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17 dicembre 2023

LA TRAIETTORIA DELLA MOSCA di Mirko Tondi

 

La narrativa di Mirko Tondi, scrittore del panorama contemporaneo, non delude mai, è sempre una garanzia, per la sue capacità narrative, stilistiche, tecniche che toccano tematiche estremamente attuali, come – nello specifico – il bullismo, le difficoltà adolescenziali e sociali, le dipendenze, la violenza, la camorra…

Anche se è difficile classificare la sua scrittura in un genere, questo libro – se proprio vogliamo inserirlo in una categoria – lo si può definire noir, perché esiste un caso “oscuro”, grottesco, che conduce la storia e impegna il lettore nella sua rivelazione.

Il protagonista (non è citato il nome) è un insegnante di sostegno che lavora in una classe maschile di “ragazzi problematici” e che tra le tante complessità si trova coinvolto nella scomparsa di un alunno, Riccio, verso il quale riconosce una particolare affezione. Contrariamente alla sua razionalità e al buon senso, allontanandosi anche dagli affetti familiari, si trova immischiato in un’avventura più grande di lui, dove tornare indietro è pressoché impossibile. Ecco allora che la trama si dipana, in maniera magistrale creando rapidi colpi di scena e momenti di suspence che incitano il lettore a proseguire senza sosta, seguendo la traiettoria man mano tracciata dall’autore che come una mosca si ferma ora su un dettaglio  ora su un altro, richiamandolo continuamente alla concentrazione per non tralasciare ogni minimo indizio. Il professore non interroga gli alunni ma interroga costantemente se stesso non tanto alla ricerca di una verità specifica ma di una verità più grande, universale, quella che ci riguarda tutti, alimentata dal dubbio, dall’incertezza: «C’è da chiedersi su quali imprevedibili strade operi il destino che tanto invochiamo, sempre ammesso che di destino si tratti; o forse siamo noi che ogni tanto giochiamo a sfidare la vita, per provare a rimescolare le carte e sentire il brivido del rischio […] C’è questo filo rosso che unisce il passato al presente, e verrebbe da pensare ancora al caso, al destino o a Dio, non so bene, comunque qualche entità al di sopra di me che ha programmato tutto per farmi essere qui in questo momento».

Una letteratura che non si ferma mai all’apparenza, ma che scava, dubita, si interroga su motivazioni e soluzioni, penetrando nell’animo dei personaggi (grazie anche alle sue competenze professionali) restituendoceli a tutto spessore, analizzati nei pregi e difetti, vizi e virtù, bontà e malvagità, nella loro interezza umana collocata in un contesto realistico.

Mirko Tondi sa “governare” bene la trama, impartire la giusta cadenza alle battute narrative, dialogiche, descrittive e riflessive, sempre alla ricerca della parola perfetta, quella e soltanto quella, e il risultato è evidente. Nello stile dell’autore è anche il ricco panorama culturale che non esita a suggerire riferimenti letterari, cinematografici, musicali che valorizzano ulteriormente il testo, creando stimoli ulteriori per il lettore curioso e ricettivo.

Consigliato, sempre una garanzia. 

“La traiettoria della mosca” di Mirko Tondi ( ed.Il filo rosso)


24 aprile 2023

LE OTTO MONTAGNE di Paolo Cognetti




«Il passato è a valle, il futuro a monte. Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa».

La montagna come dimensione del vivere, spazio e tempo favorevole all'incontro, all’amore, all'amicizia quella vera; la montagna specchio delle ansie e paure, dei limiti dell’uomo; la montagna amica e nemica, dispensatrice di tanta bellezza e al contempo di tanto orrore; la montagna generosa che dà con tanto amore e toglie con altrettanta crudeltà. È la legge della natura - che spesso l'uomo dimentica - forse perché la generalizza con quello stesso nome, «così astratto» senza definirla «come bosco, pascolo, torrente roccia, cose che uno può indicare con un dito».

È la montagna a fare da scenario, a questo bellissimo romanzo di Paolo Cognetti, una storia piena di emozioni, sentimenti, e tanta riflessione.

