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21 gennaio 2025

BAUMGARTNER di Paul Auster

 

Ultima opera del grande autore americano scomparso appena lo scorso anno, in cui si raccolgono tutte le tematiche della sua scrittura magistrale e calamitante.

Seymour Baumgartner è un ex professore di filosofia, settantenne che vive da solo nella propria abitazione del New Jersey, dopo aver trascorso una vita appagata e felice con sua moglie, Anna Blum, morta dieci anni prima travolta dalle onde dell’Oceano Atlantico, nonostante le sue qualità di esperta nuotatrice. Una donna colta, intelligente, poetessa e scrittrice, di cui S.B si è innamorato già dal primo incontro, contraccambiato a sua volta con lo stesso amore e trasporto.

Un’assenza, che invade l’appartamento – vuoto di figli ma saturo di libri e del comune amore per lo studio, la letteratura, la filosofia, le arti – una perdita che, S.B. descrive bene con la metafora della sindrome dell’arto fantasma, sentendosi adesso «un moncone umano, un mezzo uomo che ha perso metà di sè stesso che lo rendeva intero […] e sì, gli arti mancanti ci sono ancora, e fanno ancora male,così male che a volte gli sembra che il suo corpo stia per prendere fuoco e incenerirsi all’istante».

Una mancanza, che ha anche il sapore della nostalgia, di certe abitudini che al presente non trovano più spazio, perché manca il fuoco che le alimenta, come il ticchettio dei tasti sulla macchina da scrivere di Anna al mattino quando lui ancora sonnecchiava, «tanto che a volte entrava nello studio, si sedeva davanti alla macchina muta e scriveva qualcosa – qualunque cosa – solo per risentirli».

In tutto il libro si assiste all’elaborazione del lutto, attraverso tutte le sue fasi, fino all’accettazione, consapevole che la sua esistenza non sarà più come prima. «Vivere è provare dolore, si era detto, e vivere con la paura del dolore significa non volere vivere». Accettare significa sentire e vivere ancora con quel dolore, ma senza avere più paura.

Il destino, la casualità, le coincidenze affiorano in frasi potenti come queste cercando risposta: «Perché proprio a me? Perché a me no? Le persone muoiono. Muoiono giovani, muoiono vecchie e muoiono a cinquantotto anni».

Non manca la grande domanda e curiosità di cosa ci sia oltre il confine della morte, e qui il protagonista/ autore ce ne dà una bellissima interpretazione attraverso il monologo intenso e commovente di Anna all’altro capo di un telefono che squilla nel cuore della notte. E sarà proprio questa allucinazione/sogno la scintilla che darà inizio alla rinascita, alla speranza e a una nuova possibilità di redenzione, in cui la moglie non è cancellata, ma compresa nel suo nuovo mondo. Una realtà dove ci sarà spazio anche per nuove storie, altre donne, che in molti aspetti gliela ricordano.

Il tempo, dopo l’evento tragico, ha cambiato connotazione per S.B. – Kronos è stato sostituito da Kairos. Per questo ha lasciato il lavoro, per dedicarsi appieno a ciò che gli preme davvero, all’opera filosofica che sta scrivendo “Misteri del volante”, «perché ormai il tempo stringe, e lui non ha idea di quanto gliene resti».

Scritto al presente, dal punto di vista onnisciente, comprende sbalzi temporali senza un filo cronologico, attraverso flashback che in maniera naturale, pertinente e fluente svelano la storia, senza didascaliche narrazioni. Impossibile perdersi o non capire, la chiarezza è un elemento fondamentale della scrittura di Auster.

Non mancano riferimenti concreti all’arte dello scrivere, che ritroviamo nella narrazione sottoforma di racconti, scritti, lettere, commenti che si inseriscono nella trama principale.

Un libro degno del grande Auster col quale chiude davvero in delicatezza e bellezza, una scrittura fluida, stimolante, ben dosata nella gestione delle sequenze – narrativa, dialogica, descrittiva e riflessiva – e che nonostante alcune anticipazioni non perde di colore e pathos.

