce di Renato Campinoti, che prosegue sulla traccia di Massimo concentrandosi su ciò che ruota intorno ai personaggi: l’ambiente, la dimensione culturale, sociale e soprattutto storica.

È proprio questo connubio, questa integrazione tra uno stile intimistico e uno più attento al contesto collettivo, a rendere le storie accattivanti e originali.

Ventotto racconti brevi, in cui Firenze, la periferia e più in generale la Toscana, fanno da sfondo a queste vicende ora divertenti, ora nostalgiche, sentimentali o cupe.

Navigatori che complottano contro gli automobilisti, scrittori senza idee, personaggi alla ricerca delle proprie origini, segreti familiari, bambini che parlano lingue nuove, storie di amore e di odio; un Renzo Tramaglino catapultato nel Risorgimento, matrimoni tra gatti e umani, sogni di gloria, incubi, visioni, ossessioni, follie, fatalità e menzogne, salti nel tempo e nello spazio.

Il Coronavirus è spesso presente in queste pagine, con la sua forza distruttrice, contrapposta al potere salvifico dei vaccini, una tema che ancora oggi suscita discussione. Non mancano problemi ambientali come i surriscaldamento globale che minaccia la vita sulla Terra, spingendo l’umanità a cercare nuovi mondi da abitare, pianeti dove perfino la sabbia può essere mangiata.

Tradimenti, infedeltà, violenze e anche personaggi letterari, come Anna Karenina, che escono dai libri per criticare la società contemporanea.

Insomma , ce n’è per tutti i gusti, impossibile annoiarsi. Com’è impossibile non riflettere sulla nostra condizione di esseri umani, risultato di una Storia che, forse, non ci ha ancora insegnato abbastanza.

“Anatomia dell’improbabile” di M.Acciai Baggiani e Renato Campinoti ( Gli Elefanti Edizioni 2025)

25 ottobre 2025

30 settembre 2025

IERI di Agota Kristof

 



IERI di Agota Kristof

«Domani, ieri, che vogliono dire queste parole? Non c’è che il presente»

Tobias Horvath è un giovane immigrato che lavora in una fabbrica di orologi. Orfano,porta con sé un passato violento: ha ucciso la madre una donna scellerata costretta a prostituirsi per vivere e ha tentato di fare lo stesso col padre, un uomo benestante che non l’ha mai riconosciuto. Profondamente buono e bisognoso di amore, ricerca Line - il suo ideale di donna - in tutte le donne che incontra, fino a trovarla: si chiama Caroline, lavora nella sua stessa fabbrica, è sposata ed ha una figlia. Inizierà una relazione con lei, costruita sull’ossessione, il possesso e la gelosia. Un rapporto complesso, in bilico tra il reale e l’ossessione mentale ma tanto tangibile e vera nella mente e nel cuore di Tobias, che fa di tutto per conquistare questo amore impossibile.

Un urlo di disperazione, di sogni, di amore e di speranze disattese. La realtà cruda di un uomo emigrato destinato a sognare un mondo inesistente e un amore irraggiungibile, unica fonte di desiderio e ragione di vita.

Scrittura serrata, essenziale, incisiva che rende Agota Kristof una scrittrice memorabile che vale la pena riscoprire.

“Ieri” di Agota Kristof ( ed.Einaudi 1997)

20 agosto 2025

SCONOSCIUTI a cura di Alessandra Cafiero

 

Nato dall’esperienza del laboratorio di scrittura  Officina delle parole condotto con competenza e passione da Alessandra Cafiero, Sconosciuti è il risultato del lavoro di trenta autori che hanno esplorato il tema di ciò che ci appare ignoto, misterioso, mai visto. Ciascun autore, con la propria voce, sensibilità ed esperienza ha contribuito a creare questa poliedrica raccolta, un vero caleidoscopico di storie ricche di creatività, vita ed emozioni.

Famiglia, violenza, amore, sesso, delitti, follia, malattia, adozioni, tradimento, introspezione, emigrazione, speranze, sogni, ambiente…, tante e varie le tematiche, impossibile annoiarsi.  

In ordine di apparizione, Claudia Pieri con una scrittura precisa e melodiosa , celebra la forza dell’immaginazione e il potere della curiosità come valori per una vita piena e stimolante. Laura De Tomasi affronta la violenza femminile restituendo tutta l’ossessione e l’asfissia di un rapporto ormai al capolinea. Poetico il racconto di Lorella Avena che riflette sull’insegnamento, individuando il docente come “albero maestro dalla cui cima si vede la terra”.  Erika Calosi narra invece una vicenda familiare segnata dal dovere e dalla sofferenza, mentre Rossella Bartolomei porta alla luce i “ fantasmi” familiari, che talvolta sarebbe meglio non conoscere.

Cristina Lemmi, racconta l’incontro tra uno scrittore in crisi e un’anziana signora. Due sconosciuti legati da un filo invisibile nella cornice di una stazione. Lucia Morabito affronta il tema dell’adozione, quando l’incontro con estranei diventa un legame inestimabile. Mario Pini, in chiave distopica, mostra come l’amore sappia generare connessioni e superare le paure più profonde.

Giovanna Fusi ci conduce a una cena al buio, tra tensione e seduzione. Sonia Ciapetti ci regala un racconto altrettanto piccante e divertente, dove due sconosciuti vivono una passione ai limiti del reale.

La più giovane delle autrici, Rita Longo, ambienta il suo piacevole e ben costruito racconto in una libreria, mentre il più saggio degli autori, Nuccio d’Alghero, narra un episodio ferroviario in cui persino un controllore sconosciuto può cambiare un destino. Silvana Petrella dà voce a sentimenti ed emozioni attraverso uno scambio epistolare. Pierfrancesco Poccianti non rinuncia a una storia di sangue, densa di suspense e interrogativi.

Molto toccante il racconto di Daniela Boccacci che restituisce vita e dignità a un uomo folle e disagiato di Sesto Fiorentino (che anch’io ricordo) conosciuto da tutti ma in realtà sconosciuto ai più.

Cristina Mugnaini gioca con le sliding doors, Niccoletta Nardini sorprende con una storia di sogni e ideali, Roberta Tassini emoziona con la rivelazione di una nuova verità, Gianna Vitucci racconta di una vita ai margini riscattata da una giustizia finalmente giusta. Antonio Di Rienzo con stile poetico invita a un viaggio interiore alla scoperta dello sconosciuto dentro di noi. Raffaella Ruffini costruisce un intreccio perfetto di tradimenti taciuti, Maria Antonietta Ronzoni racconta l’emigrazione del dopoguerra, promesse e speranze di un futuro migliore, Laura Tredici svela un volto che acquista realtà e autenticità.

Francesca Berlincioni affronta con sensibilità il tema ambientale e il ruolo cruciale dei giovani, Silvia Ciappi parla di due sconosciuti che regalano sogni al mondo, Alessandra Caggiati propone l’approccio sconosciuto come atto di fede e di fiducia, che può portare soluzioni, Sandra Camilleri narra una passione che può trasformarsi in un sentimento profondo. Daniela Bensi racconta un tradimento malriuscito e Antonella Giavino una vicenda del dopoguerra segnata da miseria e ingiustizia in cui la sopravvivenza corrompe i valori umani, trasformando solidarietà e amicizia in silenzi e tradimento. Nel mio racconto, infine, gli sconosciuti sono madre e figlia, divise da conflitti personali e da una malattia neurodegenerativa che ha trasformato la madre in una persona diversa da quella di un tempo.

Dopo questa carrellata di storie spero davvero di aver acceso la vostra curiosità, sia che siate grandi o piccini, lettori appassionati o poco interessati. Le raccolte di racconti hanno questo vantaggio: si possono gustare a poco a poco senza obbligo di sequenza, scegliere ed esplorare a proprio piacimento.

