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03 dicembre 2023

CON CURA - Diario di un medico deciso a fare meglio



L’importanza del cambiamento

Una lettura illuminante, un testo che tutti – medici, chirurghi, studenti in medicina, operatori sanitari che come me si occupano di assistenza – dovrebbero leggere e analizzare per acquisire non solo conoscenza, ma una maggiore consapevolezza e coscienza sulla realtà della cura.

È proprio l’umiltà, la trasparenza dell’autore nel suo mostrarsi senza timori, riconoscendo i propri limiti e quelli della scienza, il desiderio di non arrendersi mai in un’ottica di miglioramento continuo, nonché la sua volontà a trovare risposte, che cattura e ancora al testo.

Approfondire, sezionando ogni capitolo sarebbe interessante, perché tanti sono i momenti di riflessione, ma ne verrebbe fuori una lunga e troppo ampia argomentazione che in questo spazio non è richiesta. Voglio solo lanciare sassolini nel fiume, le cui onde possono arrivare a toccare qualche sponda.

È un saggio, ma anche un diario dove si riportano storie e fatti realmente accaduti; è anche una raccolta di articoli dove si elencano cifre, dati e rapporti ma lo si può leggere anche come un romanzo, in cui non manca la biografia del chirurgo con le certezze e i dubbi, successi e fallimenti nel grande viaggio della cura dell’altro.

È un libro che porta inevitabilmente a meditare sulla nostra attività di operatori sanitari, a rimettere in discussione il nostro modo di essere e di lavorare e a riconsolidarci in maniera nuova, adottando strategie di crescita personale e collettiva.

Così Atul Gawande ci elenca tre importanti requisiti per il successo in medicina.

Ecco allora che la scrupolosità diviene una virtù basilare, in «quanto necessità di prestare sufficiente attenzione ai dettagli per evitare errori e superare gli ostacoli».

Fare la cosa giusta non è questione di poco conto, se la si estende anche all’assistenza, nel momento in cui il paziente più che ostinazione e accanimento terapeutico ha maggiore necessità di cure palliative e di supporto umano. In tal senso l’autore si interroga «su come facciamo a capire quando bisogna continuare a lottare per un malato e quando bisogna smettere».

E poi c’è l’ingegnosità, un termine che trovo entusiasmante, che definisce il “saper pensare” in modo nuovo sulla base delle proprie conoscenze, competenze e responsabilità.

Una lettura che apre la mente a chi è disposto al cambiamento, che ci trasforma in devianti positivi alla continua ricerca del meglio per il meglio e di conseguenza apporta beneficio a chi si relaziona con noi, a chi curiamo, assistiamo.

Concludo con i cinque consigli della postfazione, che non posso fare a meno di menzionare, tanto sono chiari, incisivi, determinanti:

1) Fate una domanda fuori copione: uscire ogni tanto (e quando la condizione lo permette) dal copione, dal proprio ruolo professionale, chiedendo magari al paziente qualcosa che va al di là della sua patologia può arricchire la cura e anche noi stessi. Il paziente non è solo la “sua malattia”.

2) Non lamentatevi: potrei scrivere anch’io un saggio sulle lamentele nei luoghi di lavoro ma non voglio  aggiungere altro altrimenti mi lamento.

3)Trovate qualcosa da contare: (questo non fa per me) dati, cifre e numeri a testimonianza della qualità della cura.

4) Scrivete qualcosa:(invita la lepre a correre) la scrittura «consente di ritornare su un problema e di riflettere».

E infine:

5) Cambiate: «le scelte di un medico sono necessariamente imperfette, ma cambiano la vita delle persone. Per questa ragione, a volte, sembra più prudente attenersi a prassi consolidate, a ciò che fanno tutti, limitarsi a essere una delle tante rotelle in camice bianco di una grossa macchina. Invece no, un medico non deve farlo, non dovrebbe farlo nessuno che si assuma rischi e responsabilità nella società».

E concludo davvero aggiungendo anch’io un piccolo consiglio, già compreso in parte nelle citate virtù: cerchiamo di usare sempre anche un pizzico di creatività, che non toglie ma aggiunge benessere e valore.

