Davvero un piccolo cammeo questo breve romanzo di Charles Dickens, un prezioso gioiello narrativo che si ammira e apprezza dalla prima all’ultima pagina, un’incisione sottile e profonda che fa emergere la verità sui valori umani, i soli per cui vale la pena di vivere e morire.
Scrooge è un uomo d’affari, cinico, egoista, animato soltanto dal desiderio di accumulare denaro, indurito dalla sua stessa avidità, ma anche profondamente solo, senza amici, colleghi, familiari al fianco, allontanati nel corso della sua esistenza. Sarà proprio la notte di Natale, come una folgorazione, a cambiare la sua sorte, a redimerlo, a dargli quell’opportunità e speranza di sfuggire a un destino di dimenticanza e oblio. Quale momento migliore del Natale - in cui tutti si vogliono bene, abbandonati antichi odi e rancori, uniti davanti a tavole imbandite più del solito, giocando, ballando, scherzando attorno al focolare insieme ai propri cari - per farlo?
Scrooge «duro e acuto come una selce […]chiuso, controllato solitario come un’ostrica» farà un viaggio fuori e dentro la sua anima, accompagnato da tre spiriti diversi, attraversando i Natali del passato, del presente e del futuro, arrivando finalmente a comprendere ciò che veramente conta nella vita, ovvero i sentimenti di amore, rispetto, solidarietà, carità, clemenza, pazienza, benevolenza verso gli altri. E qui, sta tutta la sua forza di scrittore, ritenuto il fondatore del romanzo sociale, proprio per l’attenzione e la denuncia delle condizioni sociali delle classi più disagiate, abiette, povere del suo tempo, mettendone a nudo la sofferenza, la fame, le difficoltà economiche e di salute.
Non è solo il Natale a regalarci l’incanto fiabesco, ma le atmosfere che fanno da sfondo al racconto, perlopiù cupe, tenebrose, oscure, come a voler mettere ancor più in risalto l’animo privo di luce del protagonista, sempre più solo e distante dalla felicità.
Narrazione ricca di affascinanti e originali descrizioni «Non è facile dire se fossero loro a entrare
nella città o se fosse la città a sorgere dal suolo e a circondarli con il suo
traffico»;
«Vi erano mannelli di grappoli d’uva che, per
la delicata attenzione del negoziante, dondolavano dai grossi ganci perché la
gente che passava potesse avere gratis l’acquolina in bocca»; «Gli
occhi avevano un che di ansioso, di avido, di inquieto e svelavano la passione
che avrebbe preso radici in lui, facevano intuire dove sarebbero cadute le
ombre dell’albero che stava crescendo»; «La vecchia campana… battè fra le nuvole le ore e i quarti con rintocchi
prolungati e tremuli, come se lassù le crocchiassero i denti nella testa gelata».
Altrettanto azzeccate e divertenti le metafore e le similitudini: «Il vecchio Marley era morto come il chiodo
di un uscio»; «Nebbia e brina assediavano
l’androne della casa in maniera tale da far pensare che il genio stesso del
freddo sedesse sulla soglia in cupa meditazione» e quante
altre, arricchite da una vena umoristica come se la vita non andasse presa
troppo sul serio.
Una lettura davvero amabile, che ci impone con la leggerezza di una favola, a far chiarezza anche dentro noi stessi, a porre ascolto ai nostri fantasmi, a ciò che hanno da dirci, perché non è mai tardi per cambiare strada e rimettersi sul sentiero giusto, quello dell’empatia, condivisione e partecipazione, unica soluzione per essere davvero felici e in pace con sé stessi.
A.C.
Il Canto di Natale di Charles Dickens (Feltrinelli 2016)