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29 dicembre 2023

LE PERSIANE VERDI di Georges Simenon

 


Era molto tempo che non leggevo un libro di Georges Simenon e rincontrarlo in questa lettura è stata ancora una volta  una sorprendente novità. Sì perché Simenon riesce sempre nella semplicità della trama e del linguaggio, a essere comunque straordinario, originale, unico.

Ėmile Maugin è un uomo che a cinquantanove anni si ritrova a fare un bilancio della propria vita. Nato da una famiglia povera, ma con la fortuna di avere in dote un corpo alto e robusto, cavalcando l’onda della sorte, grazie alla sua tenacia, passione e soprattutto talento – la recitazione – è riuscito a raggiungere la vetta della fama e del successo. Nonostante abbia ottenuto tutto ciò che un uomo possa desiderare, avverte un’insoddisfazione profonda, una mancanza, la sensazione di un inesistente e vero rapporto con tutto ciò che lo circonda e che continuamente mette in dubbio, deprezza, svilisce. Come uno specchio, tutte le persone attorno a lui, riflettono lo stesso disagio, pur amandolo e temendolo, riverenti alla sua fama e alla sua larga generosità. Anche la moglie, Alice – ultima dei due precedenti matrimoni – ventitrè anni e con una figlia a carico, lo ama e lo teme al tempo stesso, nutrendo una profonda tenerezza per quell’uomo perennemente tormentato di cui tollera ogni eccesso, compreso quello delle donne e dell’alcool, nel quale Ėmile cerca di annegare le voci ammonitrici della sua coscienza che lo sprona a trovare continue verità, soluzioni e assoluzioni. Simenon punta il riflettore su Maugin essere umano e non attore – uomo dal carattere burbero, cinico, un po’ schizofrenico, ma che sa conquistare il pubblico, compresi noi lettori, con i suoi improvvisi cambi di registro – scavando nel profondo del suo animo, rivelandoci pensieri, tormenti, riflessioni che lo portano a fare delle scelte radicali. Scelte maturate da una nuova consapevolezza – a cinquantanove anni, per la prima volta in vita mia, farò una cosa straordinaria: mi riposerò – restituendoci una narrativa paragonabile a un flusso di coscienza, nonostante l’uso della terza persona. Il finale annunciato quasi, ma inaspettato, arriva con sapiente preparazione, in una graduale e straordinaria epifania.

Incredibile la padronanza della materia – non potrebbe essere diversamente per uno degli scrittori più prolifici del XX secolo – in cui Simenon si permette di fare salti temporali e spaziali, omettendo passaggi che il lettore deve però includere per la comprensione della corretta sequenza narrativa. Ma non disturbano questi vuoti, che l’autore sa colmare con la maestria del suo stile, così perfetto, così magistrale nell’ efficacia dei dialoghi, vero  punto di forza di questa lettura. Un ritmo incalzante, poche descrizioni e una profonda introspezione nell’animo del protagonista, rendono questo libro un piccolo capolavoro, da cui è stato tratto recentemente il film “Les Volets vertes” di Jean Becker con Gérard Depardieu, che ho ricercato invano.

Ma cosa sono le persiane verdi? Senza spoilerare, mi permetto di dirlo: rappresentano l’emblema della casa dei sogni, il rifugio ideale, posto sicuro, protetto, vero e naturale (proprio come il legno di cui sono fatte); quella tensione leggera, il desiderio, l’utopica ed effimera sensazione di luogo non luogo, fulcro di armonia, equilibrio, pace e realizzazione, dove tutto esiste e niente manca. Solo dopo la frenetica corsa verso un ipotetico traguardo, come un imputato di fronte al giudizio di una Corte pubblica, Ėmile comincerà a prendere consapevolezza della sua colpa, del fatto che aveva passato tutta la vita a scappare. Scappare da cosa? si chiederà fino alla fine. Arriverà una risposta, una soluzione concreta alla sua domanda? Riuscirà Ėmile Maugin  a trovare la sua casa dalle persiane verdi?

Vi lascio con questa stimolante curiosità.