Una lettura che consiglio davvero a tutti, per conoscere gli altri, il mondo attorno a noi e, soprattutto, noi stessi.

“Sconosciuti” a cura di Alessandra Cafiero (ed. I libri di Mompracem 2025)

21 gennaio 2025

BAUMGARTNER di Paul Auster

 

Ultima opera del grande autore americano scomparso appena lo scorso anno, in cui si raccolgono tutte le tematiche della sua scrittura magistrale e calamitante.

Seymour Baumgartner è un ex professore di filosofia, settantenne che vive da solo nella propria abitazione del New Jersey, dopo aver trascorso una vita appagata e felice con sua moglie, Anna Blum, morta dieci anni prima travolta dalle onde dell’Oceano Atlantico, nonostante le sue qualità di esperta nuotatrice. Una donna colta, intelligente, poetessa e scrittrice, di cui S.B si è innamorato già dal primo incontro, contraccambiato a sua volta con lo stesso amore e trasporto.

Un’assenza, che invade l’appartamento – vuoto di figli ma saturo di libri e del comune amore per lo studio, la letteratura, la filosofia, le arti – una perdita che, S.B. descrive bene con la metafora della sindrome dell’arto fantasma, sentendosi adesso «un moncone umano, un mezzo uomo che ha perso metà di sè stesso che lo rendeva intero […] e sì, gli arti mancanti ci sono ancora, e fanno ancora male,così male che a volte gli sembra che il suo corpo stia per prendere fuoco e incenerirsi all’istante».

Una mancanza, che ha anche il sapore della nostalgia, di certe abitudini che al presente non trovano più spazio, perché manca il fuoco che le alimenta, come il ticchettio dei tasti sulla macchina da scrivere di Anna al mattino quando lui ancora sonnecchiava, «tanto che a volte entrava nello studio, si sedeva davanti alla macchina muta e scriveva qualcosa – qualunque cosa – solo per risentirli».

In tutto il libro si assiste all’elaborazione del lutto, attraverso tutte le sue fasi, fino all’accettazione, consapevole che la sua esistenza non sarà più come prima. «Vivere è provare dolore, si era detto, e vivere con la paura del dolore significa non volere vivere». Accettare significa sentire e vivere ancora con quel dolore, ma senza avere più paura.

Il destino, la casualità, le coincidenze affiorano in frasi potenti come queste cercando risposta: «Perché proprio a me? Perché a me no? Le persone muoiono. Muoiono giovani, muoiono vecchie e muoiono a cinquantotto anni».

Non manca la grande domanda e curiosità di cosa ci sia oltre il confine della morte, e qui il protagonista/ autore ce ne dà una bellissima interpretazione attraverso il monologo intenso e commovente di Anna all’altro capo di un telefono che squilla nel cuore della notte. E sarà proprio questa allucinazione/sogno la scintilla che darà inizio alla rinascita, alla speranza e a una nuova possibilità di redenzione, in cui la moglie non è cancellata, ma compresa nel suo nuovo mondo. Una realtà dove ci sarà spazio anche per nuove storie, altre donne, che in molti aspetti gliela ricordano.

Il tempo, dopo l’evento tragico, ha cambiato connotazione per S.B. – Kronos è stato sostituito da Kairos. Per questo ha lasciato il lavoro, per dedicarsi appieno a ciò che gli preme davvero, all’opera filosofica che sta scrivendo “Misteri del volante”, «perché ormai il tempo stringe, e lui non ha idea di quanto gliene resti».

Scritto al presente, dal punto di vista onnisciente, comprende sbalzi temporali senza un filo cronologico, attraverso flashback che in maniera naturale, pertinente e fluente svelano la storia, senza didascaliche narrazioni. Impossibile perdersi o non capire, la chiarezza è un elemento fondamentale della scrittura di Auster.

Non mancano riferimenti concreti all’arte dello scrivere, che ritroviamo nella narrazione sottoforma di racconti, scritti, lettere, commenti che si inseriscono nella trama principale.

Un libro degno del grande Auster col quale chiude davvero in delicatezza e bellezza, una scrittura fluida, stimolante, ben dosata nella gestione delle sequenze – narrativa, dialogica, descrittiva e riflessiva – e che nonostante alcune anticipazioni non perde di colore e pathos.

Una scrittura semplice –  all’apparenza – nitida e forte che abbraccia l’universo intero, gli affetti – padre, madre, nonni, moglie, amanti, amici, colleghi, sconosciuti – l’amore in tutte le sue coniugazioni, i grandi valori e i sentimenti umani, tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta e soprattutto raccontata. Un’opera che sembra farsi sintesi e commiato dell’autore , consapevole del termine del suo viaggio.

“Baumgartner” di Paul Auster ( Einaudi 2023)

15 dicembre 2024

IL TEMPO DI BLANCA di Marcela Serrano

 

“Affinchè tu non mi dimentichi” – titolo originale– ci fa già intuire che è il ricordo la ruota trainante del libro, la memoria col suo potere di mantenere sempre vivo ciò che davvero ha significato, ciò che non dobbiamo scordare, mai.

Blanca, quarantenne attraente dal carattere candido come il suo nome, moglie, madre e figlia, conduce una vita agiata, estranea alla realtà socio politica culturale di un Cile, appena uscito dalla dittatura di Pinochet. Sarà la conoscenza e l’amicizia con Victoria e con Gringo ex perseguitati politici, a determinare la sua sostanziale trasformazione, oltre all’ictus che le toglierà parte della capacità di movimento ma soprattutto la parola. Afasia, il termine clinico. Sceglierà un nuovo linguaggio per comunicare: «Da oggi i miei occhi parleranno per me. E con questi occhi voglio narrare la mia storia».

Un romanzo che si sviluppa come un flusso di coscienza, con la voce e il punto di vista della protagonista Blanca, in un susseguirsi continuo di flashback e flashforward, intercalati anche dalla narrazione in seconda persona di Sofia amica di Blanca.

Una storia senza dubbio ben strutturata dove non mancano gli elementi necessari a una buona narrazione – emozioni, suspence, colpi di scena, cambi di punti di vista, finale aperto, ecc… – e tutte le tematiche esistenziali per definirlo un libro davvero ricco.

Una scrittura fluida, dove la componente riflessiva e interiore – che tanto apprezzo nella letteratura –  predonima e portando di conseguenza il lettore a soffermarsi e meditare sui grandi quesiti o situazioni che la vita ci propone o impone, costringendoci alla trasformazione.

È anche la storia del Cile, post Pinochet. Senza parlarcene in maniera diretta, l’autrice ne coglie gli aspetti più inquietanti e crudeli, descrivendoci appunto le conseguenze, le cicatrici che tale dittatura lasciò in coloro che sopravvissero e “non sparirono”al regime. Attraverso un’espediente assai efficace – narrandolo dal punto di vista di Blanca, una donna che non ha vissuto dentro quella realtà perché appartenente a un ceto diverso – ce lo restituisce con un effetto ancora più stridente. Lo si coglie bene nelle parole del Gringo: «Il dolore è rimasto chiuso nel mio mondo interiore. Questo fa la tortura, Blanca: la morte o l’estraniazione».

Non mancano valori che animano la Storia, le storie…

L’amicizia, soprattutto quella femminile, la solidarietà fra tre donne, Blanca, Victoria e Sofia, così diverse tra loro per estrazione sociale e vissuto, ma unite da una sensibilità e umanità comuni.

 L’emancipazione femminile, frutto di maturità individuale e di evoluzione sociale.

