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05 ottobre 2025

LA COMMEDIA UMANA di William Saroyan

 

«Pensavo che un ragazzo non dovrebbe piangere più, una volta cresciuto, mentre sembra quasi che sia proprio quello il momento di cominciare, perché è allora che apre gli occhi»

Un autore che non conoscevo e che mi ricorda molto John Fante – col suo alter ego Arturo Bandini –collocandosi tra i tanti scrittori americani figli di immigrati, in fuga da realtà belliche persecutorie, alla ricerca di un futuro migliore.

William Saroyan nato negli USA ma di origini armene, ripropone in tutta la sua opera letteraria la propria esperienza di figlio di immigrati, in un contesto diverso in cui riesce a inserirsi con coraggio, ostinazione e umiltà.

Una piacevole scoperta, che ci porta nell’America degli anni Quaranta, in un paese immaginario della California, Ithaca, dove la Seconda Guerra mondiale fa da sfondo morale e affettivo alle vicende quotidiane della famiglia Macauley, segnandone le paure, le perdite e le speranze.

Il protagonista, Homer Macauley, è un ragazzino di quattordici anni che lavora come messaggero telegrafista per portare a casa qualche soldo in più a sostegno della famiglia. Studia di giorno e lavora la sera, consegnando con straordinaria velocità, in sella alla sua bicicletta, i telegrammi alle famiglie del paese. Una figura straordinaria, che emerge per la sua intelligenza, dignità e onestà. Un piccolo grande uomo con una sensibilità unica, pieno di amore e coraggio. Un ragazzo già consapevole del male che affligge il mondo, dell’atrocità delle guerre, dell’odio e della competizione tra gli uomini. Una consapevolezza che lo rende propositivo e resiliente, capace di trasformare le avversità della vita in insegnamento e stimolo di crescita.

Al suo fianco si muovono altri personaggi significativi: Ulysses, il fratellino minore, con lo sguardo meravigliato sul mondo nonostante gli ostacoli (emblematica la scena della trappola nel negozio del signor Covington dalla quale viene liberato grazie al gigante Chris) deliziandoci per la sua innocenza e curiosità; la madre, donna forte e presente, amorevole e saggia, capace di ascoltare senza essere iperprotettiva; Bess, la sorella adolescente che studia al liceo e suona il pianoforte e Marcus, il fratello maggiore arruolato nell’esercito. Una famiglia senza il padre – morto in guerra – ma la cui presenza aleggia costantemente nel ricordo benevolo e nostalgico di ciascuno.

Indimenticabile anche l’anziana insegnante Hicks con i suoi precetti preziosi: «In uno stato democratico tutti sono uguali, ma è fondamentale che ciascuno si impegni per dare il meglio di sé, non importa come […] Che sia ricco o povero, brillante o impacciato, genio o semplicione, per me fa lo stesso, quel che conta è la sua umanità – che abbia un cuore – che ami la verità e l’onore – che rispetti i superiori ma anche le persone più deboli […] Voglio che i miei ragazzi siano persone originali, felicemente diverse».

Il signor Grogan col quale Homer instaura un rapporto d’amicizia e di reciproco aiuto nonostante la notevole differenza di età, gli fa dono di pillole di saggezza, anche con la mente offuscata dall’alcol: «Sii contento di te, sii riconoscente. Cerca di comprendere l’importanza di essere contenti di come si è. Sii contento, perché godrai della fiducia di persone del tutto sconosciute». Un messaggio che racchiude una lezione profonda: credere in se stessi e nella propria identità è una forza vincente e travolgente.

C’è poi Il signor Spangler, che assume il ragazzo comprendendone la necessità, nonostante non abbia ancora l’età e che si ferma spesso a parlare con lui, quasi a colmare la figura paterna mancante.

Tra i personaggi più teneri Lionel, Il miglior amico di Ulysses, evitato dagli altri ragazzi perché ritenuto “scemo” ma amato e reso unico dal piccolo.