Pietro è un ragazzino di città, timido e solitario, che trascorre insieme ai genitori la lunga pausa estiva a Grana, paese di montagna, alle pendici del Monte Rosa.  È lì che conosce Bruno, suo coetaneo, spronato dalla madre (donna altruista e piena di entusiasmo), condividendo scorribande ed esplorazioni su pendi e ghiacciai ad alta quota. I due cominciano a prendere confidenza l’uno dell’altro fino a trovare una vera sintonia, uniti da una profondo e sincero amore per la montagna.

Il libro si divide in tre parti scandendo i momenti di vita del protagonista, dal cui punto di vista si muove la storia. Nella prima, “Montagna d’infanzia”, domina il rapporto col padre, un uomo «emotivo, autoritario, insofferente», dinamico, instancabile camminatore col desiderio di portarsi dietro il figlio ribelle nella conquista delle vette più alte. La madre invece appare come una donna meditativa,«forte, tranquilla, e conservatrice, che credeva fermamente nella necessità di intervenire nella vita degli altri». In “La casa della riconciliazione”, si assiste al ritorno di Pietro (dopo essersi allontanato da casa nel periodo post adolescenziale), alla presa di coscienza del suo presente attraverso il cammino dei sentieri percorsi un tempo dal padre e dall’intesa che unisce i due giovani nel ristrutturare un rifugio avuto in eredità. Nella terza parte “Inverno di un amico”, si corona invece il profondo rapporto tra i due amici, divenuti già adulti, carichi ognuno del fardello delle proprie scelte.

Una storia di amicizia profonda, di un legame quasi fraterno che dall’infanzia si consolida e irrobustisce nel tempo, attraverso processi paralleli di maturazione e crescita che vedono il loro punto d’incontro (nei momenti critici e importanti delle vite dei due protagonisti) proprio sui pendii della montagna.

È anche una storia di solitudine che la montagna può anche favorire, approfondire, sublimare come per Pietro che al ritorno nel suo rifugio di montagna afferma: «C’era voluto del tempo per abituarmi alla solitudine, farne un luogo in cui potevo accomodarmi e stare bene». Ma è anche grazie a questo isolamento, che riesce a riappropriarsi della propria dimensione, a ritrovarsi, come dice lui stesso: «Ogni volta che tornavo lassù mi sembrava di tornare a me stesso. Al luogo in cui ero io e stavo bene».

Cosa sono le otto montagne? mi sono presto chiesta. Ci viene rivelato oltre la metà del libro. Il titolo si allaccia a una vecchia leggenda del Nepal – luogo in cui Pietro viaggia come reporter – dove le otto montagne sono simbolicamente rappresentate in un mandala. Non aggiungo ulteriori informazioni, per non svelare troppo, se non alcune riflessioni. Chi è più vicino alla verità, colui che viaggia, raggiunge le otto montagne o colui che ne raggiunge solo una, Sumeru (quella al centro) e lì rimane?  Due modi diversi di interpretare e vivere l'esistenza, così come altrettanto diversi e opposti sono Pietro e Bruno nel loro approccio al mondo, divisi ma uniti però dalla stessa passione per la montagna e da un amicizia fedele, profonda che li terrà legati fino alla fine.

Una scrittura accogliente, invitante, limpida proprio come i torrenti di montagna, tersa e pulita come il cielo di alcune giornate estive in altura. Una lettura che ho davvero molto apprezzato, e non solo per l’ amore che anch’io nutro per la montagna, ma per quel modo attento, scrupoloso e delicato con cui l’autore pone l’occhio sul comportamento umano per restituircelo con un’immagine nuova, aperta, chiara, senza alcun giudizio o intenzione. Uno stile che mi ha piacevolmente sorpreso, tanto che ripeterò senz’altro un’altra esperienza letteraria dell’autore, di cui questa era la prima lettura.

 

A.C. 

