Visualizzazione post con etichetta dramma familiare. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta dramma familiare. Mostra tutti i post

12 aprile 2023

LA SETTIMANA BIANCA di Emmanuel Carrère

 


Adoro La settimana bianca, ultima proposta del nostro Gruppo di lettura, riletto davvero con piacere, offrendomi l’opportunità di cogliere altri aspetti importanti della storia, che non avevo focalizzato in prima battuta, trasportata più dal “filo misterioso” della trama, che dai preziosi ricami attorno ad essa.

Emmanuel Carrère ci introduce gradualmente nel mondo del piccolo Nicolas, accompagnato dal padre col proprio mezzo allo chalet di montagna per trascorrere la settimana bianca insieme ai compagni di classe, che invece sono arrivati in pullman. Tutto ciò perché dieci giorni prima un camion si è scontrato con uno scuolabus uccidendo parte della scolaresca e il genitore non ha voluto correre rischi. Soltanto ore dopo il suo arrivo, il ragazzino si accorge che lo zaino con tutto l’occorrente per la vacanza è rimasto nel bagagliaio dell’auto, dando il via a una catena di eventi e problematiche.

Nicolas ci viene presentato (punto di vista in terza persona) come un bambino “particolare”, stravagante, timido, con« la testa fra le nuvole», oppresso dal padre, che decide per lui, che cerca attraverso un’ iperprotezione smisurata di salvaguardarlo da ogni pericolo e frustrazione. Si  avverte subito, che c’è ossessione, qualcosa di patologico, di assurdo se vogliamo, nell’ atteggiamento dell’uomo che si impone alle buone e sagge regole del vivere civile comune, non permettendo al figlio di confrontarsi, relazionarsi stabilire amicizie e accordi, di crescere. Il disagio aumenta man mano che l’autore ci svela altri indizi. Singolare è la poca presenza della madre (e le sue capacità decisionali) di cui ritroviamo il fantasma in sottofondo (anche nella battuta finale) che si proietta come un’ombra, senza mai davvero apparire in carne e ossa.

Potremmo definirlo un romanzo di formazione, non in prima ma in terza persona, dove il protagonista non è un adolescente ma un ragazzino di dieci anni circa. Nicolas sembra uno stupido, ma in realtà ha un mondo interiore così ricco, articolato e con una sua logica, un animo così sensibile e suscettibile, da giustificare ogni sua azione, anche quelle all’apparenza più insensate. Ci si innamora subito di questo bambino così fragile e incompreso, che con le sue sventure riesce a conquistare subito Patrick l’animatore, ricambiato con fiducia e ammirazione. Patrick assume forse il ruolo di figura antitetica del padre (rigoroso, ossessivo, misterioso), con la sua indole solare, allegra, anticonformista, leggera e trasparente.

Anche se l’autore non ci mette in guardia su qualcosa di specifico, si avverte fin dall’inizio un senso di catastrofe imminente, qualcosa che deve accadere e che non sarà niente di piacevole.

Viene sfiorato appena il tema del bullismo, mettendo solo in risalto le coalizioni all’interno del gruppo scolastico, le regole del più forte (Hodkann) che sovverte il più fragile, e del gregge che segue il capobanda nelle buone e cattive azioni.

Da un punto di vista strutturale mi ha entusiasmato la modalità di narrazione. La storia si svolge nel presente, con flashback sul passato (in cui si apprendono notizie chiave sulla famiglia del piccolo Nicolas) e proiezioni future, ma la cosa che ho trovato più originale, è l’ipotesi continua che l’autore fa su ciò che può accadere facendo parlare il mondo immaginario di Nicolas, rendendoci partecipi diretti delle sue fantasie, paure, angosce, fantasmi interiori. Non è solo entrare nel suo punto di vista, vedere il mondo attraverso i suoi occhi, ma penetrare nella sua mente tormentata, nei suoi pensieri, nel suo modo di ragionare e interpretare ciò che accade intorno a lui, nella sua modalità, cioè quella di formulare possibili vicende future, da renderle altrettanto vere e tangibili come quelle reali. È come se la storia si aprisse a infinite storie, estese possibilità, ognuna non meno importante dell’altra.