L’amore in tutte le sue sfaccettature: l’amore coniugale, che il tempo deteriora se non sapientemente alimentato; l’amore passionale, quello di Blanca per il suo Gringo, sostenuto da un profondo malcontento e dal suo bisogno di sentirsi ancora amata, desiderata, considerata; l’amore filiale, sentimento primordiale in cui si insinua il conflitto della scelta tra un figlio o l’altro; l’amore universale, quello verso l’umanità tutta, animali e cose, forte peculiarità di Blanca, che costituisce il motore della sua carità verso i deboli, gli svantaggiati, i meno fortunati (motivo per cui conoscerà Victoria e il Gringo).

La famiglia, come radice e struttura di ancoraggio e stabilità che può rappresentare allo stesso tempo un ostacolo alla crescita e all’evoluzione. Apprezzabile il sostegno a Blanca da parte dei fratelli al momento della separazione dal marito. L’infedeltà, interpretata come risposta a una mancanza emozionale di cui una giovane donna sente necessità e urgenza.

La malattia di Blanca è solo una svolta della sua vita, l’imprevisto che cambia e rivoluziona all’improvviso le carte nel gioco, i progetti che perdono il proprio connotato e rimettono in discussione ogni cosa, bloccando la strada a suo tempo pianificata.

E infine a conclusione, il senso della morte , come liberazione da un dolore fisico quanto spirituale ancora più difficile da contenere. La conosce bene Victoria questa sofferenza, tanto da confidare il suo segreto a Blanca, offrendole un’ulteriore percorso, una possibilità che dovrà essere lei stessa a scegliere e intraprendere.

Un romanzo davvero completo.Com’è possibile trattare tante tematiche, tante sfumature emozionali in un una sola trama? mi sono chiesta. Marcela Serrano ci è riuscita, con maestria, senza stancare il lettore, senza impartire lezioni morali, senza condannare o assolvere. In questo, a mio parere sta lo spessore di questa lettura.

Il tempo di Blanca” di Marcela Serrano ( Ed Feltrinelli 1998)

13 novembre 2024

L’ORA DI GRECO di Han Kang

 

Dopo La vegetariana, sapevo che sarei andata incontro a una lettura non facile, ma non avrei mai immaginato di ritrovarmi un testo così articolato, da leggere un po’ alla volta, a piccoli sorsi come una bevanda troppo calda che rischia di bruciarti la gola. Sì, perché ho trovato L’ora di greco un libro assai complesso, almeno nella struttura anche se si deve forse a questa peculiarità parte del merito e della bellezza.

A differenza del libro precedente (dal quale non posso separarmi) che aveva una forma più definita e chiara – perché diviso in tre parti, di cui ciascuna descriveva il punto di vista di un personaggio – qui la struttura invece appare stravolta, perché l’autrice sembra avanzare più per sensazioni che per logica, creando un puzzle di immagini, suoni, profumi, odori e sensazioni tattili legate alle vicende, che il lettore stesso deve essere abile a ricomporre, per seguire la trama delle storie in una Seoul indistinta.

Lo stile è caratteristico e audace. L’autrice si destreggia con maestria passando velocemente dalla terza alla prima persona, per infine inserire anche la seconda persona (nei monologhi del professore con l’amico Joachim Gründel e con la sorella Ran) mantenendo però sempre fermi i punti di vista dei protagonisti.

Due sono i personaggi principali, semplicemente la “donna”e l’“uomo”, due esseri umani senza l’ importanza del nome – nonostante la loro forte individualità – due esistenze simili che incrociano i loro destini segnati dalle loro specifiche mancanze: la vista per lui, la parola per lei.

E nell’ aula – dove lui, il professore, insegna greco mentre lei segue le sue lezioni – tra le strade di Seoul, nell’appartamento senza luce e vuoto di lei, si muovono le loro storie, frammentate dai ricordi di un passato, ora dell’uno ora dell’altra, che ricompongono lentamente il quadro complesso delle loro esistenze.

Ognuno di loro porta con sé il peso del proprio dramma, che la scrittrice sa svelarci con maestria, riproponendo quelli che sono i temi a lei più cari: la famiglia – i rapporti fraterni, coniugali, filiali – l’amore, la solitudine e l’impossibilità di entrare in relazione con l’altro, la diversità o meglio l’unicità, la malattia, la fragilità

Nei personaggi di Han Kang è profondamente radicato “il male di esistere”, come un sintomo che necessita di una cura da ricercare per essere gestito e placato; oppure si va oltre, dove c’è una completa separazione tra il corpo e lo spirito, fino al paradosso di una completa fusione senza più un confine: «A volte, più che una persona, ha l’impressione di essere una sostanza di qualche tipo, un solido o un liquido in movimento. Se sta mangiando del riso caldo, le sembra di essere riso caldo. Se si sta lavando la faccia con acqua fredda, le sembra di essere acqua fredda. Allo stesso tempo, sa benissimo di non essere né riso, né acqua, bensì una materia resistente, spietata, che si rifiuta di mescolarsi con qualunque altra forma di esistenza».

Han Kang sa regalare al lettore (se la sa cogliere) una chiave di lettura nuova, spalancando la porta su un mondo dove le angosce, le paure, le sofferenze diventano immagini, suoni, profumi, trasformando l’emozione in materia e la materia stessa in emozione. Una prosa che in molti tratti si fa poesia.

A testimonianza può bastare questo passaggio nella caratterizzazione della “donna”: «Da quando ha perso l’uso della parola, a volte ha l’impressione che le sue inspirazioni ed espirazioni siano un po’ come il linguaggio. Intaccano il silenzio con altrettanta audacia della voce». Oppure nel parlare del suo mutismo: «Non era un problema di corde vocali o di capacità polmonare. Semplicemente non le piaceva appropriarsi dello spazio» dove si legge tutta la sua ostinazione a non volersi relazionare col mondo; e ancora «Ognuno occupa un certo spazio fisico che corrisponde esattamente al volume del proprio corpo, ma la voce si propaga molto oltre. Lei non voleva espandere la propria presenza».

Interessante la fusione dei sensi, lo sguardo che si sostituisce alla parola e nel caso dell’uomo, la parola che si sostituisce là dove gli occhi non possono più comunicare. E sarà proprio questa combinazione a creare lo spiraglio di luce nel dramma delle loro vite, una possibile riconciliazione col mondo. Un poetico lieto fine (che nel precedente libro mancava) che apre il cuore alla speranza.

 “L’ora di greco di Han Kang” ( Adelphi 2023)

18 agosto 2024

VORTICI di Marco Mannucci

 

Premetto, sono di parte nel recensire “Vortici”, perché conosco lo scrittore  ̶  ho già apprezzato le sue capacità letterarie nei racconti e in “Ai tempi del Biondo” ̶  conosco il medico, ma soprattutto conosco la persona. Marco Mannucci, una volta incontrato non lo si dimentica, grazie alla sua affabilità, gentilezza ed empatia. Ciò vale anche per la sua scrittura, altrettanto avvolgente, espressiva ed elegante dalla penna precisa, corretta, pulita.

Veniamo al libro, e cercherò di non spoilerare, pur parlandone.

Rocco Mazzoni , protagonista del romanzo, è un uomo di umili origini, ex poliziotto, sposato con figli, dall’indole semplice e moderata (all’apparenza) ma un vulcano di pensieri, sentimenti ed emozioni. Fiorentino “adottato” come ama definirsi, ma ugualmente innamorato della Città come ogni cittadino nativo.

L’autore, con maestria e dovizia di particolari, introdurrà noi lettori nella sua vita; al suo fianco vedremo i luoghi abitati dalla sua infanzia, maturità e poi vecchiaia; percorreremo insieme le strade della Firenze rinascimentale, le viuzze di acciottolato, ci fermeremo a chiacchierare nei bar rionali; passeggeremo sulle colline di Firenze, sconfinando anche oltre la Toscana, fino al lago di Bracciano; vivremo storie di amore, affetti, amicizie ritrovate e poi perdute; conosceremo il suo mondo interiore, pensieri, dubbi e paure alimentate da un virus crudele che sta mietendo vittime; entreremo nel suo cuore, pieno di amore ma anche di tanta nostalgia, ricordo di un tempo che non potrà più tornare.

