Adoro La settimana
bianca, ultima proposta del nostro Gruppo di lettura, riletto davvero con
piacere, offrendomi l’opportunità di cogliere altri aspetti importanti della
storia, che non avevo focalizzato in prima battuta, trasportata più dal “filo
misterioso” della trama, che dai preziosi ricami attorno ad essa.
Emmanuel Carrère ci introduce gradualmente nel mondo
del piccolo Nicolas, accompagnato
dal padre col proprio mezzo allo chalet di montagna per trascorrere la
settimana bianca insieme ai compagni di classe, che invece sono arrivati in
pullman. Tutto ciò perché dieci giorni prima un camion si è scontrato con uno scuolabus
uccidendo parte della scolaresca e il genitore non ha voluto correre rischi. Soltanto
ore dopo il suo arrivo, il ragazzino si accorge che lo zaino con tutto
l’occorrente per la vacanza è rimasto nel bagagliaio dell’auto, dando il via a una
catena di eventi e problematiche.
Nicolas ci viene presentato (punto di vista in terza persona) come
un bambino “particolare”, stravagante, timido,
con« la testa fra le nuvole», oppresso
dal padre, che decide per lui, che cerca attraverso un’ iperprotezione smisurata
di salvaguardarlo da ogni pericolo e frustrazione. Si avverte subito, che c’è ossessione, qualcosa di patologico, di assurdo se vogliamo, nell’
atteggiamento dell’uomo che si impone alle buone e sagge regole del vivere
civile comune, non permettendo al figlio di confrontarsi, relazionarsi
stabilire amicizie e accordi, di crescere. Il disagio aumenta man mano che l’autore ci svela altri indizi. Singolare
è la poca presenza della madre (e le sue capacità decisionali) di cui
ritroviamo il fantasma in sottofondo (anche nella battuta finale) che si
proietta come un’ombra, senza mai davvero apparire in carne e ossa.
Potremmo definirlo un romanzo
di formazione, non in prima ma in terza persona, dove il protagonista non è
un adolescente ma un ragazzino di dieci anni circa. Nicolas sembra uno stupido,
ma in realtà ha un mondo interiore così ricco, articolato e con una sua logica,
un animo così sensibile e suscettibile, da giustificare ogni sua azione, anche
quelle all’apparenza più insensate. Ci si innamora subito di questo bambino
così fragile e incompreso, che con le sue sventure riesce a conquistare subito
Patrick l’animatore, ricambiato con fiducia e ammirazione. Patrick assume forse
il ruolo di figura antitetica del padre (rigoroso, ossessivo, misterioso), con
la sua indole solare, allegra, anticonformista, leggera e trasparente.
Anche se l’autore non ci mette in guardia su qualcosa di specifico,
si avverte fin dall’inizio un senso di catastrofe
imminente, qualcosa che deve accadere e che non sarà niente di piacevole.
Viene sfiorato appena il tema del bullismo, mettendo solo in risalto le coalizioni all’interno del
gruppo scolastico, le regole del più forte (Hodkann) che sovverte il più
fragile, e del gregge che segue il capobanda nelle buone e cattive azioni.
Da un punto di vista strutturale mi ha entusiasmato la modalità di
narrazione. La storia si svolge nel presente, con flashback sul passato (in cui
si apprendono notizie chiave sulla famiglia del piccolo Nicolas) e proiezioni
future, ma la cosa che ho trovato più originale, è l’ipotesi continua che l’autore fa su ciò che può accadere facendo
parlare il mondo immaginario di
Nicolas, rendendoci partecipi diretti delle sue fantasie, paure, angosce,
fantasmi interiori. Non è solo entrare nel suo punto di vista, vedere il mondo attraverso
i suoi occhi, ma penetrare nella sua mente tormentata, nei suoi pensieri, nel
suo modo di ragionare e interpretare ciò che accade intorno a lui, nella sua
modalità, cioè quella di formulare possibili vicende future, da renderle altrettanto
vere e tangibili come quelle reali. È come se la storia si aprisse a infinite storie,
estese possibilità, ognuna non meno importante dell’altra.