Una scrittura semplice –  all’apparenza – nitida e forte che abbraccia l’universo intero, gli affetti – padre, madre, nonni, moglie, amanti, amici, colleghi, sconosciuti – l’amore in tutte le sue coniugazioni, i grandi valori e i sentimenti umani, tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta e soprattutto raccontata. Un’opera che sembra farsi sintesi e commiato dell’autore , consapevole del termine del suo viaggio.

“Baumgartner” di Paul Auster ( Einaudi 2023)

03 febbraio 2024

STELLA MARIS di Cormac McCarthy

 

STELLA MARIS di Cormac McCarthy

«Se sei abbastanza sano di mente da sapere che sei pazzo non sei così pazzo come se pensassi di essere sano di mente».

Non è una lettura certo facile Stella Maris di Cormac McCarthy (che leggo per la prima volta incuriosita dalla storia accattivante e dalle recensioni) definito da molti un thriller esistenziale. Ultima opera dell’autore da poco scomparso, Stella Maris costituisce il prequel de Il passeggero, anche se le due storie  rimangono separate e indipendenti.

Come dicevo è stata una lettura impegnativa e ho avuto più volte la tentazione di abbandonarla soprattutto nei passaggi dove il linguaggio diventava troppo tecnicistico e di non facile comprensione per chi come me non è “addetta ai lavori”e inesperta di matematica, fisica e filosofia. Facile bloccarsi su nomi sconosciuti, su enunciati, teorie e speculazioni di cui non conoscevo neppure l’esistenza. Però mi sono fatta coraggio e ricercando e approfondendo la terminologia ignota, sono riuscita a comprendere meglio e proseguire. Inoltre mi son detta: «Non capisce neppure Michael Cohen con cui Alicia si interfaccia più volte lo psicanalista lo ribadisce dunque posso permettermelo anch’io».

Alicia Western è una ragazza di vent’anni, esperta di matematica, fisica e filosofia (indagando ho scoperto che McCarthy stesso si appassionò a questi studi preferendoli alla letteratura), intelligentissima, suona il violino in maniera eccellente, con una diagnosi dall’età di dodici anni di schizofrenia, con manie suicide, tracce di autismo e anoressia. Nelle sue allucinazioni incontra personaggi «intrattenitori» o «famigli» come li definisce il dottor Cohen, dalle forme più strane: Talidomide Kid è uno di loro, un nano che al posto delle mani possiede ali e dialoga con lei non solo a parole. Sicuramente un caso interessante per il dottor Cohen, che l’accoglie nella struttura psichiatrica Stella Maris (nella quale era già stata internata due volte) e intraprende con lei un nuovo percorso terapeutico. Sarà un’impresa anche per lui accompagnarla in questa avventura, perché Alicia ha davvero una mente potente, acuta e arguta, poliedrica, analitica e universale, che afferma tutto e l’istante dopo lo nega, con una strabiliante cultura e proprietà di linguaggio unite alla capacità manipolatrice con cui riesce bene a deviare il percorso che il terapeuta cerca di tracciare con lei. «Lei pensa che a volte non ascolto. Penso che ascolta. Non son sicura di che cosa sente» già in questo botta e risposta si capisce già molto del suo carattere. Oppure «Sopporto male la gente che vuole aggiustarmi».

Alicia è un personaggio memorabile, con la sua storia di bimba difficile e mente geniale perciò isolata dal resto del mondo; per il rapporto conflittuale con la madre (morta quando era piccola) e il padre troppo indaffarato in questioni mondiali; per l’amore incestuoso col fratello Bobby maggiore di lei sette anni (protagonista de Il passeggero); per la relazione con la nonna, l’unica persona che la cresce e si preoccupa di lei finchè Alicia non se ne andrà in giro per il mondo. Sullo sfondo della storia si muove la Storia, quella legata al Progetto Manhattan, con la realizzazione delle prime bombe atomiche in cui il padre di Alicia, come fisico aveva preso parte. Tutto ciò lo apprendiamo attraverso il dialogo tra la ragazza e il dottor Cohen in cui emerge anche tutto il pessimismo «La mia ipotesi è che si possa essere felici fino a un certo punto. Mentre il dolore non sembra avere fondo», il suo vissuto emotivo e il tormento dell’anima, nelle lunghe riflessioni su sé stessa in relazione al mondo, combattuta e pervasa dal dubbio, dall’incertezza della realtà dell’esistere.

