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13 novembre 2024

L’ORA DI GRECO di Han Kang

 

Dopo La vegetariana, sapevo che sarei andata incontro a una lettura non facile, ma non avrei mai immaginato di ritrovarmi un testo così articolato, da leggere un po’ alla volta, a piccoli sorsi come una bevanda troppo calda che rischia di bruciarti la gola. Sì, perché ho trovato L’ora di greco un libro assai complesso, almeno nella struttura anche se si deve forse a questa peculiarità parte del merito e della bellezza.

A differenza del libro precedente (dal quale non posso separarmi) che aveva una forma più definita e chiara – perché diviso in tre parti, di cui ciascuna descriveva il punto di vista di un personaggio – qui la struttura invece appare stravolta, perché l’autrice sembra avanzare più per sensazioni che per logica, creando un puzzle di immagini, suoni, profumi, odori e sensazioni tattili legate alle vicende, che il lettore stesso deve essere abile a ricomporre, per seguire la trama delle storie in una Seoul indistinta.

Lo stile è caratteristico e audace. L’autrice si destreggia con maestria passando velocemente dalla terza alla prima persona, per infine inserire anche la seconda persona (nei monologhi del professore con l’amico Joachim Gründel e con la sorella Ran) mantenendo però sempre fermi i punti di vista dei protagonisti.

Due sono i personaggi principali, semplicemente la “donna”e l’“uomo”, due esseri umani senza l’ importanza del nome – nonostante la loro forte individualità – due esistenze simili che incrociano i loro destini segnati dalle loro specifiche mancanze: la vista per lui, la parola per lei.

E nell’ aula – dove lui, il professore, insegna greco mentre lei segue le sue lezioni – tra le strade di Seoul, nell’appartamento senza luce e vuoto di lei, si muovono le loro storie, frammentate dai ricordi di un passato, ora dell’uno ora dell’altra, che ricompongono lentamente il quadro complesso delle loro esistenze.

Ognuno di loro porta con sé il peso del proprio dramma, che la scrittrice sa svelarci con maestria, riproponendo quelli che sono i temi a lei più cari: la famiglia – i rapporti fraterni, coniugali, filiali – l’amore, la solitudine e l’impossibilità di entrare in relazione con l’altro, la diversità o meglio l’unicità, la malattia, la fragilità

Nei personaggi di Han Kang è profondamente radicato “il male di esistere”, come un sintomo che necessita di una cura da ricercare per essere gestito e placato; oppure si va oltre, dove c’è una completa separazione tra il corpo e lo spirito, fino al paradosso di una completa fusione senza più un confine: «A volte, più che una persona, ha l’impressione di essere una sostanza di qualche tipo, un solido o un liquido in movimento. Se sta mangiando del riso caldo, le sembra di essere riso caldo. Se si sta lavando la faccia con acqua fredda, le sembra di essere acqua fredda. Allo stesso tempo, sa benissimo di non essere né riso, né acqua, bensì una materia resistente, spietata, che si rifiuta di mescolarsi con qualunque altra forma di esistenza».

Han Kang sa regalare al lettore (se la sa cogliere) una chiave di lettura nuova, spalancando la porta su un mondo dove le angosce, le paure, le sofferenze diventano immagini, suoni, profumi, trasformando l’emozione in materia e la materia stessa in emozione. Una prosa che in molti tratti si fa poesia.

A testimonianza può bastare questo passaggio nella caratterizzazione della “donna”: «Da quando ha perso l’uso della parola, a volte ha l’impressione che le sue inspirazioni ed espirazioni siano un po’ come il linguaggio. Intaccano il silenzio con altrettanta audacia della voce». Oppure nel parlare del suo mutismo: «Non era un problema di corde vocali o di capacità polmonare. Semplicemente non le piaceva appropriarsi dello spazio» dove si legge tutta la sua ostinazione a non volersi relazionare col mondo; e ancora «Ognuno occupa un certo spazio fisico che corrisponde esattamente al volume del proprio corpo, ma la voce si propaga molto oltre. Lei non voleva espandere la propria presenza».

Interessante la fusione dei sensi, lo sguardo che si sostituisce alla parola e nel caso dell’uomo, la parola che si sostituisce là dove gli occhi non possono più comunicare. E sarà proprio questa combinazione a creare lo spiraglio di luce nel dramma delle loro vite, una possibile riconciliazione col mondo. Un poetico lieto fine (che nel precedente libro mancava) che apre il cuore alla speranza.

 “L’ora di greco di Han Kang” ( Adelphi 2023)

20 settembre 2022

TRE di Valerie Perrin

 

Tre è la terza pubblicazione di Valerie Perrin, dopo Il quaderno dell’amore perduto - fra la pila dei miei libri in attesa - e Cambiare l’acqua ai fiori - grande successo letterario che ho apprezzato moltissimo.