Proprio per questo ricco mondo, dove ogni figura rappresenta un tassello importante della storia, definirei La commedia umana molto più di un romanzo di formazione, perché i personaggi che “crescono” sono molti, forgiati dalle prove della vita che ognuno affronta con forza, dignità e orgoglio.

Si avverte il taglio autobiografico – i genitori armeni fuggiti al genocidio, le origini umili, i lavori saltuari dell’autore (tra cui quello di telegrafista) – che rende la scrittura così realistica nella sua linearità e chiarezza.

La commedia umana è una storia di vita in un’ epoca segnata dalla guerra mondiale, scritta con uno stile semplice, caloroso e immediato, che arriva direttamente al cuore.

La scrittura di Saroyan parla di sentimenti, emozioni e valori autentici: la famiglia, il lavoro, la solidarietà, l’amicizia, l’empatia, il rispetto, il sacrificio, la compassione… e soprattutto la speranza.

E a proposito di speranza non posso non citare le parole della madre al figlio: «Nel mondo ci sarà sempre dolore. Questo non significa che si debba perdere la speranza. Un uomo vero si sforzerà di eliminare il dolore dal mondo. Un uomo meschino non lo vedrà nemmeno, tranne che in sé stesso. E un uomo malvagio, per sua disgrazia, porterà al mondo altro dolore, seminandolo dovunque andrà».

Questa aria di speranza è il sottile ottimismo che attraversa l’intero romanzo, come un avvertimento a non lasciarsi sopraffare dallo sconforto e dall’inerzia.

Un libro tremendamente realistico e attuale, delicato ma profondo, senza tempo.

Un romanzo che tutti – grandi e piccini – dovrebbero leggere: una grande scoperta per cui devo ringraziare ancora l’amica del gruppo di lettura che ce lo ha consigliato.

“La commedia umana” di William Saroyan ( ed Marcos y Marcos 2018)

16 gennaio 2023

IL MESTIERE DI SCRIVERE di Raymond Carver

 


Il mestiere di scrivere è una raccolta di brevi saggi, tenuti da Raymond Carver nel suo percorso di docente di scrittura creativa, una lettura assai interessante per chiunque voglia approcciarsi alla magnifica arte dello scrivere, ma anche per chi ha già pubblicato e si considera uno scrittore, perché credo davvero che non si finisca mai di imparare.

Il libro oltre a fornire esercizi, consigli, riflessioni, istruzioni di scrittura, ci svela l’uomo il suo modo di pensare, il carattere, la sensibilità descritto dettagliatamente anche nella prefazione e nelle testimonianze di chi lo conosceva.

Per me che ne ho letto e apprezzato le opere (perlopiù racconti), è stato un piacere incontrarlo di nuovo; è stato come mettermi seduta nell’aula insieme ai suoi studenti, per ascoltare i suoi insegnamenti catturando (aveva una voce sempre flebile, udibile a malapena) le sue tesi sulla letteratura e i preziosi suggerimenti sul mestiere di scrivere.

Accusava lo sperimentalismo in maniera accorata, ritenendolo «come una specie di licenza per scrivere in modo sciatto, sciocco o imitativo. La vera sperimentazione dovrebbe essere originale» asseriva.

La scrittura deve avere la capacità di sbalordire: «In una poesia o in un racconto si possono descrivere delle cose, degli oggetti comuni usando un linguaggio comune ma preciso e dotare questi oggetti – una sedia, le tendine di una finestra, una forchetta, un sasso, un orecchino – di un potere immenso, addirittura sbalorditivo».

Aveva un grande rispetto per le parole, per il loro potere straordinario e unico: «Non sopporto cose scritte in maniera sciatta e confusa [] le parole sono tutto quello che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste, con la punteggiatura nei posti giusti in modo che possano dire quello che devono dire nel modo migliore».