Anche le descrizioni sono mirabili esempi di ottima scrittura, dove l’autore senza catalogare niente ci dice tutto:«Anche il pullman aveva l’aria di un animale addormentato: cucciolo dello chalet, stretto al suo fianco, che dormiva a occhi aperti coi suoi grandi fari spenti».Così quando descrive le sensazioni del protagonista: «Nicolas aveva l’impressione di ansimare, di correre a perdifiato dentro di sé, sbattendo contro le pareti, e al tempo stesso sapeva che dall’esterno niente di tutto ciò era visibile []; sembrava che gli organi di Nicolas, spaventati, cercassero rifugio il più lontano possibile dalla parete che quelle mani calde e sicure palpavano[]; Nei canali del suo cervello ostruiti dal gelo i pensieri non riuscivano più a circolare[];Combattuto tra il desiderio di riavere le sue cose e il timore di veder tornare suo padre[]; Provava la sgradevole sensazione di essere il nuovo arrivato a cui niente è familiare e che gli altri sicuramente prenderanno in giro».

Un passaggio che ho trovato particolarmente avvincente e tenero nel farci conoscere il ragazzino, è quando uscendo nella notte nevosa, preoccupato per ciò che è accaduto fra le lenzuola, Nicolas si fa coraggio, nell’abitacolo dell’auto di Patrick, paragonandosi alla Sirenetta, che per divenire donna dovrà in cambio perdere la sua meravigliosa voce; anche lui perderà la voce, morirà di freddo. Nella descrizione accurata della metamorfosi del corpo della Sirena ho intravisto la stessa trasformazione che ogni fanciullo o fanciulla dovrà affrontare al momento dell’adolescenza, momento di passaggio critico e fondamentale per ciascun essere umano. Un’altra riflessione che come un’eco mi è più volte tornata indietro, è che Nicolas appare “incosciente” sui fatti che riguardano la sua famiglia ma proprio perché è un bambino sveglio, come lo definisce Patrick, in realtà sembra che abbia intuito molto di più di ciò che pare, avvicinandosi a una verità che non gli è mai stata svelata, ma che nel suo intimo sembra custodire.

La maestria dell’autore è nel sapere mantenere sempre presente “il segreto”, sempre alta la tensione, prolungando la suspence, mettendoci alla fine un delitto inaspettato (almeno per me) che ingigantisce e continua ad animare l’attesa.

Tutto si cela tra le righe della narrazione, all’apparenza semplice e chiara, ma assai complessa, ben architettata: ogni parola ha un peso, un valore, non viene menzionata a caso, ma ritorna con puntualità e significato (il trasloco della famiglia, il braccialettino brasiliano e i desideri annessi, il padre che dorme giornate intere quando torna a casa e che rivolge domande senza senso e memoria…), insomma un complicato e affascinante marchingegno narrativo.

Il capitolo 26 che inizialmente non avevo compreso, trovandolo fuori contesto ai fini narrativi, è quello invece di maggiore spessore a un’analisi più attenta. Nicolas e Hodkann, si incontrano trentenni, quindi nel futuro, dove l’amico non se la passa granché bene e forse col rancore della menzogna e della beffa subita dal piccolo Nicolas, gli si scaglia contro con un coltello affilato. In queste poche righe l’autore ci ha ridato tutta la speranza che sembrava averci tolto nel finale con l’affermazione dell’animatrice sul destino del ragazzino: «Che vita potrà mai avere?» Ecco, qui si ha la rivelazione della redenzione di Nicolas. La sua salvezza è proprio in questa visione futura dove noi lettori possiamo intravedere che il dramma familiare, non ha creato “un diverso”, ma un adulto che riuscirà a condurre una vita ordinaria (la cartella sottobraccio ne rappresenta il simbolo).

Una lettura davvero sorprendente capace di mantenere alta l’attenzione e l’empatia verso il protagonista e i personaggi molto realistici, fino all’ultima pagina. Da leggere assolutamente.

A.C.

La settimana bianca di Emmanuel Carrère (Gli Adelphi 2014)

23 marzo 2023

TRE PIANI di Eshkol Nevo

 

Tre piani, tre storie, tre drammi familiari distinti ma collegati fra loro in un unico romanzo che li raccoglie tutti, completandoli. Un romanzo avvincente, che cattura e coinvolge subito fin dalle prime pagine, per la capacità dell’autore — che conosce e sa ben usare il cliffhanger — di tenerci continuamente agganciati alla storia. In tutte e tre i racconti infatti, siamo informati fin da subito che è successo qualcosa di piuttosto importante e grave, e tutta l’attenzione di noi lettori procede in quella direzione. 

La voce narrante, nei tre capitoli, è sempre la prima persona, che dal suo punto di vista si rivolge a un interlocutore ogni volta diverso, attraverso un dialogo aperto (nel primo caso è un amico dell’adolescenza, uno scrittore; nel secondo è un’amica d’infanzia; nel terzo, è il marito defunto della protagonista).

È proprio la struttura, l’architettura, il modo agile e ben costruito della trama, la capacità tecnica dello scrittore israeliano (finora a me sconosciuto) che riesce a creare questo complesso trittico, ciò che più ho apprezzato.