Con cura Diario di un medico deciso a fare meglio” di Atul Gawande  (2007 Einaudi)

11 marzo 2023

AGE PRIDE di Lidia Ravera

 

Inizio dal titolo per introdurre l’ultima lettura, Age pride, che potremmo tradurre “orgoglio dell’età”, ovvero una maggiore considerazione di un periodo di vita, l’ultimo, non vissuto quasi mai con fierezza. Il focus del libro di Livia Ravera è centrato sulla Terza Età o l’Età dei Grandi Adulti - come preferisce definirla - (forse prendendo spunto dalla lingua anglosassone), anche se non mancano argomentazioni sulle altre fasi della vita, i Paesi Stranieri, come li definisce l’autrice stessa. «Infanzia, adolescenza, giovinezza, maturità, vecchiaia. Sono paesi separati. Se si odiano l’uno con l’altro la colpa è degli stereotipi che li ingabbiano. Odiarsi tra vicini, è pericoloso, è così che scoppiano le guerre».

Ogni periodo della vita ha i suoi vantaggi e svantaggi e in questo libro Ravera ce lo spiega in maniera eccellente ed esaustiva andando oltre i pregiudizi e luoghi comuni. Credo che sia proprio qui l’innovazione di questa opera, superare ogni preconcetto e azzardare nuove teorie.

Sono solita riportare e commentare nelle mie recensioni le frasi per me più significative, ma devo dire che in questa occasione mi è assai difficile farlo, a meno che non voglia riscriverlo per intero. Ci proverò comunque.

La prima piacevole sorpresa è stato scoprire che non si trattava di un saggio, come viene pubblicizzato (non ci sono capitoli a separare gli argomenti, tutti fluisce come pensiero unico e collegato). Più che un saggio, anche se pone l’attenzione su principi, modi, regole che muovono il sentire umano, infatti sembra il flusso di pensiero ben strutturato dell’autrice, che avvalendosi delle sue conoscenze (non mancano interessanti citazioni letterarie, storiche, sociologiche), ci racconta in forma romanzata (attingendo anche dall’autobiografia) il mondo della Terza Età, reale e utopico.

Interessante come la scrittrice riesca a spiegarcelo e a renderlo come un privilegio, un’ opportunità, una possibilità di conquista, alleggerendolo dal manto negativo che da sempre e ancor oggi, si è portato addosso. Grazie al progresso della scienza, della medicina e chirurgia, è migliorato il tenore e lunghezza di vita, di conseguenza la popolazione anziana (che fino al secolo scorso non esisteva) oggi è presente e rappresenta una novità assoluta, una nuova generazione sperimentale, condizione che permette agli anziani di potersi inventare il proprio tempo, di proporsi senza modelli precedenti, e, aggiungo io, se la salute li accompagna. Con le parole dell’autrice: «Possiamo essere vecchi come ci pare. Questo che stiamo per attraversare è uno spazio vuoto, che prima non esisteva e adesso c’è. Ma bisogna avere il coraggio di arredarlo. Arredarlo, renderlo abitabile, perfino accogliente[…] Non c’è un modello da eguagliare o contestare. Dobbiamo crearlo noi il modello, mentre a tutti gli altri, i giovani, i maturi, gli adolescenti,tocca a fare i conti con il già dato, già stabilito. Già corrotto dalla ripetizione. Noi possiamo inventare. Anzi “dobbiamo” inventare, inventarci. Scrivere nuovi copioni. Ridisegnare i costumi».

Non è una bellissima prospettiva anche per chi come me non è ancora nel Terzo tempo, ma ci sarà fra non molto, se avrò fortuna?

Per le donne è più difficile accettare la decadenza del proprio fisico e ancora di più se si è concentrata tutta la vita sulla bellezza del proprio corpo, oggetto di desiderio sessuale. Venendo a mancare la bellezza, la donna può cadere in depressione, non assolvendo neanche più alla funzione che la distingue dall’uomo, la procreazione. L’uomo non ha questo problema, si può permettere le rughe senza essere disprezzato, può riprodurre fino alla fine dei i suoi giorni.« Le donne odiano invecchiare perché non riescono più a immaginarsi oggetti di desiderio e non hanno ancora imparato a immaginarsi soggetti di desiderio[… ]Non hanno ancora imparato a vivere da soggetti, le donne, invece di pomparsi il seno, spianarsi la pelle o mettersi il vestito della festa, sperando di rassomigliare a qualcun’altra, fosse pure la ragazza che sono state. Aspettano le donne, anche se spesso non se ne rendono conto, di essere scelte. Si comportano da ninnoli, non sembrano capaci di portare a termine questa piccola grande rivoluzione individuale e universale: imparare a vivere da soggetti».