“Le persiane verdi” di Georges Simenon ( ed. Gli Adelphi 2023)

12 aprile 2023

LA SETTIMANA BIANCA di Emmanuel Carrère

 


Adoro La settimana bianca, ultima proposta del nostro Gruppo di lettura, riletto davvero con piacere, offrendomi l’opportunità di cogliere altri aspetti importanti della storia, che non avevo focalizzato in prima battuta, trasportata più dal “filo misterioso” della trama, che dai preziosi ricami attorno ad essa.

Emmanuel Carrère ci introduce gradualmente nel mondo del piccolo Nicolas, accompagnato dal padre col proprio mezzo allo chalet di montagna per trascorrere la settimana bianca insieme ai compagni di classe, che invece sono arrivati in pullman. Tutto ciò perché dieci giorni prima un camion si è scontrato con uno scuolabus uccidendo parte della scolaresca e il genitore non ha voluto correre rischi. Soltanto ore dopo il suo arrivo, il ragazzino si accorge che lo zaino con tutto l’occorrente per la vacanza è rimasto nel bagagliaio dell’auto, dando il via a una catena di eventi e problematiche.

Nicolas ci viene presentato (punto di vista in terza persona) come un bambino “particolare”, stravagante, timido, con« la testa fra le nuvole», oppresso dal padre, che decide per lui, che cerca attraverso un’ iperprotezione smisurata di salvaguardarlo da ogni pericolo e frustrazione. Si  avverte subito, che c’è ossessione, qualcosa di patologico, di assurdo se vogliamo, nell’ atteggiamento dell’uomo che si impone alle buone e sagge regole del vivere civile comune, non permettendo al figlio di confrontarsi, relazionarsi stabilire amicizie e accordi, di crescere. Il disagio aumenta man mano che l’autore ci svela altri indizi. Singolare è la poca presenza della madre (e le sue capacità decisionali) di cui ritroviamo il fantasma in sottofondo (anche nella battuta finale) che si proietta come un’ombra, senza mai davvero apparire in carne e ossa.

Potremmo definirlo un romanzo di formazione, non in prima ma in terza persona, dove il protagonista non è un adolescente ma un ragazzino di dieci anni circa. Nicolas sembra uno stupido, ma in realtà ha un mondo interiore così ricco, articolato e con una sua logica, un animo così sensibile e suscettibile, da giustificare ogni sua azione, anche quelle all’apparenza più insensate. Ci si innamora subito di questo bambino così fragile e incompreso, che con le sue sventure riesce a conquistare subito Patrick l’animatore, ricambiato con fiducia e ammirazione. Patrick assume forse il ruolo di figura antitetica del padre (rigoroso, ossessivo, misterioso), con la sua indole solare, allegra, anticonformista, leggera e trasparente.

Anche se l’autore non ci mette in guardia su qualcosa di specifico, si avverte fin dall’inizio un senso di catastrofe imminente, qualcosa che deve accadere e che non sarà niente di piacevole.

Viene sfiorato appena il tema del bullismo, mettendo solo in risalto le coalizioni all’interno del gruppo scolastico, le regole del più forte (Hodkann) che sovverte il più fragile, e del gregge che segue il capobanda nelle buone e cattive azioni.

Da un punto di vista strutturale mi ha entusiasmato la modalità di narrazione. La storia si svolge nel presente, con flashback sul passato (in cui si apprendono notizie chiave sulla famiglia del piccolo Nicolas) e proiezioni future, ma la cosa che ho trovato più originale, è l’ipotesi continua che l’autore fa su ciò che può accadere facendo parlare il mondo immaginario di Nicolas, rendendoci partecipi diretti delle sue fantasie, paure, angosce, fantasmi interiori. Non è solo entrare nel suo punto di vista, vedere il mondo attraverso i suoi occhi, ma penetrare nella sua mente tormentata, nei suoi pensieri, nel suo modo di ragionare e interpretare ciò che accade intorno a lui, nella sua modalità, cioè quella di formulare possibili vicende future, da renderle altrettanto vere e tangibili come quelle reali. È come se la storia si aprisse a infinite storie, estese possibilità, ognuna non meno importante dell’altra.