Un viaggio nella Firenze e dintorni, arricchito da una miscellanea di profumi, sapori, suoni, sensazioni tattili unite a descrizioni minuziose che ci calano in maniera realistica nei luoghi menzionati.

Una storia costruita sulle relazioni umane, sui valori dell’amicizia, dell’amore e della famiglia, valori immortali, fondati sul rispetto condiviso. Non manca l’amore per la Viola, molto più di una semplice passione sportiva, ma un’ ulteriore conferma di solidarietà con la Città stessa.

Ma cosa sono i vortici da cui il libro prende il titolo? Mi piace interpretarli come tutte le circostanze impreviste (e nel romanzo non mancano), quelle che con l’irruenza e la forza di un tornado, travolgono e stravolgono la vita di ciascun essere umano, risucchiandolo e trasportandolo in un altrove non scelto. Purtroppo, a volte sono davvero tante e inimmaginabili: compito di ognuno è ricercare comunque la strada che riporta a casa.

“Vortici” è una lettura che rimane dentro per l’intensità dei sentimenti espressi, una prosa dove il passato e il presente si alternano con continui flashback e flashforward, ricca di similitudini, metafore e ossimori nel raccontare in modo originale una realtà “creata”, con un linguaggio appropriato, luminoso e raffinato. Il risultato: una narrativa che profuma di poesia. 

05 agosto 2024

UNA FAMIGLIA LEGGERA di Maria Pia Perrino

 

Rosa, protagonista del romanzo, donna semplice e indipendente, vive precocemente il lutto del marito per un incidente stradale. La sorte benevola le ha lasciato in grembo il suo seme che le farà dono, dopo nove mesi, di una splendida bimba, Eva. Nel romanzo seguiremo la sua crescita, dall’infanzia, adolescenza fino al suo essere donna. Ma Rosa, dal rapporto con Renzo, ha ereditato anche una grande amicizia, quella di Marta e Arturo, una coppia che non la lascerà mai sola e vivendo sotto lo stesso tetto condividerà la routine familiare, nella buona e cattiva sorte. I quattro cresceranno insieme, rappresentando una vera e propria istituzione familiare, anche se diversa, “leggera” appunto, perché non vincolata dagli obblighi della consanguineità ma solo da sentimenti spontanei di affetto, amore e benevolenza.

Non mancheranno anche nell’insolita routine, colpi di scena, repentini cambiamenti, svolte improvvise, come si conviene nell’arte del romanzo, momenti di gioia e tristezza tutti ben ponderati e superati alla luce di un grande e profondo amore per la vita stessa.

La famiglia “leggera” è tutt’altro che superficiale, ma una modalità diversa e nuova di interpretare il legame affettivo nel nucleo più prossimo e intimo identificato solitamente nella parentela tradizionale.

Una lettura che procede spedita per la fluidità, appropriatezza e piacevolezza del linguaggio, costruito con frasi e periodi brevi che come foto istantanee, mostrano la narrazione.

Un libro che, come anche il titolo riporta, si legge con leggerezza, motivo ricorrente nella storia, che non significa affatto superficialità, ma una maniera appropriata giusta e intelligente di approcciarsi e interpretare la realtà.

Una lettura che consiglio, in spiaggia o sotto l’ombra di un albero, all’alba o al tramonto, per lasciarsi trasportare dal sentimento e dall’ emozione, per alleggerire e rinfrescare queste giornate super afose.

Una famiglia leggera” di Maria Pia Perrino ( Ed. Scatole parlanti 2023)

11 giugno 2024

FAUSTO E ANNA di Carlo Cassola

 

Un inno all’amore contro la guerra

Anni Trenta, la storia si svolge tra Volterra, Val di Cecina e Grosseto. Anna e Fausto due giovani di estrazione borghese, si innamorano e si amano. Anna, ragazza semplice, vivace, spigliata, leggera ma non superficiale, intraprendente e sentimentale; Fausto aspirante scrittore, romano d’origine, intellettuale, ateo, più misurato perché concentrato “sul recitare la parte”, riflessivo e con un mondo interiore ricco e complesso abitato dalle influenze e dagli ideali politici del suo tempo. Una relazione un po’ movimentata la loro, che dopo ripetuti alti e bassi, si interromperà, portandoli alla separazione. Fausto tornerà a Roma e Anna conoscerà Miro e si sposerà. Fausto avrà altre donne (conosciute nelle case di tolleranza) senza incontrare il vero amore (idealizzato in Anna)e si dedicherà alla politica, diventando partigiano.

Il romanzo appare diviso in due: una prima parte idilliaca, in cui prevale la favola d’amore, l’atmosfera incantevole della relazione tra i due giovani sebbene a tratti altalenante, in una Volterra bucolica, ben rappresentata e descritta. La seconda parte invece, si fa più cruda, più realistica, con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale che trasforma lo scenario in una campo di battaglia, vedendo Fausto, impegnato politicamente nella Resistenza, come partigiano insieme ad altri compagni.

Un romanzo di formazione (considerando e il percorso di maturazione e lo sviluppo ideologico dei due protagonisti), dal carattere sociale e storico, ma anche autobiografico, in cui riconosciamo in Fausto, l’autore stesso che si affiancò anch’egli ai partigiani, partecipando attivamente alla Resistenza contro il governo nazifascista. ». Un percorso di crescita e maturazione ideologica, in cui l’esperienza  ci insegna e ci trasforma, proprio come accade ai nostri protagonisti.

Cassola però non ci mostra il movimento in maniera eroica ed esaltante, bensì, in una dimensione molto più realistica, piena di incertezze e dubbi, come quando ci descrive Fausto di ritorno fra i partigiani e «ne ebbe l’impressione della prima volta, un’ impressione di tristezza, di squallore, di sciagurataggine», tanto da non credere «che il comunismo potesse rendere migliore il mondo

L’autore fu anche accusato in questo libro di schierarsi contro la Resistenza, critica smentita da lui stesso nella nota a fine romanzo. Un testo particolarmente difficile per lo scrittore, che fu costretto più volte a correggerlo e revisionarlo dal punto di vista stilistico e ideologico perché rifiutato dalle molte case editrici.

Personalmente ci ritrovo questo suo sentire, il valutare in maniera oggettiva la sua epoca, riflettere e vedere senza esagerate celebrazioni, orientamenti politici, ideali e tendenze, riportate invece in maniera concreta e con sincera passione e coinvolgimento intellettivo ed emotivo.

Una prosa fluida, dai dialoghi chiari, semplici ma ben strutturati che alleggeriscono la narrazione a tratti anche troppo dilatata e particolareggiata.

Una lettura comunque fortemente attuale, un inno all’amore contro la guerra, un monito che non dovremo mai stancarci di ripetere:« La guerra distrugge, non produce. Come mai  i capi non capiscono? Non dovrebbero mai fare la guerra. Non ci dovrebbero esser guerre. Ciascuno a casa sua, a lavorare in pace».

Come le commoventi parole del partigiano caduto, che sembrano uscire dalle sue labbra ormai immobili: «Era un gioco molto bello, questo della guerra […] Ma, vedete, non era un gioco la guerra. Ci siamo sbagliati. Guardate i miei occhi vitrei, la bava sanguigna che mi esce dalla bocca, e quest’orribile colore giallo sparso per tutto il mio corpo! Credevamo di giocare, ed era invece una cosa terribile, spaventosa! Smettete, ragazzi, voi che siete in tempo!».

