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09 febbraio 2025

YOGA di Emmanuel Carrère


“Per vivere c’è bisogno di una storia”

Non è facile definire questo libro di Emmanuel Carrère – un saggio sulle discipline orientali, un romanzo autobiografico, un flusso continuo di coscienza in cui trovano ampio spazio l’introspezione insieme ai ricordi e alla narrazione di avvenimenti reali e di finzione, nello specifico quelli che hanno segnato tappe fondamentali nella vita dello scrittore? – un testo comunque che al di là della classificazione, vale la pena leggere.

Un romanzo sui generis, con una trama tematica direi, che segue un percorso inusuale e poco prevedibile – lo dice lui stesso che l’ ha iniziato con un’intenzione per poi finirlo in tutt’altro modo – apprezzabile per la ricchezza artistica e culturale, per la fluidità del linguaggio e per la sincerità della narrazione, priva di pregiudizio o paure nel manifestare le proprie debolezze. Un aspetto questo, il raccontare se stesso – la sua depressione, le pulsioni ossessive, il bipolarismo – senza veli o edulcoranti, che rendono l’autore lodevole e ammirevole ai miei occhi di lettrice.

Il romanzo è diviso in cinque capitoli, ovvero cinque contesti, scelti a pretesto per narrare la storia che non è una storia, in cui lo yoga è il tema base (e non principale) che sempre ritorna e al quale tutto ci riconduce.

Il libro inizia con nozioni, citazioni dei grandi yogin, definizioni dello yoga e della meditazione, tanto da farlo sembrare di primo acchito un manuale sulla pratica, con continui e suggestivi riferimenti personali. La permanenza nel luogo di ritiro dove lo scrittore, insieme ad altri adepti pratica Vipassana, interrotta però prematuramente, è solo l’inizio della narrazione, dalla quale si passa al ricovero nella clinica psichiatrica di Sainte- Anne,(agli elettroshock per la cura del suo “disturbo bipolare di tipo II”), dove l’autore ha passato una parentesi importante della sua vita. «Sono sprofondato più spesso di quanto avrei voluto in quell’abisso che si spalanca in certi momenti della vita e chiamiamo depressione o pazzia».

Non meno importante il tragico attentato di Charlie Hebdo, in cui perde la vita un caro amico, il soggiorno nell’isola di Leros coi rifugiati politici orientali e africani, le numerose amicizie, le donne amate e poi perdute di vista, gli amori possibili e impossibili, l’amore sempre presente, quello per la scrittura, che sarà salvifica, anche nel momento in cui deciderà di smettere di digitare con un solo dito sulla tastiera, imparando a farlo con tutte le dieci dita.

Il libro è l’espressione di ogni verità e il suo contrario: il bene e il male, il giorno e la notte, il bianco e il nero, la vita e la morte, perché la realtà è fatta dei due opposti, Yin e Yang, che regolano le nostre esistenze portandoci alla conclusione che non ne esiste una sola, unica e assoluta, ma tante che possono vivere nell’armonia dell’insieme; una «vita finalmente reale, sottratta all’illusione, la vita in cui vediamo le cose come sono».

La meditazione, fra le tante e innumerevoli definizioni è anche questo: «L’esperienza della meditazione, quando va bene, è un modo incondizionato di stare bene. Stai bene perché sei lì. Stai bene perché in nessun altro posto staresti meglio che lì dove sei [] Ti senti vivere. Non fare qualcosa: soltanto vivere».

Ecco se il lettore cerca azione, una lettura di tensione, credo che questo non sia il miglior libro dell’autore.

Si apprezza invece per lo stile, scorrevole, chiaro, semplice nella complessità dell’argomento, per la natura sincera dell’autore che si mostra al pubblico per quello che è, senza false etichette ma come uomo vulnerabile, perché è nella sua natura la fragilità e la grandezza sta nel riconoscerla, nel prendere consapevolezza e adoperarsi per migliorare. La scrittura in questo percorso può essere un ottimo strumento: «forse non posso guarire dal male da cui sono affetto, ma posso raccontarlo».