Anche le descrizioni sono mirabili esempi di ottima scrittura, dove l’autore senza catalogare niente ci dice tutto:«Anche il pullman aveva l’aria di un animale addormentato: cucciolo dello chalet, stretto al suo fianco, che dormiva a occhi aperti coi suoi grandi fari spenti».Così quando descrive le sensazioni del protagonista: «Nicolas aveva l’impressione di ansimare, di correre a perdifiato dentro di sé, sbattendo contro le pareti, e al tempo stesso sapeva che dall’esterno niente di tutto ciò era visibile []; sembrava che gli organi di Nicolas, spaventati, cercassero rifugio il più lontano possibile dalla parete che quelle mani calde e sicure palpavano[]; Nei canali del suo cervello ostruiti dal gelo i pensieri non riuscivano più a circolare[];Combattuto tra il desiderio di riavere le sue cose e il timore di veder tornare suo padre[]; Provava la sgradevole sensazione di essere il nuovo arrivato a cui niente è familiare e che gli altri sicuramente prenderanno in giro».

Un passaggio che ho trovato particolarmente avvincente e tenero nel farci conoscere il ragazzino, è quando uscendo nella notte nevosa, preoccupato per ciò che è accaduto fra le lenzuola, Nicolas si fa coraggio, nell’abitacolo dell’auto di Patrick, paragonandosi alla Sirenetta, che per divenire donna dovrà in cambio perdere la sua meravigliosa voce; anche lui perderà la voce, morirà di freddo. Nella descrizione accurata della metamorfosi del corpo della Sirena ho intravisto la stessa trasformazione che ogni fanciullo o fanciulla dovrà affrontare al momento dell’adolescenza, momento di passaggio critico e fondamentale per ciascun essere umano. Un’altra riflessione che come un’eco mi è più volte tornata indietro, è che Nicolas appare “incosciente” sui fatti che riguardano la sua famiglia ma proprio perché è un bambino sveglio, come lo definisce Patrick, in realtà sembra che abbia intuito molto di più di ciò che pare, avvicinandosi a una verità che non gli è mai stata svelata, ma che nel suo intimo sembra custodire.

La maestria dell’autore è nel sapere mantenere sempre presente “il segreto”, sempre alta la tensione, prolungando la suspence, mettendoci alla fine un delitto inaspettato (almeno per me) che ingigantisce e continua ad animare l’attesa.

Tutto si cela tra le righe della narrazione, all’apparenza semplice e chiara, ma assai complessa, ben architettata: ogni parola ha un peso, un valore, non viene menzionata a caso, ma ritorna con puntualità e significato (il trasloco della famiglia, il braccialettino brasiliano e i desideri annessi, il padre che dorme giornate intere quando torna a casa e che rivolge domande senza senso e memoria…), insomma un complicato e affascinante marchingegno narrativo.

Il capitolo 26 che inizialmente non avevo compreso, trovandolo fuori contesto ai fini narrativi, è quello invece di maggiore spessore a un’analisi più attenta. Nicolas e Hodkann, si incontrano trentenni, quindi nel futuro, dove l’amico non se la passa granché bene e forse col rancore della menzogna e della beffa subita dal piccolo Nicolas, gli si scaglia contro con un coltello affilato. In queste poche righe l’autore ci ha ridato tutta la speranza che sembrava averci tolto nel finale con l’affermazione dell’animatrice sul destino del ragazzino: «Che vita potrà mai avere?» Ecco, qui si ha la rivelazione della redenzione di Nicolas. La sua salvezza è proprio in questa visione futura dove noi lettori possiamo intravedere che il dramma familiare, non ha creato “un diverso”, ma un adulto che riuscirà a condurre una vita ordinaria (la cartella sottobraccio ne rappresenta il simbolo).

Una lettura davvero sorprendente capace di mantenere alta l’attenzione e l’empatia verso il protagonista e i personaggi molto realistici, fino all’ultima pagina. Da leggere assolutamente.

A.C.

La settimana bianca di Emmanuel Carrère (Gli Adelphi 2014)

12 febbraio 2023

UNA DONNA SPEZZATA di Simone De Beauvoir

 


Una raccolta di tre racconti, Una donna spezzata,  L’età della discrezione, Monologo, pubblicata nel 1967.

