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16 febbraio 2024

LA VEGETARIANA di Hang Kang

 


LA VEGETARIANA di Hang Kang

Seoul, Corea del Sud. Yeong-Hye è una giovane donna, piuttosto ordinaria,«né alta né bassa, capelli a caschetto né lunghi né corti, colorito itterico e malaticcio, zigomi un po’ sporgenti [] non presentava nemmeno particolari difetti, e quindi non ci fu ragione di non sposarci» ce la presenta così il marito, al momento del loro primo incontro. All’improvviso però Yeong-Hye smette di  mangiare carne e il marito la trova nel cuore della notte davanti al frigorifero intenta a svuotarlo da tutto ciò che sia carne e pesce, per gettarlo in enormi sacchi dell’immondizia. Allo stupore del consorte lei risponde : «Ho fatto un sogno».

E quel sogno che si protrarrà per giorni e mesi, vede Yeong-Hye trasformarsi, ferma nella decisione di non mangiare più ciò che ha gambe, mani, piedi, una testa, fino alla convinzione di potersi nutrire solo di acqua, e aria, come fanno le piante, gli alberi. Tutto il menage matrimoniale, familiare e sociale ne sarà sconvolto, portando la narrazione verso un epilogo inesorabile.

Già l’incipit (il punto di vista del marito) ci immerge subito nel dramma, mostrandoci tutta la complessità  e criticità del loro rapporto «Prima che mia moglie diventasse vegetariana, l’avevo sempre considerata del tutto insignificante. Per essere franco, la prima volta che la vidi non mi piacque nemmeno». Come potremmo aspettarci una sorte diversa se questi sono i presupposti?

Interessante come l’autrice (che non conoscevo) gestisce la narrazione, introducendo e sviscerando lastoria di Yeong-Hye, non dal suo punto di vista, ma da tre punti di vista diversi: quello del marito, del cognato e della sorella maggiore, salvo alcune parentesi in corsivo in cui la storia sembra rappresentare la visione onirica e allucinatoria della protagonista stessa. E altrettanto sorprendente è il fatto che la scrittrice riesce a entrare nel cuore del personaggio, sebbene non sia espresso soggettivamente dalla sua prospettiva: ciò che lei sente e percepisce davvero, ciò che la spinge a rifiutare il cibo, tutta la sofferenza, il malessere, il disagio, il desiderio di essere altro da sé, in un continuo e degradante annullamento. Ma all’allucinazione si affianca anche una fredda, lucida, spietata determinazione a perseguire il cammino intrapreso, nella direzione di quella che per Yeong-Hye rappresenta la liberazione da ogni male, la trasformazione, il ritorno alle origini nel ricongiungimento con la Natura madre «Sul mio corpo crescevano le foglie, e dalle mani mi spuntavano le radici… E così affondavo nella terra. Sempre di più…».

Più che una storia di scelte etiche alimentari, come il titolo potrebbe far pensare, è la storia di un’anoressia, una malattia che non lascia scampo, se chi la vive non riesce (o vuole) trovare alternative se si ostina a conviverci senza offrirsi altre possibilità.

Al dramma di Yeong-Hye si affiancano i vissuti complicati del marito (un uomo egoista, ignorante, maschilista), del cognato (un artista insoddisfatto, feticista, alla ricerca del piacere dell’arte e della carne) e della sorella (donna insoddisfatta e delusa dal matrimonio, che più di una volta si è trovata in condizioni disperate e difficili ma che a differenza di Yeong-Hye è riuscita a uscirne). La sorella è la figura positiva e forte, «forte nella sua bontà connaturata, nella sua umanità [] senza mai fare del male a nessuno», capace di lottare, intraprendere la strada più difficile della resistenza e della razionalità, unita alla consapevolezza  di dover reagire (forse anche per il figlioletto di cui sente tutta la responsabilità),  guardare la realtà in faccia e confinare i propri sogni al margine:  «Non esiste soltanto il sogno, no? Dobbiamo svegliarci a un certo punto, non è così?» .In-Hye è anche la persona che in qualche modo riscatterà e darà di nuovo dignità alla sorella.

Una storia tragica e attuale, dove anche il sesso ha la sua parte intrecciandosi al sentimento. Una vicenda purtroppo possibile in qualsiasi contesto sociale, non solo coreano che poco conosco, dove l’alienazione, il mal di esistere, la depressione, la sofferenza dell’anima che porta all’anoressia e all’annullamento del sé, conducono a una lenta e inevitabile discesa negli Inferi, in cui nessuna ragione, logica e razionalità può avere la meglio.  

Una lettura piuttosto cruda, vera, essenziale, dal ritmo serrato e incalzante,  una prosa diretta, fluida, scorrevole, che sa esplorare con perizia, oggettività e umanità l’intimità dell’animo e che ha saputo toccare le corde giuste della mia sensibilità. Peccato che in alcuni passaggi vi siano errori verbali (tempi sbagliati), sicuramente frutto di una traduzione forse frettolosa, che la mia mente però ha prontamente corretto.

Un libro consigliato a tutti; per me la scoperta di una scrittrice che senza dubbio leggerò ancora.

La vegetariana di Han Kang” (Gli Adelphi Edizioni 2007)