I tre piani possono rappresentare la coscienza dell’uomo, come l’autore suggerisce in riferimento a L’Enciclopedia delle idee di Freud, dove «al primo piano risiedono tutte le nostre pulsioni e istinti, l’Es. Al piano di mezzo abita l’Io, che cerca di conciliare i nostri desideri e la realtà. E al piano più alto, il terzo abita sua altezza il Super-Io» e ogni protagonista del rispettivo piano sembra rappresentare proprio queste peculiarità.

Il piano rappresenta anche la famiglia, come istituzione, nello specifico il modello familiare medio-borghese, con tutti i pregi e difetti, vizi e virtù, verità nascoste o dichiarate, sullo sfondo di una cittadina alla periferia di una Tel Aviv contemporanea. «Ogni famiglia è un pianeta a sé, e a volte serve la presenza di qualcuno atterrato lì da un altro posto per rendersi conto».

Al primo piano la vicenda si muove attorno alle congetture di Arnon, su un ipotetico abuso sessuale da parte del vicino di casa anziano, affetto da Alzheimer, sulla figlioletta Ofri di otto anni. L’ostinata supposizione e la ricerca morbosa della verità da parte di Arnon, porteranno conseguenze tali, che a causa di mosse azzardate e passi falsi, comprometteranno seriamente l’equilibrio familiare.

Al secondo piano vive Hani, una giovane donna, madre di due figlie piccole, costretta a crescerle da sola, perché il marito è fuori per lavoro anche per lunghi periodi. Le confessioni all’amica ce la rivelano come una donna fragile, ma lucida e intelligente: «Da otto anni mi trovo intrappolata — sì è questa la parola  — intrappolata nel mio desiderio di riuscire nella missione in cui mia madre ha fallito, e intanto la polvere del tempo mi ricopre, Neta. E io mi lascio ricoprire. Lo so che è un’immagine ormai logora, ma sono logorata anch’io. Non ho la forza di fingere un’allegria che non provo più». Una donna profondamente delusa, abbandonata, sola, che vede e sente parlare il barbagianni (il fantasma della sua coscienza, che poi diventano due) risvegliandole la paura di impazzire, di perdere il senno come già è accaduto alla madre. C’è in lei però tutta la volontà di resistere, di approfondire il dolore dell’anima, di scavare dentro sé per ritrovarsi, e la lettera sincera e appassionata all’amica lo testimonia. Anche qui c’è una tensione, quel detto all’inizio ma non detto chiaramente, che rivela fin da subito l’evento che ha spinto Hani a scrivere all’amica, quel segreto che solo a lei può raccontare, con la speranza di non essere giudicata. Anche qui l’espediente narrativo dello show don’t tell non manca: raccontare e far vedere Hani attraverso i sentimenti e le emozioni, la gioventù, le passioni, il servizio militare, il matrimonio, le maternità usando la formula del ricordo.

E infine al terzo piano Dvora, vedova, giudice in pensione, madre e moglie (combattuta tra i due ruoli, logorata dai sensi di colpa per non aver saputo conciliare l’affetto filiale a quello coniugale), donna tormentata dal senso di fallimento e inferiorità, nell’essere stata perenne appendice del marito. Si avverte forte il conflitto generazionale che crea a sua volta il difficile rapporto figlio - genitore, soprattutto in una società borghese dove le imposizioni culturali, sociali, ideologiche sono più sentite ed estremizzate. Ancora una volta sappiamo fin da subito che il figlio Adar ha abbandonato la famiglia ma non conosciamo la motivazione e la tensione è tutta lì, in questo mistero, che l’autore sa mantenere e destreggiare sapientemente. Qui colpisce più che mai la modalità di narrazione: Dvora racconta al marito tutto ciò che sta vivendo, attraverso messaggi lasciati alla segreteria telefonica dov’è registrata la voce del marito defunto, trovata per caso durante le operazioni di trasloco (anche qui perché il trasloco? L’autore ce lo dirà solo alla fine) trasformandola in una sorta di diario sonoro. In questa storia più che nelle altre due, si intuisce la realtà politica israeliana, il fermento delle rivolte giovanili contro ogni forma di potere, qualche accenno alla Shoah.

L’aspetto sorprendente e a parer mio più rilevante è che in tutte e tre le storie nonostante la tragicità degli eventi, si avverte sempre lo spiraglio di speranza, di un cambiamento possibile, di un rinnovamento inevitabile, che può essere interpretato a livello sociale «Qui sta succedendo qualcosa di straordinario: un’infinità di persone non più disposte ad accettare le cose come sono, credono ci sia una possibilità di riparare e per farlo si riuniscono in un unico luogo. È proprio una congiuntura speciale» e individuale nella frase finale di Dvora in cui spezzando la catena che la lega al marito asserisce:« D’ora in poi non si tratta più della nostra strada, amore mio, fiore mio, mia sventura. D’ora in poi è la mia strada».