Proprio questi passaggi, in cui si avverte tutta la tensione e vivacità del suo mondo interiore, sono quelli che più mi hanno ancorato al libro. Come quando parla della malattia mentale: «La malattia mentale è una malattia […] è una malattia associata a un organo che per la conoscenza che ne abbiamo potrebbe anche appartenere ai marziani. È probabile che il comportamento deviante sia un mantra. Nasconde più di quanto svela. Fra i tanti problemi che il terapeuta deve affrontare c’è che il paziente potrebbe desiderare di non essere curato». C’è in questa frase, che sembrerebbe dello psichiatra ma che invece è di Alicia, un’ iniziale e interessante tematica che affronta il problema etico delle scelte di cura e il diritto del paziente alla sua autodeterminazione nel rispetto della sua volontà e libertà.

Ma anche il tema della morte è affrontato dalla protagonista in maniera molto lucida e attendibile: «Contemplare l’idea della morte dovrebbe avere un certo valore filosofico. Addirittura palliativo. Banale dirlo, ma il modo migliore per morire bene è vivere bene».

E ancora: «Non penso che ci siano modi per prepararsi alla morte. Bisogna inventarsene uno. Non c’è nessun vantaggio evolutivo nell’essere bravi a morire. Per trasmetterlo a chi? La cosa con cui stai facendo i conti – il tempo – non è malleabile. Salvo per il fatto che più lo covi meno ne hai». Pillole isolate davvero piene di saggezza.

Il ritmo è serrato, di un’intensità mantenuta ed esasperante, tanto da richiedere pause per una sigaretta o una tazza di tè,.che lo stesso terapeuta propone e che Alicia accetta volentieri.

Dal punto di vista stilistico è davvero notevole. L’autore riesce a condurre un intero romanzo - che si articola per circa duecento pagine - senza l’ausilio di nessun altra forma narrativa se non quella del dialogo, come già altri scrittori avevano fatto prima di lui ( mi viene in mente il coetaneo Philip Roth nel romanzo “Inganno”). Non è una scelta facile, sia per lo scrittore, che deve caratterizzare i personaggi proprio su ciò che fa dir loro, dal quale deve trasparire tutto il non verbale, la tonalità della voce, l’ atteggiamento, la gestualità, l’espressione facciale, la mimica, la postura che per il lettore il quale attraverso l’alternanza del dialogo (non sempre simmetrica) deve capire chi sta parlando ed entrare nel personaggio giusto, “immaginando” tutto il resto, i segnali che lo identificano, ricostruendo ogni elemento che l’autore non dice ma che esiste, (le dimensioni della stanza, le pareti bianche adornate da quadri o poster, l’illuminazione artificiale o naturale di una finestra, gli abiti di Alicia e del dottor Cohen, il bollitore del tè in un angolo). Una strategia davvero interessante.

Concludo ritenendolo un libro difficile ma d’effetto, per la capacità dell’autore di trascinare e coinvolgere anche noi lettori nel vortice di questa lucida follia, dove genialità e pazzia sembrano andare a braccetto separate da una sottile e fragile linea. Insieme allo psichiatra ci perdiamo nelle lunghe disquisizioni di Alicia, ci incantiamo, sprofondiamo con lei e ritorniamo in superficie, grazie anche, e per fortuna, alla semplicità di un gesto, come quello di una carezza, o tenersi la mano «perché è quello che fanno le persone quando aspettano la fine di qualcosa».

“Stella Maris” di Cormac McCarthy (Einaudi 2022)