Si potrebbe definire un insolito romanzo di formazione,  perché la maturazione riguarda tre personaggi anziché uno, Etienne, Nina e Adrien, che si conoscono sui banchi di scuola di La Comelle, una cittadina alla periferia di Parigi, e crescono inseparabili anche se con periodi di allontanamento e ravvicinamento.

Etienne occhi azzurri, attraente, atletico, affascinante, esuberante, estroverso, svogliato (sfrutta le abilità degli altri due per ottenere sufficienti risultati scolastici) di famiglia benestante.

Adrien al contrario, delicato, introverso, meditativo, osservatore, riflessivo, intelligente, acuto, granitico da non lasciar trapelare alcun sentimento o pensiero più intimi. Vive con la madre, separata dal marito.

Nina anello di congiunzione tra i due - “sempre al centro, Etienne a sinistra e Adrien a destra”, curiosa, vivace, intelligente, spirito libero e artistico, ama disegnare, ritrarre i volti delle persone a lei care. Vive col nonno, abbandonata dalla madre a pochi mesi.

La voce narrante però è un quarto personaggio, Virginie, che sembra conoscere molto bene i tre amici ma di cui non si capisce bene quali siano i rapporti che la legano a loro. Lo scopriremo col procedere della narrazione e questo è senz’altro un merito e lode alla scrittrice che sa così ben dosare le informazioni, tenendoci costantemente sospesi sul filo della curiosità e della suspence.

In questo già complesso scenario si inserisce una nota “gialla”, la scomparsa di Clotilde, amica di infanzia dei ragazzi, con la quale Etienne aveva una relazione.

Il tema principale è la difficoltà della maturazione, di quel periodo travagliato, difficile, complesso che è l’adolescenza. Ognuno con le proprie radici (come la famiglia che può essere un grande supporto morale, materiale, ma a volte anche ostacolo per uno sviluppo sano e sereno), con il proprio fardello, influenzato da un contesto sociale che può essere lo stesso, ma che restituisce risultati diversi a seconda della personalità, emotività , sensibilità.

Ma c’è anche la forza della solidarietà, della fratellanza - anche senza vincoli di sangue - , dell’amicizia su cui ruota la porta dell’esistenza, cardine fondamentale per non sentirsi mai soli, per condividere momenti felici e spensierati, ma anche il dolore, la sofferenza, la malattia, a volte la morte. Il concetto della diversità - o meglio l’unicità che ci rende diversi - è un valore ampiamente  argomentato, innesco dell’opera, a mio parere.

L’autrice indaga sul senso della vita e della morte, sulla brevità dell’una e dell’inevitabilità dell’altra, sulla precarietà dell’esistenza “è pazzesco quanto sia fragile ciò che un uomo lascia dietro di sé” sull’inganno della vita paragonata alle stelle “quello che vediamo di loro non esiste più. Le stelle sono bugie”. C’è infine tanto rimpianto, la sofferenza nel ricordo di un tempo che non può tornare “Certe volte la nostalgia è una maledizione, un veleno”.

Valerie Perrin è abilissima - già nel precedente romanzo ne aveva data dimostrazione - a muoversi nello scenario abbracciando un periodo di più di trent’anni, che va dal 1985 al 2018. Un intreccio ben articolato in continui e veloci passaggi spazio - temporali che invitano il lettore a non distrarsi,  stimolandolo nella concentrazione e attenzione.

Altrettanto competente e precisa nel ricostruire il momento storico, nel rievocare le atmosfere di quegli anni attraverso le canzoni, le mode, le droghe in voga, i valori, le illusioni, le speranze…

Altro punto a suo favore è la maestria nel saper catturare e coinvolgere il lettore, nonostante questi sappia già cosa è accaduto (perciò meno motivato) attraverso uno stile accattivante e coinvolgente che sa modulare bene con la scelta di un linguaggio semplice e chiaro.

Un libro che ho letto con molto piacere, anche se (volendo fare un confronto), preferisco il precedente Cambiare l’acqua ai fiori per l’atmosfera nostalgica che regna in tutto il libro, per il pathos e la simpatia che il personaggio di Violette Toussaint riesce a esprimere e trasmettere.

Forse in questo romanzo c’è troppo “materiale”, troppe storie nella storia - non a caso è un tomo di più di seicento pagine - in cui trova spazio anche il giallo che a mio parere poteva evitare. Credo che avrebbe sicuramente raggiunto lo stesso successo e prestigio, omettendo queste digressioni, che trovo fardelli pesanti non funzionali alla storia e quindi evitabili. Rimane comunque un romanzo valido che vale la pena leggere. Consigliato.

A.C.

"TRE" di Valerie Perrin ( edizioni e/o 2021)