“Fausto e Anna” di Carlo Cassola ( Oscar Mondadori 2012)

12 maggio 2024

PASSIONE SEMPLICE di Annie Ernaux

 

«Calcolavo quante volte avevamo fatto l’amore. Avevo l’impressione che, ogni volta, qualcosa di più si fosse aggiunto alla nostra relazione, ma anche che era questo stesso accumulo di gesti e di piacere che ci avrebbe sicuramente allontanato l’uno dall’altra. Si esauriva un capitale di desiderio. Ciò che si guadagnava in fatto di intensità fisica, lo si perdeva in ordine di tempo».

Entriamo nel vivo della storia con questa frase emblematica del rapporto che lega Lei, donna matura e indipendente, e Lui  molto più giovane, e “straniero”, che compare e scompare dalla sua vita come un gioco di prestigio, in una continua altalena di attese e illusioni, di tensione e resa, di pensiero e azione, di energia e inerzia. «Vivevo il piacere come un futuro dolore» ci informa l’autrice congedandosi da Lui. 

Una passione tutt’altro che semplice, un’attrazione fisica travolgente, un sentimento/tormento per Lei che non riesce a sottrarsi al magnetismo di tale fenomeno uscendone spossata e priva tutte le volte di ogni stimolo .

Una lettura piacevole, una storia di passione e amore, descritta con assoluta oggettività, un rapporto animato che dà tanto ma toglie anche tanto, che carica d'energia quando c’è, ma che ne toglie altrettanta nell’assenza.

Racconto lungo più che romanzo breve, Passione semplice è soltanto una di alcune letture dell’autrice (Nobel per la Letteratura 2022), in cui ancora una volta ritrovo il suo stile inconfondibile, l’essenzialità del discorso unita alla profondità di pensiero, la narrazione autobiografica e autentica, la ricerca esatta e precisa della parola in una narrazione che scaturisce sincera e spontanea come flusso incessante di pensiero

Una grande penna, uno stile, che al di là dell' attrattività  del tema e della storia non delude mai.

«Passione semplice» di Annie Ernaux  ( ed. Rizzoli 1992)

31 marzo 2024

LA CURA di Hermann Hesse

 


«Perché la vita non è un conto o una figura matematica, ma un prodigio»

Già in questa frase così incisiva, si può ben intuire il valore de “La cura” di Hermann Hesse, scritta nel 1925, successiva di pochi anni a “Siddartha”, in cui l’autore esplora, sebbene in maniera assai diversa, le tematiche a lui care.

La cura”, romanzo breve ma di un’intensità straordinaria, può considerarsi anche una sorta di diario - appunti di un soggiorno presso Baden in una lussuosa stazione termale, che lo scrittore cinquantenne si concesse per le cure di una sciatalgia - per la scrittura intima, riflessiva, introspettiva, che come un flusso di coscienza si sviluppa e si mantiene costante in tutta la narrazione, con un sottotesto che ci rivela l’intento dell’autore, di non lasciare il manoscritto chiuso in un cassetto, ma destinarlo a un lettore, ai suoi lettori, per la chiarezza nell’esporre, spiegare, analizzare i pensieri che sgorgano impetuosi dalla sua mente vivace e curiosa.

Un percorso di cura, volto al benessere del corpo, della mente e dello spirito, occasione per riflettere e approfondire attraverso gli aspetti del quotidiano, il suo “sentire”, i moti dell’ anima irrequieta e smaniosa, alla ricerca continua delle verità. Hermann Hesse è un chirurgo del corpo e dell’anima, seziona, sviscera, esamina ogni sentimento ed emozione per capire e per capirsi. Ecco allora le analisi accurate sulla sua apatia mattutina, sull’insonnia con la quale convive da anni, sulla sua indole solitaria, sulla trappola del piacere scaturito dal cibo e dal gioco, sulle asserzioni del cinematografo e della musica frivola, sul consumismo imperante che schiavizza l’umanità inventandosi futili necessità … su una foglia secca entrata al volo dalla finestra «di cui respiro lo straordinario memento della caducità, che ci fa rabbrividire ma senza il quale non ci sarebbe nulla di bello».

E qui si riallaccia la sua visione dualistica dell’uomo stesso, il suo essere buono e cattivo, virtuoso e vizioso, ordinato e caotico, assennato e folle,… nel continuo oscillare tra materialismo e idealismo, perché non può esistere niente di assoluto e perfetto, «che un uomo, per tutta la vita, possa venerare sempre lo spirito disprezzare sempre la natura, essere sempre rivoluzionario e mai conservatore o viceversa, mi sembra, sì, una gran prova di virtù, di carattere e di fermezza, ma mi sembra anche, e non meno, una cosa esiziale, folle e ripugnante, come se uno volesse sempre solo mangiare o dormire».

Un dualismo che non può esistere ed esprimersi senza la coscienza dell’ unità, come riconciliazione, ritorno, redenzione: «Noi non possiamo credere alla fine nel senso di distruzione ma solo nel senso di metamorfosi […]Nessun’altra idea mi è più sacra di quella dell’unità, l’idea che l’intero cosmo è una divina unità e che tutto il dolore, tutto il male consistono solo nel fatto che noi, singoli, non ci sentiamo più come parti inscindibili del Tutto, che l’io dà troppo importanza a se stesso».

Hesse indirizza il suo“occhio cosmico” alla ricerca di quell’unicità che nasce dalla molteplicità della realtà, «sotto il cui sguardo non c’è più nulla di piccolo, di sciocco, di brutto, di malvagio, ma tutto è santo e venerabile». E questa realtà non è altro che la Natura stessa, che ci salva dall’artificio e dall’illusione. Niente di più vicino anche al mio sentire.

L’ovvio diviene straordinario, in un continuo dialogo con se stesso, sulla nostra ineluttabile transitorietà: «È meraviglioso come la bellezza e la morte, il piacere e la caducità si esigano e si condizionino a vicenda!».

Anche il dolore, questa esperienza invisibile, multifattoriale, non quantificabile, quasi impossibile da descrivere, da dimostrare, acquista per lui un valore diverso se contrapposto al piacere, e che sembra addirittura alleggerirsi se condiviso con gli altri.

La cura è perciò non solo finalizzata al miglioramento fisico e mentale, ma soprattutto alla consapevolezza che la malattia deve avere un posto marginale nella vita di una persona.

«Il paziente Hesse, grazie a Dio, è morto e non ci riguarda più. Al suo posto c’è di nuovo un Hesse del tutto diverso: anche questo con la sciatica, ma ora la possiede anziché esserne posseduto».

La malattia non si combatte ma la si vive, facendosela compagna di viaggio e non protagonista assoluta di vita. «Io abbandono la malattia a se stessa, non sono mica al mondo per farle la corte tutto il santo giorno».

Perseguire la salute totale quando gli anni avanzano e gli acciacchi si sommano è un utopia, e Hesse lo dice chiaramente «Preferiamo soltanto guarire a metà, ma vivere in cambio in modo un po’ più piacevole e divertente, noi non siamo giovinetti che pretendono l’assoluto da se stessi e dagli altri, ma persone anziane, profondamente implicate nei condizionamenti dell’esistenza e perciò abituate a lasciare un po’ correre. No, non vogliamo essere perfettamente guariti, non vogliamo vivere in eterno» Un pensiero sorprendentemente attuale, considerando che è datato un secolo.

Una lettura che continua a risuonare anche a libro chiuso, che vede il segreto di tutta la felicità racchiuso nell’ equilibrio dell’amore « possibilità di amare senza restare in debito ora in questo, ora in quello, un amore di se stessi che non ruba niente a nessuno, un amore per gli altri che però non diminuisce né violenta il nostro io!».