“Yoga” di Emmanuel Carrère ( Adelphi 2020)


22 giugno 2024

DIARIO DI UN DOLORE di C.S.Lewis

 

Diario di un dolore è un libro di interesse comune che tutti dovrebbero leggere, perché è pressoché impossibile nella vita di ciascuno di noi, non sperimentare il dolore, nonostante la sua soggettività. Il dolore come il piacere, fa parte del nostro quotidiano di esseri umani e sensibili, riveste un ruolo fondamentale e condizionante nel relazionarci con l’esterno, influenzando ogni sfera del nostro essere, fisica, mentale e spirituale.

Lo scrittore ha perso la moglie, il cancro se l’è portata via con sofferenze atroci. Questa opera, sotto forma di diario, partendo dal tragico evento, nasce come elaborazione della perdita, come risposta reattiva al dolore del lutto, della mancanza, nel tentativo di dargli forma, consistenza e valore, per poterlo superare forse, e dargli un senso, una connotazione..

L’autore però va oltre, riuscendo a penetrare il dolore e a descriverlo nelle molteplici sfumature: il dolore come una sbronza; il dolore come una arma puntata contro che incute paura e angoscia; il dolore che impigrisce inibendo ogni azione; il dolore come entità individuale ed esclusivamente personale « La debolezza dell’altro, la sua paura, la sua sofferenza non puoi farle tue. Potrai aver paura e soffrire anche tu. […] Ma sarebbe pur sempre un soffrire diverso», per quanto siamo vicini a chi soffre, ognuno conosce davvero soltanto il proprio dolore; il dolore come mistero: «Perché la separazione (per non dire altro) che tanto strazia chi rimane dovrebbe essere indolore per chi se ne va?»; il dolore che fa perdere il significato della vita stessa: «La gente non esiste, non è mai esistita. La morte non fa che rivelare il vuoto che c’era da sempre»; il dolore prolungato per la persona perduta che può allontanare l’affetto per la persona stessa «l’abbandono al dolore, invece di legarci ai morti, ce ne distacca».

E poi Il lutto, vissuto dai figli come imbarazzo, dal congiunto come assenza, come perdita di un’abitudine che svela orizzonti diversi e sconosciuti: « Il dolore di un lutto è come una lunga valle, una valle tortuosa dove qualsiasi curva può rivelare un paesaggio affatto nuovo».

Il concetto della morte, come un tabù da sfatare: «La morte esiste. E tutto ciò che esiste ha importanza»; la morte come approdo e non come l’arrivo.

Non mancano le riflessioni sull’esistenza di un’altra dimensione spaziale e temporale dopo la morte: «Dov’è lei ora? Ossia in quale luogo è lei in questo momento? Ma se H. non è un corpo,… H. non è in nessun luogo […]. Se i morti non sono nel tempo, o non sono nel tempo che noi conosciamo, esiste una chiara differenza, quando parliamo di loro, tra “era”, “è” e “sarà”? La risposta che prova a darsi è: «H è con Dio. Almeno in un senso, questo è certissimo. Essa è, come Dio, incomprensibile e immaginabile».

Questo lungo percorso sul dolore si rivela alla fine una sublimazione, un salto spirituale, una modalità saggia (anche se dolorosa) per approfondirsi, crescere, evolversi.

L’autore attua questo processo in maniera stoica, alternando la razionalità all’emozione, in una gamma di stati d’animo, anche contraddittori a volte, in cui mette in discussione la fede stessa, criticando e analizzando il suo Dio: «È razionale credere in un Dio cattivo? O comunque, in un Dio tanto cattivo? Il Sadico Cosmico, l’idiota malevolo?».

Non manca la riconciliazione con «Lui come il donatore e con lei come dono… amarla è diventato, nella sua misura, come amare Lui», che riaccende la speranza capace di lenire ogni sofferenza.

Un libro intenso e coraggioso che mette in luce gli aspetti complessi del dolore – fisico, psichico e spirituale –  che porta noi lettori a soffermarci e a confrontarci anche con il proprio, a dargli un significato, trovando molti punti in comune, sebbene la soggettività e l’unicità dell’esperienza stessa.

Un libro che terrò nella biblioteca del mio cuore.

