Visualizzazione post con etichetta Novecento. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Novecento. Mostra tutti i post

02 giugno 2025

Gisella Selden-Goth e sua figlia Trudy a Firenze Due vite in musica e danza

 

Una piccola perla racchiusa in un testo piccolo ma denso arricchisce la collana di Pontecorboli dedicata agli “ stranieri” che soggiornarono a Firenze nel secolo scorso.

L’autrice, Maria Dina Tozzi ci regala le affascinanti biografie di Gisella Selden- Goth e di sua figlia Trudy: due donne facoltose che seppero influenzare la vita sociale, culturale, intellettuale di Firenze nella prima metà del Novecento. Si tratta di nomi pressoché sconosciuti (lo ammetto, anch’io ne ignoravo l’esistenza e per questo ringrazio l’autrice) ma furono personaggi incisivi anche se marginali, nella creazione di un importante tessuto di relazioni sociali e artistiche dell’ epoca. Ma chi erano queste donne, di origine ebraica che si trasferirono a Firenze nel 1923?

Gisella , nata in Ungheria, pianista, compositrice e scrittrice, trovò nella città il clima accogliente e fecondo di cui aveva bisogno. Amica del musicista Ferruccio Busoni e di Arturo Toscanini, si adoperò con passione per la divulgazione della cultura musicale entrando in contatto con molti artisti e musicisti del suo tempo. La figlia, Trudy, nativa della Germania, danzatrice, tentò – purtroppo senza successo – di fondare una scuola di danza a Firenze.

Le due donne, protagoniste di una storia avvincente che si muove tra Firenze, l’Isola d’Elba, l’Europa e anche l’America (per sfuggire alle persecuzioni antisemite) finiranno per fare ritorno a Firenze, loro città di adozione.

L’autrice documenta con grande cura ogni passaggio e tappa importante delle loro vite, restituendoci non solo il loro profilo umano e artistico, ma anche l’atmosfera sociale e culturale che si respirava nella Firenze dell’epoca.

Un libro davvero interessante, che ripercorre – accanto alle vicende personali – la storia politica del tempo: la Guerra, il fascismo, le persecuzioni contro gli ebrei. Arricchito da preziose documentazioni fotografiche, è una lettura piacevolissima, scritta con cura, precisione e partecipazione. Un’opera pregevole che nonostante l’apparente esiguità del testo, rivela un accurato lavoro di ricerca, e che dà voce a due donne dimenticate, restituendo loro il posto che merita nella storia culturale di Firenze.

Gisella Selden-Goth e sua figlia Trudy a Firenze  Due vite in musica  danza” (Angelo   editore Pontecoboli Firenze 2025)  

16 gennaio 2025

RITRATTO IN PIEDI di Gianna Manzini

 

«La terra come il cielo deve essere di tutti: è già troppo quella che uno occupa con la cassa da morto».

Una lettura senza dubbio assai originale, una modalità nuova e sperimentale di offrire al lettore l’immagine di un uomo che con la sua salda ideologia anarchica, dette un importante contributo socio politico culturale alla sua epoca.

Chi era Giuseppe Manzini, nato nell’ottobre del 1853 a Pistoia?

Ce lo presenta così l’autrice, in una delle non molte descrizioni fisiche del padre che ricorda con amore, ripercorrendo con dichiarata difficoltà, le tappe del loro vissuto insieme.

Un uomo la cui «giacca di velluto marrone, sbottonata, lascia molto scoperta la camicia. I calzini sono vecchi logori, ma ben sostenuti da una cintura di cuoio. Non porta cravatta[….] Ha le spalle larghe il babbo. È sempre stato diritto. Tiene, al solito, la testa alta. Un atteggiamento non di alterigia; ma di sfida ,sì. Lealtà e chiarezza dichiarate esponendo la fronte spaziosa[…] Gli occhi sono marrone; e, a causa di tanta concentrazione, non sembrano grandi. Si negano così il lusso di essere grandi».

Ritratto in piedi più che la biografia di un anarchico, la narrazione delle vicende politiche, sovversive e umanitarie che hanno caratterizzato la sua vita, vuole essere soprattutto commemorazione, valorizzazione di un uomo attraverso le parole della figlia, una figlia che – come ben spiega in queste pagine – è tormentata dai sensi di colpa, dalla vergogna di essersi allontanata da lui preferendo strade più facili e frivole che la società le proponeva; dal rimpianto per non aver trascorso maggior tempo con lui , di non aver alimentato il loro rapporto con lo stesso entusiasmo che animava la bambina di un tempo.

È un libro testimonianza, un libro in cui l’autrice si espone e narra di sé oltre che del padre, con la volontà di ricordarlo, senza una sequenza cronologica precisa, ma attraverso le emozioni suscitate da luoghi, eventi, persone, accadimenti; una sorta di riconciliazione, forse, un modo, per esprimere la sua riconoscenza e l’orgoglio nei confronti del padre e alleggerire il suo senso di colpa nutrito per lungo tempo.

Gianna Manzini è un’attenta osservatrice del dettaglio, del microcosmo ( come l’osservazione della formica durante il pranzo con la famiglia materna), sa intrattenere il lettore con bellissime metafore, esprimere le sfumature delle emozioni che la abitano, attraverso immagini e sensazioni come questa: «Ascoltandolo, divenni via via come un seme perduto fra le pieghe della terra: adagio la mia fisica ottusità parve sfogliarsi; ma erano fogli pesanti, compatti, quasi marmorei… riuscii a presentire quanto può pesare un dolce bambino in collo; sì che mi dolevano vagamente non solo le braccia, ma le reni e l’inguine».

Del Manzini anarchico si trovano alcuni passaggi, come lo sciopero a capo degli operai nella fabbrica del cognato – motivo della rottura con la famiglia materna – , i discorsi e le pubblicazioni anarchiche, l’amicizia con Malatesta, il suo esilio nell’Appennino pistoiese fino alla morte per infarto a seguito di un’ intimidazione fascista. Quello che prevale invece nella narrazione è l’aspetto emotivo, sentimentale, morale dell’uomo che l’autrice riesce a far emergere tanto da renderlo memorabile.

La lettura non è facile, nonostante la musicalità dei periodi che risultano assai articolati e complessi. La Manzini si concede la libertà di osare, di compiere salti temporali e spaziali, di vagare nel suo scrigno di ricordi, sentimenti ed emozioni intorno alla figura del padre, immaginare dialoghi, colloqui, incontri raccontati e forse mai testimoniati.

Risultato una grande prosa di qualità, dove si avvisa la ricerca della parola, una scrittura senza dubbio elegante, unica, raffinata. Un arcobaleno continuo di ampie metafore ma ben assortite, una lettura, come ripeto, difficile  ma che vale la pena di conoscere.

“Ritratto in piedi” di Gianna Manzini (Oscar Mondadori 2024)