“Scegliere, non essere scelte, essere soggetto e non oggetto di desiderio” è un concetto davvero illuminante, dovremmo scriverlo sulla porta a caratteri cubitali quando usciamo di casa ogni mattina. In un periodo come il Terzo Tempo della Vita, dove ancora non sono state scritte e vissute le modalità di comportamento, dove tutto è ancora da sperimentare, quale occasione migliore per fare ciò che ci piace, ci gratifica, arricchisce, completa, realizza? Certo dobbiamo fare i conti con un fisico che non sarà prestante come un tempo, ma salvo malattie, possiamo lavorare su noi stesse, attuando quel cambiamento, che come dice Ravera, riferendosi in particolare alle donne, ci trasformi da Oggetto (quali siamo sempre state) a Soggetto.

E qui faccio un inciso. La donna è un oggetto anche se non vuole esserlo. Io stessa ricordo lo sguardo addosso degli uomini nella mia adolescenza e maturità, le esclamazioni di apprezzamento di una parte del mio corpo, a conferma. Avrei voluto sottrarmi volentieri a quegli sguardi, passare inosservata, privilegio che invece oggi mi è concesso.

Divertente la stesura della carta dei Desideri, un decalogo di regole e comportamenti atti a vivere il Terzo Tempo nel migliore e più fruttuoso dei modi, facendo nuove conquiste (non quelle amorose e passionali di un tempo) indirizzate a riappropriarsi del proprio sé, della propria identità, autenticità.

Condivido e lo sperimento ogni giorno, lavorando per un’utenza che abbraccia tale periodo, il fatto che non è assolutamente vero che la vecchiaia abbrutisce, rende la persona sofferente, lamentosa, indisponente; tutto dipende dal carattere, «così come il carattere guida l’invecchiamento, l’invecchiamento disvela il carattere». Ci sono anziani che hanno davvero molto da dire, raccontare, insegnare.

La solitudine, frequente negli anziani rappresenta una piaga sociale di rilievo, associata spesso alle difficoltà economiche e alle patologie. Ecco un altro obiettivo prioritario di cui la politica dovrebbe farsi carico, ma di cui si parla invece ben poco. Si potrebbe in tal senso, come dice Ravera «smettere di rottamare l’intelligenza dei vecchi e di sprecare l’intelligenza dei giovani», in un ottica di collaborazione si potrebbero creare meravigliosi progetti.

Non mancano riflessioni sul fine vita: «la morte è sempre un ospite di riguardo. Ci fa abbassare la voce», una grande verità in una semplice e palese constatazione. Oppure «Abbiamo bisogno di imparare a morire. Di parlarne. Di immaginare anche l’ultimo dei paesi stranieri, il più straniero di tutti. Se ne parliamo, fra giovani e vecchi, fra adulti e bambini, fra donne e uomini, avremo meno paura di vivere. Tutti». E infine questa che mi risuona particolarmente: «Se gli eventi di vera discontinuità sono la nascita e la morte, la fine dovrebbe essere celebrata con la stessa commossa allegria con cui si accoglie l’inizio».

E non posso fare a meno di riportare anche la citazione sulla quarta di copertina, e concludo davvero: «La vita finisce quando tutto si ferma […]Bisogna restare agili. Non giovani, agili. Flessibili. Bisogna imparare a muoversi a tempo nel Tempo. senza ostinarsi all’imitazione di modelli scaduti. Ma senza nascondersi. Soprattutto senza nascondersi».

Una lettura davvero arricchente per i concetti e i valori che l’autrice rivela con una capacità espressiva semplice ma sorprendente (sembra dar voce ai propri pensieri), per la scrittura coinvolgente, fluida, dallo stile raffinato e conciso, colto, in cui fanno da cornice stimolanti citazioni di grandi personaggi, come Beauvoir, Montaigne, Freud, Jung, Cicerone…

Un saggio che si legge come un romanzo, che nonostante il tema all’apparenza poco stimolante per gli stereotipi, i pregiudizi insiti, consiglio con grande convinzione a tutti, se non altro per l’infinito messaggio di speranza che l’autrice riesce a trasmettere e a dimostrare, grazie alla sua penna, intelligenza ed esperienza sicuramente legate all’età.        

A.C

Age Pride -Per liberarci dai pregiudizi sull’età di Lidia Ravera (Einaudi 2023)