Il motore della storia è la minaccia, la tensione «che qualcosa sta per accadere, che certe cose si sono messe in moto e non si possono fermare, altrimenti, il più delle volte, la storia semplicemente non ci sarà. Quello che crea tensione in un racconto è, in parte, il modo in cui le parole vengono concretamente collegate per formare l’azione visibile della storia. Ma creano tensione anche le cose che vengono lasciate fuori, che sono implicite, il paesaggio che è appena sotto la tranquilla (ma a volte rotta e agitata) superficie del racconto».

Proprio così, per far funzionare un racconto, si devono conoscere tante cose di quella vicenda – chi era il padre, la madre del protagonista, che lavoro facevano, come era la casa dove ha vissuto l’infanzia, ecc… conoscere l’invisibile, anche se poi non arriveremo mai a parlarne. Dobbiamo avere tutto chiaro nella nostra testa, per renderlo con altrettanta chiarezza al lettore, di questo anch’io sono assolutamente convinta.

Carver è il fautore del linguaggio chiaro, preciso, dettagliato, «un linguaggio usato in modo da infondere vita a dettagli che illuminino il racconto al lettore» perciò è opportuno che «il linguaggio sia dato in maniera quanto mai accurata e precisa. Le parole possono essere precise anche al punto di apparire piatte, l’importante è che siano cariche di significato». Parole cariche di significato, una frase sicuramente da tenere sotto gli occhi, appuntata sotto il monitor (copiata su una scheda sei-per-dodici, avrebbe detto lui ) mentre scrivo anch’io i miei racconti. Questa impostazione la ereditò dal suo mentore John Gardner indirizzandolo a quello che molti definiscono minimalismo. Gardner e successivamente Gordon Lish, gli insegnarono a usare la parola precisa e a eliminare il sovrappiù, gli orpelli, «come fosse importante dire esattamente quel che volevo dire e niente di più, non usare parole “letterarie” o un linguaggio “pseudopoetico”[…], come dire ciò che volevo dire e usare il minimo numero di parole per farlo».

In questo saggio si scopre, come già dicevo, l’essere umano nel suo modo informale, le sue semplici origini, la sua profonda modestia («Non sapevo niente, ma almeno sapevo di non sapere niente»), la sua umiltà velata di timidezza. Mi ha colpito quel sussurrare le lezioni con timido appiglio, quasi volesse scusarsi di dire le sue opinioni. Ne emerge il ritratto di un uomo generoso, altruista, sensibile, buono, incoraggiante, positivo.

Altro concetto fondamentale che condivido appieno (anch’io leggo, rileggo, correggo con una premura maniacale il testo) è l’importanza della riscrittura perché «uno scrittore scopre quello che vuol dire mediante un continuo processo consistente nel “vedere” quello che ha già detto. E questa visione, questo processo di messa a fuoco della visione, si otteneva mediante la revisione».

Per Carver è importante comunicare col lettore perciò si deve essere chiari, precisi, come importante è aver «fiducia nel fatto che il mondo conosciuto abbia ragion d’essere, e che valga la pena di scriverne». Essere chiari aiuta anche il lettore a capire come funziona la mente del personaggio.

Un altro consiglio di scrittura (anche questo da appuntare sotto il monitor) è di non scrivere frasi troppo simili fra loro (le ripetizioni) perché rappresentano «un ostacolo per far entrare il lettore nel tuo sogno».

La letteratura deve essere realista, narrare il mondo che ci circonda, avvenimenti quotidiani, tratti dall’esperienza di tutti i giorni.

Interessante è il capitolo dedicato al laboratorio di scrittura, in cui sono riportati alcuni audio originali delle lezioni tenute da Carver all’Università dell’Iowa, in cui si può apprezzare la qualità e la passione del suo insegnamento.

Concludo qui, scusandomi per le continue e numerose citazioni, ma credetemi non ho saputo resistere.

Ho terminato la lettura ma non il libro: mi attendono ancora cinquanta esercizi di scrittura creativa, sulle orme dei racconti dell’autore, ai quali mi dedicherò con sincero piacere.

A.C.

“Il mestiere di scrivere”di Raymond Carver ( Einaudi Stile Libero 1997)