La fugacità del tempo, della vita che scorre implacabile è meravigliosamente rappresentata con questa metafora: «La sabbia della mia vita sta per terminare, e quello che non chiedo oggi, chissà, potrei non aver modo di chiederlo domani». Così la riflessione sulla solitudine, come isolamento, che non ci permette di vedere la realtà: «Tutti soli non sappiamo nemmeno a che piano ci troviamo, siamo condannati a brancolare disperatamente nel buio, nell’atrio, in cerca del pulsante della luce».

Ben felice di aver scoperto l’autore, la sua scrittura  fluida, brillante, avvincente, ricca di originali metafore, una lettura piacevole, stimolante, intimistica che mi ha davvero entusiasmata.

Forse il tecnicismo può far perdere un po’ dell’ emozione, ma il risultato è senz’altro notevole.

 A.C.

Tre piani di Eshkol Nevo(  Neri Pozza 2017)

24 ottobre 2022

LA GATTA SUL TETTO CHE SCOTTA di Tennessee Williams




Una piece teatrale che ho letto davvero con piacere - nonostante la mia scarsa abitudine a opere di tale genere - dove la forza sta nei dialoghi e nella descrizione della scena, senza alcuna voce narrante che spiega, commenta, giudica e ammonisce. In questo modo il lettore, dall’osservazione e la riflessione sul testo, trae la morale, o meglio il messaggio di cui l’autore vuole farci dono.

Un libro scorrevole, ironico, divertente anche nella tragicità degli eventi, piccante.

Un dramma familiare che si svolge nella grande villa della famiglia Pollit, dove si festeggia il compleanno del padre, uomo ricco e facoltoso per l’impero di piantagioni di cotone che è riuscito a metter su. C’è una nuvola però che oscura la scena, la malattia terminale dell’anziano, screditata da un esame che sembra tuttavia escluderlo. Il figlio maggiore, Gooper con la moglie e i cinque figlioletti di cui uno in arrivo, sono pronti a festeggiare Mr Pollit, cercando palesemente di entrare nelle grazie del vecchio. Brick, invece non  ne vuole sapere di condividere la festa, chiuso nella propria stanza a bere fino a ubriacarsi, in attesa di quel clic, che sembra aggiustare ogni cosa, mettere ordine nella sua testa, fino a farlo stare tranquillo, in pace. Maggie, sua moglie, è con lui, straziata anche lei dai suoi tormenti, attratta e innamorata del marito senza riserve. Non voglio aggiungere altro per non spoilerare, anche se molti avranno visto il film, interpretato da una bellissima Liz Taylor, e un giovanissimo Paul Newman.

Il personaggio di Maggie è quello che dà colore alla storia, che più mi convince. Maggie è vera, sincera, pura, schietta, trasparente, l’emblema della donna che ama il suo uomo, pronta a difendere il suo territorio anche se scomodo e a preservare il loro amore, con le unghie e gli artigli, come una gatta sul tetto che scotta. Un amore  ostacolato dal fantasma di Skipper, l’amico di Brick, che si è suicidato per cause ignote. E spesso la narrazione ruota riporta questa vicenda; la lunga conversazione di Papi con Brick mira in parte a cercare le cause che portano il figlio ad affogarsi nell’alcool, e a capire se il suicidio dell’amico è una di queste.

Toccanti anche se grossolane le parole di Papi a Brick, in cui gli si rivela forse per la prima volta, parlando dell’ipocrisia, della menzogna che ha popolato da sempre il suo agire, unica modalità per mantenere l’armonia del quieto vivere e portare ai risultati economici raggiunti.

Attraverso la loro - a tratti - accesa conversazione, affiorano anche vecchi ricordi, passati rancori, mancanze, che il carattere debole, pessimista e disfattista di Brick non è riuscito a superare, sublimandoli solo nell’alcool:«Uno che beve è uno che vuole dimenticare che non è più giovane e non crede più».

Il tema dell’omosessualità c’è, ma velato, mai palese.

Insomma un’opera, dove la drammaticità delle azioni e delle parole, è sempre accompagnata dalla speranza, grazie a Maggie, che con grinta e solarità - frutto delle sue umili origini - riesce ad accendere quel fuoco, a trovare il suo posto, nella famiglia acquisita che l’adora come una figlia, e nel marito che forse, raggiunto quel clic,  riesce finalmente a vederla.

A.C.

La gatta sul tetto che scotta di Tennessee Williams ( Einaudi 2022)