“Diario di un dolore” di  C.S.Lewis ( ed. Adelphi 1990)

05 marzo 2023

TURCHINA di Elena Triolo

 

Incuriosita dal personaggio della famosa fata di Pinocchio (sulla quale ho scritto un racconto di prossima pubblicazione), ho partecipato proprio ieri alla presentazione di Turchina, una graphic novel di Elena Triolo, sebbene non conoscessi l’autrice e il genere narrativo. Ebbene, mi si è aperto un mondo. Ho iniziato la lettura subito dopo l’acquisto e non mi sono più fermata, apprezzando ogni singola frase, immagine, fumetto, perfino il logo di Bao, rivisitato dall’autrice e il salto finale del grillo. Credo che dovrò rileggerlo, con la lentezza utile e necessaria se vorrò apprezzarne ogni singolo dettaglio (e ce ne sono davvero tanti).

Non so davvero da che parte cominciare per esprimere il mio alto gradimento indirizzato alla rappresentazione grafica, espressività dei personaggi, cura dei particolari, ricostruzione storica, ambientale e sociale di Sesto Fiorentino nel secolo scorso, curiosità e aneddoti legati al personaggio di Carlo Lorenzini, Collodi, autore di Pinocchio romanzo uscito a puntate, dal felice successo.

L’aspetto interessante di questo libro, oltre al disegno che trovo delizioso e godibile da un punto di vista visivo, è la storia di un personaggio secondario (ma non più di tanto), ovvero di colei che ispirò il personaggio della fata turchina, Giovanna Ragionieri, cameriera presso la residenza di Villa il Bel Riposo, a Castello dove Carlo Lorenzini  trascorreva le vacanze estive. Carlo conobbe Giovanna quando era piccola, e giocava nella villa dove il padre era giardiniere. Fra i due nacque una forte e solida amicizia (e su questo sono d’accordo con l’autrice) che andava al di là di ogni convenzione e impedimento sociale, tanto che lo scrittore volle immortalarla nel suo romazo nelle sembianze della fata turchina, figura, come tutti sappiamo, che ammaliò e condusse sulla buona strada il burattino di legno.

Azzardo la definizione di opera autobiografica (perché l’autrice narra la vita di Giovanna Ragionieri dall’infanzia alla morte), anche se non mancano elementi di finzione, in cui Elena mette in atto la fantasia (in maniera eccellente) compensando perciò le mancanze dovute alla scarsa documentazione in merito. Tra le righe della storia, si intuisce il grande lavoro di ricerca e documentazione che ha impegnato l’autrice nella ricostruzione di un periodo storico, sociale (non facile per una piccola realtà come quella sestese), per restituircelo vero e plausibile.

Altro aspetto che ho apprezzato molto è la struttura della narrazione, ovvero l’impostazione della storia, sempre ben datata, che si svolge come un dialogo continuo, una corrispondenza aperta tra Giovanna e lo scrittore, in cui entrambi si rivelano al lettore, esprimendo emozioni, pensieri, sentimenti trasportandoci e coinvolgendoci nel loro complice e meraviglioso rapporto. Rilevante  anche (e qui ci sarebbe da aprire una lunga parentesi) l’aspetto del femminile di Giovanna – la prima mestruazione, il matrimonio, il rapporto coniugale, la maternità, la maturità e la vecchiaia – trattato dall’autrice con una sensibilità dolce e rassicurante, unica, direi.

Anche la tematica della morte, l’immagine dantesca di una barca a traghettare le anime sull’altra sponda, è rappresentata e vissuta (termine non proprio appropriato per un defunto) con leggerezza e ironia.

Altro merito del libro è la rappresentazione di alcuni avvenimenti e riferimenti storici che hanno caratterizzato la storia di Sesto Fiorentino, come la strage del Collegino di Colonnata, il bombardamento dell’8 febbraio 1944 in via delle Porcellane, in cui persero la vita 23 bambini insieme al parroco, scambiati dagli alleati per soldati; l’importante e florida Manifattura di porcellane  Richard Ginori; l’esistenza del Teatro Niccolini nel centro di Sesto, demolito negli anni sessanta; l’isola di Santa Croce e del “mare sestese”, insomma, un modo originale e affascinante di ripercorre e mantenere viva la memoria di un paese se non altro per non ripetere gli stessi errori.

Gradevole e non trascurabile (e qui concludo) è il buon odore, fresco di stampa del libro, anch’esso parte integrante nella lettura, che alimenta altrettanta magia e incanto.