Un libro pieno di pillole di saggezza - che non ho potuto fare a meno di citarle di nuovo e commentarle, perdonatemi - un’ottima “cura” per coloro che hanno voglia di interrogarsi e di riflettere su ciò che veramente conta.

02 marzo 2024

LA MITE di Fëdor Dostoevskij

 


“La mite” fa parte delle prime opere dell’autore russo, che come ci racconta la critica, si ispirava spesso a fatti di cronaca per poi romanzarli con fantasia, riflessioni e approfondimenti. I suicidi fra le giovani donne erano assai frequenti nella Russia di fine ottocento, e pare che la storia descritta abbia avuto matrice da un fatto realmente accaduto.

Il romanzo breve di Fëdor Dostoevskij è un lungo monologo di un uomo – senza nome  – profondamente solo, stremato, deluso, umiliato dalla società degli uomini, che caduto in miseria riesce a rialzarsi, grazie a un’eredità ricevuta. Deciso a far soldi con un banco del pegno, incontrerà nel proprio negozio una fanciulla di appena sedici anni – anche lei senza nome – «esile, una biondina di media statura», in cerca di lavoro come governante.

«Compresi immediatamente che lei era buona e mite. Le persone buone e miti non resistono a lungo e, pur non aprendosi mai del tutto, è come se non fossero in grado di sottrarsi alla conversazione: rispondono quasi a monosillabi, ma rispondono, e più si va avanti, più parlano; l’unica è che non siate voi a desistere, se vi preme parlare con loro». Dapprima indifferente e arrogante verso di lei, si invaghirà, fino a farle la dichiarazione e sposarla.

La mite è una donna semplice, pensierosa, enigmatica, mansueta sì, ma intelligente.

«Del suo amore io allora ero sicuro[… ]mi amava, o meglio, per essere più precisi, desiderava amarmi». Nonostante la volontà di trovare un equilibrio, un’armonia di rapporto, la coppia non riuscirà mai a trovare un punto d’incontro, anzi per orgoglio e ostinazione di lui soprattutto, le loro strade si allontaneranno sempre più.

«Come in silenzio risponde l’uomo, Io poi sono maestro del parlar tacendo, tutta la mia vita l’ho trascorsa parlando in silenzio e sempre in silenzio sono passato, solo con me stesso, attraverso autentiche tragedie». Un silenzio determinante a creare un sempre maggior distacco, sfiducia, gelosia, disprezzo, incomprensione, sentimenti che l’autore sa descrivere in maniera magistrale.

«Ma il mio odio non potè mai maturare e consolidare nella mia anima. Io stesso d’altro canto sentivo che in qualche modo si trattava soltanto di un gioco. Neppure allora, benché io avessi sciolto il matrimonio comprando il letto e il paravento, né allora né mai, mai potei vedere in lei una colpevole».

Convinto di essere lui a condurre le regole del gioco, sarà screditato, ritrovandosi ai piedi di lei a supplicare quell’amore che non ha mai voluto manifestare.

La “mite” a dispetto del nome, si rivelerà una donna animata da una forza incredibile, ribelle, indipendente e audace: nel far la civettuola con il finanziere, quando impugna la rivoltella puntandola alla tempia del consorte, quando si fa silenziosa .... L’indifferenza, la paura di quello sguardo di «severa meraviglia», la porteranno infine ad ammalarsi fino a compiere il tragico atto. 

Già dall’inizio sappiamo che la donna  è morta, la vediamo distesa sul tavolo, composta con le braccia conserte e le mani che stringono l’icona della Madonnina  con la quale si è buttata dalla finestra, ma anche a conoscenza dell’epilogo, rimaniamo incollati alla pagina con sempre rinnovato stupore e sorpresa.

Concentrato su di sé l’uomo, per dissolvere ogni dubbio, cerca continue certezze, giustificazioni alla continua ricerca di un appiglio qualsiasi a sua discolpa, un soliloquio finalizzato solo a salvare sé stesso, a uscire indenne da un immaginario processo.

Una capacità di introspezione unica, una sensibilità che sa penetrare nell’animo umano per sviscerarne ogni aspetto, attraverso un linguaggio incomparabile, vero, emozionale.

Il messaggio è un urlo, un grido alla società, agli uomini: Amatevi, l’amore è la sola medicina efficace per sconfiggere il male della solitudine. 

Una storia, ahimè, così tremendamente moderna.

La mite di Fëdor Dostoevskij (Feltrinelli 1997 )


05 gennaio 2024

LIMOUSINE di Paolo Orsini

 


Conosco Paolo Orsini da molti anni, ci unisce la passione per la scrittura e in più occasioni abbiamo collaborato alla realizzazione di progetti comuni, come le raccolte di racconti, a cura dell’Associazione Gruppo Scrittori Firenze, di cui facciamo parte.

Mi ha sempre colpito di Paolo l’impronta ironica del suo stile, quel tocco sottile e leggero (e non superficiale) nell’affrontare, trattare, discutere ogni argomento, restituendocelo nella sua rappresentazione più divertente ed enigmatica, portandoci però alla riflessione e all’approfondimento.

In questo suo primo romanzo Limousine, devo dire che sono rimasta sorpresa – piacevolmente si intende – nel trovarmi davanti a un’opera “seria”, più complessa, assai articolata che tocca tematiche attuali e molto interessanti.

Giovanni è un uomo sulla cinquantina, imprenditore, dal carattere forte e volitivo grazie al quale ha costruito un impero sostenuto dal denaro, dal successo e da una popolazione femminile di cui ama circondarsi. Una serie di eventi – che non svelerò assolutamente – cambiano all’improvviso l’andamento favorevole del gioco costringendolo a rimettere in discussione la propria vita, dove avranno una parte incisiva e decisiva i sentimenti (amicizia, amore, passione, dignità, rispetto…) e non più il calcolo e la fredda razionalità. Non voglio svelare oltre, che è veramente molto, perché in questo libro ciò che non mancano sono proprio le svolte e i continui colpi di scena. Nella prima parte l’autore ci fa vivere una vera e propria esperienza sensoriale a bordo dello yacht dell’amico Maurizio – col quale Giovanni si intrattiene per affari in compagnia di due splendide ragazze – sorseggiando drinks, gustando aperitivi e cene da gran gourmet, cullati piacevolmente dalle onde in rada, mentre una brezza leggera rinfresca le serate.

Nella seconda parte invece ci troviamo a New York su una Limousine bianca, attrezzata di ogni più sofisticata diavoleria, in cui una bellissima e glaciale donna, Penelope, accoglie il nostro protagonista sempre per una questione d’affari che si rivelerà però qualcosa di molto più intrigante.

Non aggiungo altro sulla trama, ma solo alcune considerazioni in merito allo stile che come ho già anticipato è molto sottile e leggero al contempo. Interessante la suddivisione in capitoli, intitolati col nome del soggetto che interagisce. Ciò permette all’autore di districarsi nella molteplicità e complessità delle personalità dei personaggi, partendo dal punto di vista di ciascuno di loro. Ottima strategia, che determina chiarezza e consente al lettore di penetrare nell’animo di ogni attore, di approfondire le caratteristiche di ciascuno senza difficoltà. Paolo Orsini sa deliziarci grazie alla sua capacità narrativa e immaginativa (lo scrittore afferma di non essere mai salito su uno yacht e su una Limousine, come Salgari non si era mai allontanato dall’Italia), e alla sua scrittura fluida e briosa, che si destreggia con conoscenza, abilità e competenza nella materia del mercato finanziario (ma non solo) aprendo le porte su un mondo poco conosciuto se non a pochi eletti – quello del lusso, del potere, delle escort – molto lontano dalla realtà borghese fiorentina dei suoi precedenti racconti.