20 settembre 2022

TRE di Valerie Perrin

 

Tre è la terza pubblicazione di Valerie Perrin, dopo Il quaderno dell’amore perduto - fra la pila dei miei libri in attesa - e Cambiare l’acqua ai fiori - grande successo letterario che ho apprezzato moltissimo.

Si potrebbe definire un insolito romanzo di formazione,  perché la maturazione riguarda tre personaggi anziché uno, Etienne, Nina e Adrien, che si conoscono sui banchi di scuola di La Comelle, una cittadina alla periferia di Parigi, e crescono inseparabili anche se con periodi di allontanamento e ravvicinamento.

Etienne occhi azzurri, attraente, atletico, affascinante, esuberante, estroverso, svogliato (sfrutta le abilità degli altri due per ottenere sufficienti risultati scolastici) di famiglia benestante.

Adrien al contrario, delicato, introverso, meditativo, osservatore, riflessivo, intelligente, acuto, granitico da non lasciar trapelare alcun sentimento o pensiero più intimi. Vive con la madre, separata dal marito.

Nina anello di congiunzione tra i due - “sempre al centro, Etienne a sinistra e Adrien a destra”, curiosa, vivace, intelligente, spirito libero e artistico, ama disegnare, ritrarre i volti delle persone a lei care. Vive col nonno, abbandonata dalla madre a pochi mesi.

La voce narrante però è un quarto personaggio, Virginie, che sembra conoscere molto bene i tre amici ma di cui non si capisce bene quali siano i rapporti che la legano a loro. Lo scopriremo col procedere della narrazione e questo è senz’altro un merito e lode alla scrittrice che sa così ben dosare le informazioni, tenendoci costantemente sospesi sul filo della curiosità e della suspence.

In questo già complesso scenario si inserisce una nota “gialla”, la scomparsa di Clotilde, amica di infanzia dei ragazzi, con la quale Etienne aveva una relazione.

Il tema principale è la difficoltà della maturazione, di quel periodo travagliato, difficile, complesso che è l’adolescenza. Ognuno con le proprie radici (come la famiglia che può essere un grande supporto morale, materiale, ma a volte anche ostacolo per uno sviluppo sano e sereno), con il proprio fardello, influenzato da un contesto sociale che può essere lo stesso, ma che restituisce risultati diversi a seconda della personalità, emotività , sensibilità.

Ma c’è anche la forza della solidarietà, della fratellanza - anche senza vincoli di sangue - , dell’amicizia su cui ruota la porta dell’esistenza, cardine fondamentale per non sentirsi mai soli, per condividere momenti felici e spensierati, ma anche il dolore, la sofferenza, la malattia, a volte la morte. Il concetto della diversità - o meglio l’unicità che ci rende diversi - è un valore ampiamente  argomentato, innesco dell’opera, a mio parere.

L’autrice indaga sul senso della vita e della morte, sulla brevità dell’una e dell’inevitabilità dell’altra, sulla precarietà dell’esistenza “è pazzesco quanto sia fragile ciò che un uomo lascia dietro di sé” sull’inganno della vita paragonata alle stelle “quello che vediamo di loro non esiste più. Le stelle sono bugie”. C’è infine tanto rimpianto, la sofferenza nel ricordo di un tempo che non può tornare “Certe volte la nostalgia è una maledizione, un veleno”.

Valerie Perrin è abilissima - già nel precedente romanzo ne aveva data dimostrazione - a muoversi nello scenario abbracciando un periodo di più di trent’anni, che va dal 1985 al 2018. Un intreccio ben articolato in continui e veloci passaggi spazio - temporali che invitano il lettore a non distrarsi,  stimolandolo nella concentrazione e attenzione.

Altrettanto competente e precisa nel ricostruire il momento storico, nel rievocare le atmosfere di quegli anni attraverso le canzoni, le mode, le droghe in voga, i valori, le illusioni, le speranze…

Altro punto a suo favore è la maestria nel saper catturare e coinvolgere il lettore, nonostante questi sappia già cosa è accaduto (perciò meno motivato) attraverso uno stile accattivante e coinvolgente che sa modulare bene con la scelta di un linguaggio semplice e chiaro.

