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02 marzo 2024

LA MITE di Fëdor Dostoevskij

 


“La mite” fa parte delle prime opere dell’autore russo, che come ci racconta la critica, si ispirava spesso a fatti di cronaca per poi romanzarli con fantasia, riflessioni e approfondimenti. I suicidi fra le giovani donne erano assai frequenti nella Russia di fine ottocento, e pare che la storia descritta abbia avuto matrice da un fatto realmente accaduto.

Il romanzo breve di Fëdor Dostoevskij è un lungo monologo di un uomo – senza nome  – profondamente solo, stremato, deluso, umiliato dalla società degli uomini, che caduto in miseria riesce a rialzarsi, grazie a un’eredità ricevuta. Deciso a far soldi con un banco del pegno, incontrerà nel proprio negozio una fanciulla di appena sedici anni – anche lei senza nome – «esile, una biondina di media statura», in cerca di lavoro come governante.

«Compresi immediatamente che lei era buona e mite. Le persone buone e miti non resistono a lungo e, pur non aprendosi mai del tutto, è come se non fossero in grado di sottrarsi alla conversazione: rispondono quasi a monosillabi, ma rispondono, e più si va avanti, più parlano; l’unica è che non siate voi a desistere, se vi preme parlare con loro». Dapprima indifferente e arrogante verso di lei, si invaghirà, fino a farle la dichiarazione e sposarla.

La mite è una donna semplice, pensierosa, enigmatica, mansueta sì, ma intelligente.

«Del suo amore io allora ero sicuro[… ]mi amava, o meglio, per essere più precisi, desiderava amarmi». Nonostante la volontà di trovare un equilibrio, un’armonia di rapporto, la coppia non riuscirà mai a trovare un punto d’incontro, anzi per orgoglio e ostinazione di lui soprattutto, le loro strade si allontaneranno sempre più.

«Come in silenzio risponde l’uomo, Io poi sono maestro del parlar tacendo, tutta la mia vita l’ho trascorsa parlando in silenzio e sempre in silenzio sono passato, solo con me stesso, attraverso autentiche tragedie». Un silenzio determinante a creare un sempre maggior distacco, sfiducia, gelosia, disprezzo, incomprensione, sentimenti che l’autore sa descrivere in maniera magistrale.

«Ma il mio odio non potè mai maturare e consolidare nella mia anima. Io stesso d’altro canto sentivo che in qualche modo si trattava soltanto di un gioco. Neppure allora, benché io avessi sciolto il matrimonio comprando il letto e il paravento, né allora né mai, mai potei vedere in lei una colpevole».

Convinto di essere lui a condurre le regole del gioco, sarà screditato, ritrovandosi ai piedi di lei a supplicare quell’amore che non ha mai voluto manifestare.

La “mite” a dispetto del nome, si rivelerà una donna animata da una forza incredibile, ribelle, indipendente e audace: nel far la civettuola con il finanziere, quando impugna la rivoltella puntandola alla tempia del consorte, quando si fa silenziosa .... L’indifferenza, la paura di quello sguardo di «severa meraviglia», la porteranno infine ad ammalarsi fino a compiere il tragico atto. 

Già dall’inizio sappiamo che la donna  è morta, la vediamo distesa sul tavolo, composta con le braccia conserte e le mani che stringono l’icona della Madonnina  con la quale si è buttata dalla finestra, ma anche a conoscenza dell’epilogo, rimaniamo incollati alla pagina con sempre rinnovato stupore e sorpresa.

Concentrato su di sé l’uomo, per dissolvere ogni dubbio, cerca continue certezze, giustificazioni alla continua ricerca di un appiglio qualsiasi a sua discolpa, un soliloquio finalizzato solo a salvare sé stesso, a uscire indenne da un immaginario processo.

Una capacità di introspezione unica, una sensibilità che sa penetrare nell’animo umano per sviscerarne ogni aspetto, attraverso un linguaggio incomparabile, vero, emozionale.

Il messaggio è un urlo, un grido alla società, agli uomini: Amatevi, l’amore è la sola medicina efficace per sconfiggere il male della solitudine. 

Una storia, ahimè, così tremendamente moderna.

La mite di Fëdor Dostoevskij (Feltrinelli 1997 )


02 gennaio 2023

ANJA E DOSTOEVSKIJ A FIRENZE di Nicoletta Manetti

 

Uno scrigno prezioso di informazioni, curiosità, aneddoti, l’ultima pubblicazione di Nicoletta Manetti che ancora una volta sorprende per l’attenta ricerca storica, accuratezza dei dettagli e chiarezza dei contenuti, raccolti tutti in questo libriccino (e il diminutivo non è certo dispregiativo) di nemmeno cento pagine. Ciò dimostra che la sintesi è un suo ulteriore pregio, rivelando una capacità di concentrare gli eventi, le argomentazioni, osservazioni e riflessioni più plausibili ai fini di un messaggio narrativo efficace.

L’autrice, in questa ricerca romanzata, ripercorre il periodo di otto mesi, in cui lo scrittore soggiornò a Firenze insieme alla moglie Anja (anche assistente stenografa) ai tempi di Firenze Capitale. La coppia aveva scelto Firenze per il clima mite e dolce, ideale per scrivere rispetto alle temperature rigide russe, e soprattutto per sfuggire ai creditori. È nello scenario di questa magnifica città, circondata dai colli, dai giardini rigogliosi anche d’inverno, traboccante di arte e cultura che Dostoevskij conclude il romanzo “L’Idiota”. E qui è impossibile non provare un pizzico di orgoglio nell’apprendere come la nostra amata città sia stata fonte di tanta ispirazione.

I capitoli sono divisi per mesi, dall’arrivo nel novembre del 1868, fino alla partenza nel luglio dell’anno successivo, preceduti da una introduzione assai illuminante dove l’autrice ci spiega che lo scrittore era stato a Firenze sei anni prima con l’amico Turgenev, descrivendoci dove alloggiarono (addirittura il numero di stanza), chi frequentarono, come passarono il tempo. Viene ripercorso anche il periodo successivo, segnato da eventi infausti: lutti, perdite al gioco, debiti. La conoscenza di Anja, assunta come stenografa sarà l’inizio di una rinascita per lo scrittore, anche se non mancheranno ancora periodi di ombra e di dolore. Durante il soggiorno fiorentino, l’autrice è come se si mettesse al fianco di Dostoevskij, e lo seguisse senza mai abbandonarlo, rivelandoci i suoi desideri, i suoi interessi, le sue paure, le crisi per l’urgenza del libro da consegnare, la sofferenza per il clima estivo troppo afoso e insopportabile, mostrandoci la verità dell’uomo dietro l’artista che tutti conosciamo. Conclude il libro la testimonianza della figlia Liubov’ e i tributi di Firenze per i duecento anni dalla nascita del grande autore russo.

Assai interessante il corredo fotografico allegato, in cui Nicoletta Manetti ci mostra documenti, luoghi, edifici interni ed esterni, attuali e dell’epoca, i ritratti dei due artisti, che compaiono anche in copertina.

Un’opera dedicata a coloro (e non solo) che vogliono approfondire le conoscenze su questo scrittore, e che intendono scoprirne anche l’aspetto più umano, relazionale, pratico oltre che artistico.

Un libro che mi ha incantata, per la sobrietà, chiarezza, delicatezza del linguaggio, in uno stile semplice ma ricercato, tipico dell’autrice apprezzato già in altre sue opere.

Semplicemente delizioso, leggetelo.

A.C.