Una donna - tre donne - col proprio calvario, che tenta, attraverso la scrittura, di alleggerire, di giustificarlo, di sublimarlo.

Tre donne diverse ma uguali nel dolore di un’esistenza dapprima favorevole che all’improvviso presenta il conto, troppo alto, esagerato per le loro possibilità.

Monique, donna affascinante, moglie felice e madre soddisfatta di due figlie già adulte, si ritrova ad un tratto, sola, priva del sostegno, amore, dedizione che il marito le aveva riservato in maniera esclusiva fino ad allora, poiché un’altra donna si è insinuata fra i due e alla quale lui non sa rinunciare.

La seconda (non c’è nome) è una donna matura, ultrasessantenne, scrittrice, entusiasta della vita e piena di ideali, felicemente sposata con un ricercatore che entra in conflitto e in crisi per l’allontanamento del figlio, Philippe, deciso a farsi strada nel mondo opponendosi all’ideologia dei genitori.

Infine il monologo tragico, corrosivo, disperato (come il grido di Munch), di Murielle, donna giovane tormentata dai fantasmi del passato, la figlia diciassettenne morta per suicidio (lo si scopre soltanto in chiusura) di cui la madre la incolpa, i mariti che l’hanno abbandonata, il figlio a cui è stato tolto l’affidamento, attraverso una scrittura rabbiosa, vomitata di getto, dove la mancanza di punteggiatura ricalca proprio tutta l’urgenza e angoscia del suo vivere interiore.

Tre donne unite da un destino che le vuole perdenti, ma che attraverso la forza della scrittura cercano di riappropriarsi, nel tentativo di riconquistare il ruolo che il mondo ha tolto loro, alla ricerca di una rinnovata identità.

 

A.C.

Una donna spezzata di Simone de Beauvoir ( ET scrittori 2014)

06 febbraio 2023

IL RAGAZZO di Annie Ernaux

 

Ancora un altro libro della scrittrice francese, qualcuno potrà commentare. Lo so, sono un po’ seriale nelle mie letture. C’è poco da fare, quando uno scrittore, un’autrice nello specifico, mi prendono non posso fare a meno di scoprire ogni sua opera. So bene quindi che non finirà qui.

Il ragazzo è una storia assai accattivante, non autobiografica a differenza delle altre in cui è palese, anche se, come sappiamo, tutto quel che si racconta ci riguarda e ci tocca in prima persona, ma non è questo il punto, l’aspetto  che ci interessa del libro.

Una donna cinquantenne, un’ insegnante, narra la sua relazione con un ragazzo più giovane di lei trent’ anni. Due generazioni a confronto, che si incontrano su un piano, quello sessuale, assai improbabile e poco comune per quella che è la consuetudine, che vuole la donna di una certa età, ormai sfiorita, disinteressata e non più incline a certe pulsioni. La protagonista invece vive il rapporto con tutto lo slancio e la stessa passione di quando era giovane, facendo forza proprio sulla maturità conquistata nel tempo, tanto da uscirne vincitrice in questa relazione impari. Passato e presente si intrecciano, la memoria riveste e adorna il presente, la bellezza fisica della giovinezza perduta viene sostituita da quella interiore, dal fascino di una maggiore esperienza e consapevolezza del mondo, che la fa apparire sublime agli occhi del giovane amante.

Un’analisi profonda, accurata di un rapporto anticonvenzionale, in cui pensieri, azioni, emozioni, sentimenti sono narrati con maestria anche nel minimo dettaglio.

Un racconto, più che un romanzo, che si legge tutto d’un fiato, una scrittura scarna, essenziale - peculiarità dell’autrice - ma comunque intensa e piena di pathos.

Completano l’opera tre riflessioni sulla scrittura, sulla condizione femminile e la memoria di cui voglio condividere questo passaggio: «Spesso il coraggio non è altro che l’impossibilità di vivere senza compiere un dato gesto, e io sentivo con intensità crescente che la scrittura[…] non sarebbe stata necessaria nè avrebbe avuto alcuna giustificazione se non fosse stata, per prima cosa, un’immersione in ciò che avevo dimenticato, nel mio primo mondo, proprio per comprendere come e perché l’avessi dimenticato».