Un libro che ho letto con molto piacere, anche se (volendo fare un confronto), preferisco il precedente Cambiare l’acqua ai fiori per l’atmosfera nostalgica che regna in tutto il libro, per il pathos e la simpatia che il personaggio di Violette Toussaint riesce a esprimere e trasmettere.

Forse in questo romanzo c’è troppo “materiale”, troppe storie nella storia - non a caso è un tomo di più di seicento pagine - in cui trova spazio anche il giallo che a mio parere poteva evitare. Credo che avrebbe sicuramente raggiunto lo stesso successo e prestigio, omettendo queste digressioni, che trovo fardelli pesanti non funzionali alla storia e quindi evitabili. Rimane comunque un romanzo valido che vale la pena leggere. Consigliato.

A.C.

"TRE" di Valerie Perrin ( edizioni e/o 2021)


10 aprile 2021

NORVEGIAN WOOD - TOKYO BLUES di Haruki Murakami

 


Ho da poco terminato Norvegian Wood, la proposta mensile del gruppo di lettura, una scelta molto azzeccata e felice.

Si tratta di un romanzo giovanile che l’autore scrisse nel 1987  e che lui stesso definì un libro molto personale. Fu  scritto non in Giappone ma durante un viaggio, iniziato a Mikonos (la prima parte) per essere terminato alla periferia di Roma, con  un breve intervallo in Sicilia. Forse è anche per questo che non si respira propriamente l’atmosfera nipponica di altri suoi romanzi, calato perlopiù in un ambiente neutro, una sorta di non luogo (forse perché  non funzionale alla storia), anche se i personaggi si muovono nel rispetto dei modi e usanze del loro paese.

Molto diverso dai romanzi che caratterizzano la letteratura e lo stile di Murakami (mi vengono in mente 1Q84 o Kafka sulla spiaggia - le altre due opere che ho letto dell’autore - che vedono l’esistenza di due mondi paralleli dove sogno e realtà scorrono sullo stesso piano ma su binari paralleli e l’irreale appare perfettamente plausibile).

Norwegian Wood inizia con un flashback che il protagonista narra in prima persona, stimolato dalla canzone dei Beatles “Norwegian Wood”, che lo riporta ai tempi della sua adolescenza. È un romanzo che si attiene al reale, mi viene voglia di definirlo un romanzo di formazione, di educazione sentimentale e iniziazione sessuale, di crescita individuale di un ragazzo, un giovane studente universitario che lascia la famiglia per frequentare il collegio e farsi strada da solo nella vita. Si potrebbe fare un parallelismo con i giovani personaggi de Il giovane Holden di Singer, Chiedi alla polvere di Fante, L’amico ritrovato di Hulmann, insomma di tanta letteratura europea e americana. È un libro che consiglierei a ogni adolescente.

Si, perché Norwegian Wood  è un libro che parla soprattutto di adolescenza, una fase importante e difficile nella vita di ogni essere umano, momento fondamentale nel passaggio dall’infanzia all’età adulta, dalla dipendenza all’autonomia, dal seguire le regole dettate dagli adulti al trovarsi le proprie. Ed è proprio questo il percorso del protagonista, scoprire il mondo, trovarsi la propria strada nell’esperienza col mondo stesso, crescere e vivere, che non è cosa così facile e scontata. Qui gli adolescenti affrontano problemi più grandi di loro, difficoltà e ostacoli che li portano a crescere rapidamente come Midori che assiste suo padre in un letto di ospedale dopo aver perso la madre per la stessa patologia.