Insomma un’ esperienza davvero unica e amabile, che consiglio ai lettori che vorranno divagare dalla realtà quotidiana, una storia che rimane stampata nella memoria come un film  contemporaneo di cui assaporiamo ogni momento senza mai annoiarci, dove non mancano le opportunità per riflettere su quali siano davvero i valori importanti della vita. Ringrazio Paolo Orsini per questa gradevole “divagazione” e resto in attesa del prossimo lavoro, in cui l’ho già visto all’opera.

“Limousine” di Paolo Orsini ( Youcanprint 2023)


18 settembre 2023

MI LIMITAVO AD AMARE TE di Rosella Postorino

 

 “Cosa facevo io mentre durava la Storia? Mi limitavo ad amare solo te”, con questa frase del poeta bosniaco Izet Sarajlic, veniamo introdotti nel romanzo di Rosella Postorino, secondo classificato al Premio Strega 2023.

Bosnia-Erzegovina, 1992. Con la dissoluzione dell’Jugoslavia, si sta consumando una guerra civile tra l’esercito serbo e quello bosniaco, una guerra che ha distrutto intere città e ucciso centomila uomini, donne e bambini. Omar e Senadin, Nada e Ivo, Danilo e Jagoda, tre coppie di fratelli, sono i protagonisti di questa storia corale. Dopo un breve soggiorno nell’orfanotrofio di Sarajevo, vengono fatti salire su un pullman diretto in Italia – eccetto i fratelli maggiori, destinati a combattere in patria –  e affidati alle cure di un istituto religioso. Da quel momento in poi li seguiremo fino all’età matura, quando una volta adulti si rincontreranno, uniti indissolubilmente dallo stesso dolore di esiliati contro la propria volontà.

L’opera è un inno all’amore – per la propria terra, la propria madre, i propri fratelli –  all’amicizia, alla fraternità, solidarietà, unici e autentici valori che possono radicarci alla vita e a darle nutrimento, anche quando tutto sembra perduto. L’ amore è capace di questo grande miracolo: tirare fuori la forza, il coraggio, la speranza per andare avanti sempre e non soccombere. Altresì è una denuncia alla guerra, l’azione più orribile, assurda, stupida che l’uomo ottenebrato dal miraggio del potere può innescare e perpetrare.

Nonostante le tematiche assolutamente illuminanti e interessanti di questa ultima lettura dell’autrice, di cui conoscevo già “Le assaggiatrici”, il libro in tutta sincerità, non è riuscito ad appassionarmi, a catturarmi ed entusiasmarmi, come spesso (quasi sempre) accade di fronte a una buona scrittura.

Non ne voglio certo sminuire il pregio, ma solo esprimere il mio parere e gradimento, mia consuetudine al termine di ogni lettura. L’ argomento storico è forte, importante – la guerra in Bosnia-Erzegovina –, e ahimè attuale (anche se le forze in gioco non sono le stesse), la documentazione accurata e competente, la scrittura di alta qualità, la trama articolata e complessa, i personaggi numerosi (forse anche troppi) ma ben strutturati e caratterizzati, il linguaggio e lo stile ricercato ed esperto. Ma nonostante tutte le carte in regola, (aggiungo la mia personale congiunzione avversativa), non sono riuscita a farmi coinvolgere, a trarre piacevolezza dalla narrazione che spesso ho trovato ostica tanto da dovere ritornare più volte a rileggere le righe precedenti per capire chi stava parlando, chi fosse il soggetto della frase, passaggi che una buona narrazione non dovrebbe prevedere (considero una delle migliori qualità in uno scrittore la sua capacità di chiarezza e semplicità nell’esprimere grandi concetti). Non escludo che il problema sia personale, ma non posso fare a meno di dichiararlo. Questa difficoltà ovviamente si è riversata anche sul coinvolgimento e sull’interesse per la storia stessa, precludendo l’empatia e simpatia dei personaggi, che sicuramente avrebbero meritato più considerazione.

L’incipit è tuttavia bellissimo, dal punto di vista del ragazzino, Omar, che credi di seguire per tutto il libro ma poi ti ritrovi come lettore deviato in altri punti di osservazione, troppi, che invece di creare movimento e varietà, distraggono, complicano, appesantiscono.

Ho apprezzato nello stile dell’autrice, l’uso consueto e competente del discorso indiretto, affiancato a quello diretto, che sa gestire con maestria, anche se questa tecnica, usata in modo così frequente complica un po’ e appesantisce la narrazione. Quello che invece ho meno gradito è stato quel susseguirsi di frasi lunghe senza punteggiatura (questione di stile, senza dubbio), e quel continuo cambio del punto di vista motivo frequente del mio calo di attenzione. Un’altra strategia stilistica che non ho gradito, è stata l’inserimento degli intermezzi in corsivo, simbolo di una voce in sottofondo, non identificabile facilmente (almeno per me), dal significato molto astratto e generalizzato (a volte parla la madre di Ivo, a volte è un narratore ideale che osserva e descrive la situazione del paese in guerra, …), insomma un espediente poco edificabile e greve ai fini della trama stessa.

L’opera è senz’altro meritevole (non sarebbe arrivata a un simile traguardo) ma non ha incontrato il mio gusto o forse che dire, l’ho semplicemente letta in un momento sbagliato, poco propizio, accogliente . Non me ne voglia l’autrice, alla quale sicuramente non arriveranno mai le mie considerazioni.

A.C.

“Mi limitavo ad amare te” di Rosella Postorino ( ed Feltrinelli 2023)


12 luglio 2023

AVANTI, PARLA di Lidia Ravera

 

«Quando siamo giovani pretendiamo l’amore, la giustizia, la conquista, la gioia, quando siamo vecchi basta la vita. Vivere».

Quale verità si nasconde dietro una donna quasi settantenne, che vive da sola in un bellissimo appartamento lungotevere, che non parla con nessuno o parla poco di sé e degli altri? Quale storia l’ha portata fin qui, quale pensieri, idee, tormenti si celano in quella testa dai lunghi capelli grigi fuori moda, tanto da essere soprannominata dai vicini Chiomavecchia?

Lo scopriremo poco a poco, procedendo nella lettura di questo meraviglioso libro di Lidia Ravera (il secondo dell’autrice dopo Age Pride), in cui ancora una volta si parla di terza età, di una fascia dell’esistenza in cui, pur tirando le somme, fare bilanci, prepararsi alla scena finale, si possono fare incontri inaspettati, possono accadere cose, imprevisti che rimetteranno in moto la giostra della vita, offrendo l’ opportunità di un altro giro, che non esclude piacere e divertimento.

A premere il pulsante d’avvio, sono Maria e Michele, i giovani vicini di casa, che Giovanna incontra mentre traslocano nel nuovo appartamento attiguo al suo, nell’afoso agosto romano popolato da poche anime. La sua vita solitaria subirà una brusca virata contagiata dall’entusiasmo, euforia, vitalità dei due giovani con a seguito i figli, un adolescente Malcom, impegnato in problemi sociali più grandi di lui e Malvina, deliziosa creatura di appena quattro anni, soggetto indiscutibile di ogni attenzione e cura.

Ma i nodi del passato non scioglibili perché «La memoria è un cane feroce, alla mia età devi tenerla alla catena», le scelte, il rimpianto «quel senso di vuoto nauseante, quella commozione senza sbocchi» le colpe, nonostante la ritrovata felicità, ritornano spesso in superficie, come a volere rivendicare la loro assoluta superiorità e verità su ogni nuovo sentimento ed emozione, che Giovanna tenta in tutti i modi di controllare. Qual è la colpa così mostruosa che si nasconde dietro questa donna alla quale non sembra concessa alcuna forma di amore e piacere? Ce lo continuiamo a chiedere per l’intera narrazione, e per non togliere il piacere della sorpresa, non voglio farne anch’io minimo accenno.