Anche le descrizioni sono mirabili esempi di ottima scrittura,
dove l’autore senza catalogare niente ci dice tutto:«Anche
il pullman aveva l’aria di un animale addormentato: cucciolo dello chalet,
stretto al suo fianco, che dormiva a occhi aperti coi suoi grandi fari spenti».Così
quando descrive le sensazioni del protagonista: «Nicolas aveva l’impressione di ansimare, di correre a perdifiato dentro
di sé, sbattendo contro le pareti, e al tempo stesso sapeva che dall’esterno
niente di tutto ciò era visibile […]; sembrava che gli organi di Nicolas,
spaventati, cercassero rifugio il più lontano possibile dalla parete che quelle
mani calde e sicure palpavano[…]; Nei
canali del suo cervello ostruiti dal gelo i pensieri non riuscivano più a
circolare[…];Combattuto
tra il desiderio di riavere le sue cose e il timore di veder tornare suo padre[…];
Provava la sgradevole sensazione di essere il nuovo arrivato a cui niente è
familiare e che gli altri sicuramente prenderanno in giro».
Un passaggio che ho trovato particolarmente avvincente e tenero nel
farci conoscere il ragazzino, è quando uscendo nella notte nevosa, preoccupato
per ciò che è accaduto fra le lenzuola, Nicolas si fa coraggio, nell’abitacolo
dell’auto di Patrick, paragonandosi alla Sirenetta, che per divenire donna dovrà
in cambio perdere la sua meravigliosa voce; anche lui perderà la voce, morirà
di freddo. Nella descrizione accurata della metamorfosi del corpo della Sirena ho
intravisto la stessa trasformazione che ogni fanciullo o fanciulla dovrà
affrontare al momento dell’adolescenza, momento di passaggio critico e
fondamentale per ciascun essere umano. Un’altra riflessione che come un’eco mi
è più volte tornata indietro, è che Nicolas appare “incosciente” sui fatti che
riguardano la sua famiglia ma proprio perché è un bambino sveglio, come lo
definisce Patrick, in realtà sembra che abbia intuito molto di più di ciò che
pare, avvicinandosi a una verità che non gli è mai stata svelata, ma che nel suo
intimo sembra custodire.
La maestria dell’autore è nel sapere mantenere sempre presente “il
segreto”, sempre alta la tensione,
prolungando la suspence, mettendoci
alla fine un delitto inaspettato (almeno per me) che ingigantisce e continua ad
animare l’attesa.
Tutto si cela tra le righe della narrazione, all’apparenza
semplice e chiara, ma assai complessa, ben
architettata: ogni parola ha un
peso, un valore, non viene menzionata a caso, ma ritorna con puntualità e
significato (il trasloco della famiglia, il braccialettino brasiliano e i
desideri annessi, il padre che dorme giornate intere quando torna a casa e che
rivolge domande senza senso e memoria…), insomma un complicato e affascinante
marchingegno narrativo.
Il capitolo 26 che inizialmente non avevo compreso, trovandolo
fuori contesto ai fini narrativi, è quello invece di maggiore spessore a
un’analisi più attenta. Nicolas e Hodkann, si incontrano trentenni, quindi nel
futuro, dove l’amico non se la passa granché bene e forse col rancore della
menzogna e della beffa subita dal piccolo Nicolas, gli si scaglia contro con un
coltello affilato. In queste poche righe l’autore ci ha ridato tutta la
speranza che sembrava averci tolto nel finale con l’affermazione
dell’animatrice sul destino del ragazzino: «Che
vita potrà mai avere?» Ecco, qui si ha la rivelazione della redenzione di Nicolas. La sua salvezza è
proprio in questa visione futura dove noi lettori possiamo intravedere che il dramma
familiare, non ha creato “un diverso”, ma un adulto che riuscirà a condurre una
vita ordinaria (la cartella sottobraccio ne rappresenta il simbolo).
Una lettura davvero sorprendente capace di mantenere alta l’attenzione e l’empatia verso il protagonista e i personaggi molto realistici, fino
all’ultima pagina. Da leggere assolutamente.
A.C.
La settimana
bianca di Emmanuel Carrère (Gli Adelphi 2014)