Watanabe Toru  è un ragazzo molto particolare, che si distingue dalla massa, estraneo e distaccato dalle ribellioni sociali e studentesche di un fervente 1968, sensibile, profondo, riflessivo, malinconico nell’approccio alla vita e alle persone. Altrettanto caratteristici sono i personaggi che ruotano attorno a lui: Kizuki, il suo più grande amico che morirà suicida a soli diciassette anni; Naoko la ragazza di entrambi, emotivamente debole; Midori la compagna di università dal carattere solare ed esplosivo; Nagasawa, l’amico anticonformista e determinato che condivide con Toru la passione per la letteratura americana ( in particolare il Grande Gatsby) e per le donne; Reiko, l’amica trentenne che vive nell’istituto di riabilitazione insieme a Naoko, uscita dal vortice della depressione e che adesso aiuta e sostiene i più deboli grazie anche all’aiuto terapeutico della musica, che insegna. Colorano la scena altri personaggi secondari come  Sturmtruppen compagno di stanza di Toru, con le sue manie di perfezione, pulizia e igiene, il dottore/paziente nella clinica di Naoko con le sue riflessioni bizzarre e astratte, il padre di Midori, confinato in un letto d’ospedale… (Vi lascio solo un’impronta dei personaggi per invogliarvi a questa interessante lettura).

Spunti di riflessioni e approfondimento non mancano, come quello salvifico dell’amore, ancora di salvezza che impedisce il naufragio del corpo e dell’anima. Ma anche l’amicizia ha il suo ruolo di aiuto, per il potere di creare unione, solidarietà, partecipazione contrapponendosi alla solitudine. Solitudine che, se sana e creativa genera la bellezza nell’ Arte, ma quando distruttiva porta all’ isolamento, alienazione, disperazione, responsabili di tanti suicidi.

È infatti il tema del suicidio il filo sottile che intreccia tutta la trama: il suicidio dell’amico lascerà in Toru un’indelebile eredità: «la  morte non è l’opposto della vita, ma una sua parte integrante…. Fino ad allora io avevo sempre considerato la morte come una realtà indipendente, completamente separata dalla vita. La vita di qua, la morte di là. Ma a partire dalla notte in cui morì Kizuki, non riuscii a vedere in modo così semplice la morte (e la vita). La morte non era più qualcosa di opposto alla vita. La morte era già compresa intrinsecamente nel mio essere… nel pieno della vita tutto ruotava attorno alla morte».

La malattia mentale, quel mondo in cui il confine tra follia e genio è sottile, quella dimensione in cui spesso si collocano i deboli, coloro che non hanno la forza di lottare e di trovare un proprio spazio o ruolo,  è un altro tema presente e costante che evidenzia il mal di vivere di questi giovani e non solo.

Tanti i riferimenti musicali, partendo dai Beatles la cui canzone dà il titolo al libro - ma anche sconosciuti ( almeno per me) come Tony Bennet, Bud Powell, Sarah Vaughan, Ornette Coleman… (sono solo alcuni)- spaziando dalla musica classica, alla musica occidentale degli anni settanta, musica jazz, blues, bebop, ecc… è stato stimolante ricercare e ascoltare i brani mentre anche gli stessi personaggi l’ascoltano. Anche questa è una magia della lettura.

Interessante il trio di figure femminili così diverse tra loro: Naoko lunare, malinconica, chiusa, introversa, meditativa, profonda, cerebrale, complessa; Midori, solare, espansiva, gioiosa, istintiva, diretta, attiva, energica, leggera ma non superficiale; Reiko che sembra racchiudere con l’esperienza passata, entrambe le caratteristiche delle due giovani, costruendo sé stessa grazie a un atteggiamento resiliente nei confronti della vita stessa (la figura femminile che più ho amato rappresentando colei che ha volto lo sguardo verso la luce anziché al buio e che nonostante la malattia mentale è riuscita a salvarsi: Reiko rappresentante la vittoria, la capacità di risalire la china ritrovando il suo posto nel mondo nonostante le avversità  e lo farà aiutando gli altri e  nello stesso tempo sé stessa).

Un libro che a questo punto è scontato dire «Leggetelo», stimolante, scorrevole, appassionante, drammatico e allegro, che mi ha riportato indietro nel tempo, all’epoca in cui tutto e niente sembrava possibile.

A.C.

Murakami Haruki “ Norwegian Wood- Tokyo Blues” Einaudi 2006