Tutta la tensione del lettore sta proprio qui, in questo complesso groviglio di pensieri, impressioni, idee, supposizioni, in cui la protagonista «una parassita emozionale» come si autodefinisce, sotto forma di diario, ci regala i suoi stati d’animo (e lo fa in modo diretto, sottovoce con l’intenzione di mantenerli segreti), in un flusso continuo, sincero e chiaro come acqua di montagna, alla ricerca perenne del suo posto nel mondo.

La narrazione si rivela affascinante, originale, dallo stile impeccabile, con l’uso appropriato e preciso di ogni singola parola, le descrizioni sorprendenti andando oltre la pura rappresentazione, la scrittura necessaria e consapevole sulla importanza e ineluttabilità della memoria.

«Quando si scrive per dimenticare si finisce per ricordare. Tutto. Ogni frase che si forma nella tua mente e si deposita sulla pagine colpisce la superficie del vuoto, quel laghetto artificiale che hai curato con tanta sapienza e preveggenza, ne smuove le acque, lo rende impraticabile» perché «Certe volte scrivere è come spalare fango, come scavare fosse. Una fatica fisica. Scrivi per liberarti, e finisci in un’altra prigione[] Ti dici che stai scrivendo per te, soltanto per te stessa. Ma sei sicura che sia così?[…] La scrittura è avida, golosa,incontenibile. Ti porta dove non vorresti andare».

Tanti i temi affrontati e sviscerati, la solitudine, la politica e le scelte ideologiche, l’amicizia, l’amore, la maternità, vissuta dalla protagonista come condizione di libero arbitrio unita alla profonda consapevolezza che determina la scelta, perché come dice lei stessa «ci vuole una presunzione fuori dall’ordinario per pensarsi madri».

Un libro che prende e che dà, coinvolge emotivamente (mi sono ritrovata in lacrime nel passaggio finale) attraverso una scrittura che si rinnova pagina dopo pagina, accogliente, invitante, stimolante, un libro che ti rimane addosso, anche quando l’hai chiuso, che ti esorta a riflettere, che ti invita con «Avanti, parla», a scrivere e aggiungere anche qualcosa di te.

A.C.

Avanti, parla di Lidia Ravera  (Giunti/Bompiani 2021)


08 giugno 2023

LA VITA FINO A TE di Matteo Bussola

 


Devo ringraziare la mia amica Caterina per il consiglio di lettura, perché non conoscendo l’autore, l’immagine della coppia sullo sfondo di una piazza in copertina (molto bella senza dubbio) non avrebbe catturato il mio interesse relegando il libro al genere romantico/sofferto  ̶  un lui e una lei che si amano  ̶  e che, come si evince dal titolo, presuppone una destinazione felice. Devo però ammettere il mio errore (e presunzione), perché le cose non stanno affatto così, l’amore domina il testo è vero, è un punto focale del romanzo, ma non è solo ed esclusivamente questo.

Nel libro non c’è una trama nel senso comune del termine, ma molte trame, storie che si collegano sul grande scenario della Vita, il cui tessuto è ordito col filo del sentimento. Un romanzo e al contempo una raccolta di brevi racconti, dalla scrittura fluida, intensa, rinfrescante, che mi sono bevuta con piacere in poche ore. E questo grazie alla capacità empatica, al modo diretto e colloquiale dell’autore, agli aneddoti divertenti, ai frequenti e piacevoli viaggi temporali negli anni settanta che rappresentano anche l’epoca della mia gioventù. Mi ha sorpreso quel suo autodefinirsi un fumettista (per passione) più che uno scrittore (per denaro), perché non sono riuscita a vedere l’aspetto venale della sua prosa, che avverto invece autentica e sincera. Non conosco le sue qualità di disegnatore ma le sue abilità di scrittore sono senza dubbio notevoli, proprio in merito a questa capacità di conquistare e coinvolgere emotivamente il lettore.

La  narrativa sa essere incalzante (in prima persona, a volte in seconda), avvolgente, profonda, ricca di spunti di riflessione, meditazioni, dubbi e certezze che ci riguardano, quesiti per chi (come me) si interroga di continuo, che cerca risposte a ogni domanda, che non si basta mai.

C’è tanto Amore (come dicevo), sentimento che può offrire opportunità: «L’amore è piuttosto diventare un’occasione l’uno per l’altra. Quella di comprendere il diverso da noi, quel diverso che però ci portiamo anche dentro. E di riconoscerlo. E di accettarlo. E di imparare il significato, ogni giorno». L’amore come occasione, come casualità, mondi distanti che si incontrano e si confrontano: «Gli amori migliori, quelli davvero inaffondabili, uniscono spesso geografie umane distanti, sono quelli che nessuno riesce a spiegarsi il perché e sulla carta non gli avresti dato due soldi. Eppure». L’amore come accoglienza, come riconoscimento della diversità, senza abnegazioni o vittimismi, da trasformare in un punto di forza e novità: «Il punto non è rinunciare a essere sé stessi, annullandosi in una relazione, ma trovare l’elemento giusto che si combina con te e si valorizza».

C’è il Maschile e Femminile a confronto e la presunzione dell’uomo di sentirsi superiore, causa di tanta violenza, purtroppo cronaca quotidiana, su cui dovremmo soffermarci a riflettere e a trovare soluzioni immediate: «Le donne non sono tanto la metà del cielo che ci manca, ma quella che ci mette in comunicazione con una parte di noi, che troppo spesso ci neghiamo, e questa parte non sta né in cielo né in Terra, ma ben nascosta dentro, seppellita sotto tonnellate di stronzate. Per questo le donne non ci completano, ma ci cominciano, mentre noi uomini invece a volte le finiamo, ed è questa la vera tragedia».

Non manca il tema del viaggio, una modalità di realizzare la consapevolezza che «ogni posto, con un po’ di impegno, potrebbe diventare casa tua[…]. Questo cambia la tua visione del mondo, l’approccio a luoghi e persone, ma ti fa anche capire che casa tua rimane quel posto dove non c’è solo la bellezza che ti capita ma principalmente quella che hai scelto, quella che è lì proprio perché tu la vuoi».

Un libro che ci regala scene di vita quotidiana, la nostra, sostenuta da bellissime descrizioni, che vanno oltre l’ovvietà del quotidiano, senza quel velo di banalità che le caratterizza. Tutto ciò che ci accade diviene unico e straordinario, se sappiamo coglierne il senso e la bellezza. Se poi l’affrontiamo con ironia (il libro ne è pieno), col sorriso anche nelle vicende più dolorose, con  piglio leggero ma profondo, vivremmo decisamente meglio e più appagati.

La vita ci mette ogni giorno di fronte a prove, occasioni per sfoderare il carattere e far chiarezza con noi stessi: «Se avessimo più coraggio nel dire agli altri chi siamo, dichiarare la nostra condizione senza tanti infingimenti, evitando di raccontarci storie, forse vivremo con meno paure».

Non manca una visione positiva, ottimista sull’esistenza di ogni essere umano legata alle proprie scelte, al libero arbitrio e provo sollievo pensando che, come dice l’autore «La vita, se la ascolti bene e al netto delle tempeste, alla fine ti porta sempre sulla tua isola, precisamente nel luogo in cui devi trovarti».

Una lettura stimolante che ci lascia un buon sapore in bocca, come quando beviamo un ottimo vino, e ci gira un po’ la testa, quel tanto che basta per percepire forme, colori, dettagli che nella sobrietà non riusciremmo a cogliere e ad apprezzare.

A.C.

La vita fino a te di Matteo Bussola (Einaudi 2018)