Insomma un libro davvero delizioso in tutti i sensi, che consiglio a grandi e piccini, con l’augurio sincero che superi i confini geografici e come la storia di Pinocchio, faccia ingresso in tutte le case del mondo. 

A.C.

Turchina di Elena Triolo ( Bao Publishing 2023)


08 aprile 2022

IL GIARDINO DI EMMA di Paolo Dapporto

 

Mi succede sempre così al termine di un libro di Paolo Dapporto, devo scrivere subito qualche riflessione sulla lettura, forse per non staccarmene troppo in fretta, per rimanere ancora nell’atmosfera magica, leggera, positiva che caratterizza ogni suo libro.

Sono gli anni Sessanta, periodo di piena ripresa economica. Paolo e Guido, compagno di liceo, fuggono dall’afa fiorentina per trascorrere una vacanza di studio in preparazione della maturità, sulle montagne pistoiesi, a Frassignoni, paesino sperduto nei pressi di Pracchia. Lì i due giovani, conosceranno un gruppo di ragazze e ragazzi coetanei, con i quali trascorreranno giorni felici e indimenticabili alla scoperta del luogo, a stretto contatto con la bellezza, energia  e semplicità della natura circostante. Ma scopriranno anche l’amore, e Il giardino di Emma, sarà il luogo di incontro, il fulcro, il centro pulsante della vita del paese e delle loro nuove esperienze. Un’estate indimenticabile per tutti i ragazzi, che segnerà davvero il grande passo verso il loro percorso di maturità.

Interessante il finale aperto che lascia al lettore le infinite possibilità, la libertà di decidere come andrà avanti la storia tra Paolo e Tosca.

Un libro che parla di amicizia, del desiderio di conoscersi, stare insieme, parlare, scherzare, divertirsi; di amore quello che fa battere il cuore, che ti fa sentire leggero, vivo, invulnerabile; di speranza e fiducia in un futuro tutto da costruire, da vivere; di gioia, anche se non mancano momenti di dolore e di tristezza accettati e superati però come tappe inevitabili di vita.

Un libro in cui l’autobiografia si confonde con l’invenzione (è lo stesso Paolo a dircelo alla prima presentazione dell’opera), e ciò non può far altro che arricchire, colorare, valorizzare, rendere più intrigante e avventurosa la storia stessa.

Un libro piacevole, spassoso, divertente, scorrevole pieno di energia e di positività, una scrittura semplice ma precisa e competente, in cui si avverte tutto lo spirito leggero e bonario dell’autore stesso.

Un libro che si legge tutto d’un fiato, e non lo dico per retorica, ma i libri di Paolo Dapporto sono come alberi di ciliegie, una pagina tira l’altra e si arriva alla fine senza nemmeno accorgersene, soddisfatti senza aver fatto indigestione.

A.C.

Nel giardino di Emma” di Paolo Dapporto (Edizioni Il Castello 2022)


14 novembre 2021

UNA TORTURA DELIZIOSA - Pagine sull’arte di scrivere” di Henry Miller

 

Non poteva mancare nel nostro blog un testo sulla scrittura, sul valore per chi la pratica, sul significato intrinseco della parola, sull’ impegno, ricerca e faticoso lavoro che si cela dietro l’arte dello scrivere, affidato non solo all’ispirazione del momento.

In questo libro che racchiude frammenti tratti dalle principali opere di  Henry Miller (Tropico del Cancro, Crocifissione rosa, Tropico del Capricorno, Primavera Nera, The Cosmological Eye, I libri della mia vita, Arte e oltraggio, ecc…) si svela la personalità dell’uomo e dello scrittore, unità unica e inscindibile costruita col tempo e l’esperienza, fonte primaria per la ricerca della verità.

Infinite sono le riflessioni sulla scrittura, e mi trovo in difficoltà a selezionare le più significative e rilevanti, a testimonianza delle sue capacità di artista della parola.

“La scrittura come la vita stessa, è un viaggio di scoperta. L’avventura è di tipo metafisico: è un modo di accostarsi indirettamente, o di acquisire una visione totale piuttosto che parziale dell’universo. Lo scrittore vive sospeso tra il mondo superiore e quello inferiore:imbocca una strada per poter alla fine diventare lui stesso quella strada.[...]. Sono un uomo che racconta la storia della sua vita, un’operazione che sembra diventare sempre più inesauribile man mano che vado avanti [...].Quasi fin dall’inizio sono stato profondamente consapevole che non esiste uno scopo. Non spero mai di abbracciare il tutto, ma semplicemente di dare in ogni singolo frammento, in ogni opera, la sensazione del tutto man mano che vado avanti, perché sto scavando sempre più in profondità nella vita, scavando sempre più in profondità nel passato e nel futuro. Con questo scavare senza fine si sviluppa una certezza che è più grande di qualsiasi fede o credo. Divento sempre più indifferente al mio fato, come scrittore, e sempre più certo del mio destino di uomo. [...]

Il destino dell’uomo è per Miller la ricerca del proprio destino:

“…il problema non è andare d’accordo con il proprio vicino o contribuire allo sviluppo del proprio paese, ma scoprire il proprio destino, vivere in armonia con il ritmo profondo del cosmo [...]. Il paradiso è ovunque , ed è lì che porta ogni strada, se si continua a percorrerla fino in fondo.    

La scrittura ha questa valenza intrinseca di rivelare l’uomo che è in noi, di renderci consapevoli della nostra identità, attraverso il percorso stesso, un percorso che sembra non avere mai fine.

E ancora ci parla dell’impronta autobiografica della sua scrittura:

“Ogni riga, ogni parola è profondamente collegata alla mia vita, sia sotto forma di azione, evento, dato, pensiero, emozione, desiderio, evasione, frustrazione, sogno, fantasia, capriccio, perfino i frammenti incompleti che fluttuano distrattamente nel cervello come i fili spezzati di una ragnatela”.

E della consapevolezza del suo unico talento:

“Mi sentivo spinto a scrivere perché sembrava l’unico sbocco possibile per me, l’unico compito adatto alle mie capacità”.

Ma anche la consapevolezza che nel perseguire questa strada si deve distruggere ogni certezza degli altri su noi stessi:

“Ho dovuto imparare a pensare, a sentire e vedere in modo completamente nuovo, in un modo incolto, in un modo tutto mio, che è la cosa più difficile del mondo. Ho dovuto tuffarmi nella corrente, sapendo che probabilmente sarei affondato [...] Nessuno può affogare nell’oceano della realtà se si abbandona volontariamente all’esperienza. Nella vita non si progredisce adattandosi, ma osando e obbedendo al cieco impulso”.

Può sembrare rischioso e azzardato un pensiero del genere, che poi ha portato Miller a osare con un linguaggio scandaloso spesso criticato e censurato, ma che trova conforto, spiegazione e riscatto in queste parole:

“Agli occhi di Dio tutto è divino. E quando dico tutto intendo tutto. Se si guardano le cose in questa luce, la parola trasmutazione diventa ancora più carica di significato: implica che il nostro benessere dipende dalla nostra comprensione spirituale, dall’uso che facciamo della visione divina che possediamo.”

Non sono certamente le parole oscene e il linguaggio accusato di pornografia a togliere valore e spiritualità all’opera di Miller.

Avrei ancora tanto da commentare in merito al libro che consiglio a tutti coloro che come me, hanno riservato alla scrittura un posto speciale nella propria vita. Non è questo lo spazio giusto per dilungarmi, perciò segnatevi il titolo e leggetelo, se sono riuscita a incuriosirvi.

Voglio terminare con una bellissima frase dell’autore, che riassume, il grande Uomo e Scrittore (per quanto lo conosca) che ho trovato in lui:

“ L’umanità si trova in queste perniciose condizioni perché tutti noi, i giusti come gli ignoranti e i malvagi, manchiamo di vera indulgenza, di vera compassione,  di una vera conoscenza e comprensione della natura umana. Per dirla nel modo più succinto e semplice possibile, questo è il mio atteggiamento fondamentale nei confronti della vita, in altre parole la mia preghiera: «Smettiamola di contrastarci a vicenda, smettiamola di giudicarci e condannarci, smettiamola di massacrarci»”. (da The Henry Miller Reader, 1959)

A.C.

"Una tortura deliziosa - Pagine sull’arte di scrivere” Ed. minimum fax