Ancora un altro gioiellino, da non perdere.

A.C.

Il ragazzo di Annie Ernaux (L’orma Editore 2022)

23 gennaio 2023

IL POSTO di Annie Ernaux

 

Il posto è un altro bellissimo libro autobiografico di Annie Ernaux, in cui stavolta l’autrice ci parla del padre, uomo di origine contadina, nato in Normandia agli inizi del secolo scorso, operaio, soldato e poi commerciante nel negozio di proprietà insieme alla moglie. Anche in questa opera l’autrice ci regala un quadro emotivo dettagliato e preciso sul contesto ambientale, sociale , relazionale e sul rapporto che li univa.

I ricordi appaiono in maniera improvvisa, come foto scattate a raffica, immagini forti ed esaurienti, narrate con sapienza, essenzialità, senza orpelli a far da cornice. Ne emerge l’ immagine di un uomo semplice, amante della natura e del giardinaggio, che si è fatto strada da solo, onesto, di sani principi e valori, umile, allegro e a volte goliardico tanto da dire qualche volgarità, un uomo senza ambizioni, senza titolo scolastico, ma che conosce gli uomini e i loro sentimenti, che accetta ciò che ha, «con la certezza che “non si può star meglio di come siamo”», un uomo «non infelice».

Interessante il fatto che l’autrice abbia reso omaggio a entrambi i genitori – in due libri distinti e in modo assai diverso – ripercorrendone le tappe fondamentali dalla nascita (e anche prima) fino alla loro morte, senza un ordine prettamente cronologico, ma trasportata dal vento dei sentimenti.

Annie Ernaux sa scavare nell’animo umano con la perizia e la precisione di un chirurgo, sa usare le parole in modo impeccabile, con una capacità di sintesi rara, sapendo cogliere ogni sfumatura, anche la più sottile come in questo passo, quando parla del padre già morto: «Mi sembrava che quei preparativi non avessero alcun legame con mio padre. Era come una cerimonia alla quale lui, per un motivo qualunque, non avrebbe potuto partecipare».

Mi sono interrogata anche sulla scelta dei titoli.  Il libro Una donna, in cui l’Ernaux omaggia la madre, sembra sottolineare proprio nel titolo l’essenza che la caratterizzava, ovvero la potenza della sua femminilità, da cui trae tutta la forza creatrice, che la fa muovere e affermare nel mondo. Per il padre, invece il titolo è Il posto ( non “Un uomo” come mi sarei aspettata), forse perché il suo ideale, la sua continua ricerca era essere nel posto giusto, oppure «Il timore di essere “fuori posto”, di avere vergogna». Come quando l’autrice afferma che era un uomo che non beveva. Cercava di “tenere il suo posto”. Sembrare più commerciante che operaio».

Altra differenza che emerge con evidenza, è la lontananza emotiva tra padre e figlia, la distanza caratteriale, in cui risaltano ancora più marcati i pochi momenti di condivisione che la scrittrice descrive con semplicità e amore: «Mi portava da casa a scuola sulla sua bicicletta. Traghettatore fra due sponde, con la pioggia e con il sole ». Con la madre, nonostante la conflittualità, sono frequenti le descrizioni e le manifestazioni di complicità, di amore e odio.

Una scrittura che ho trovato ancora più schematica, asciutta della precedente ma non per questo meno analitica e particolareggiata, rivelando una sensibilità unica che è impossibile non apprezzare.

A.C.

“Il posto” di Annie Ernaux (L’orma editore 1983)


31 ottobre 2022

UNA DONNA di di Annie Ernaux

 

«Bellissimo!», non posso fare a meno di iniziare la mia recensione con un aggettivo così banale e scontato, ma che rende in maniera esemplare la mia prima impressione di lettura.

Annie Ernaux, vincitrice del Premio Nobel per la letteratura 2022, autrice francese che ho avuto il piacere di scoprire solo adesso, grazie a questo meritato Premio - in fondo a qualcosa servono i riconoscimenti, oltre a rivestire di fama e gloria i fortunati. Fra i tanti pubblicati, ho scelto Una donna, per l’argomento che mi attraversa e coinvolge in modo viscerale.

Un’opera interessante da un punto di vista strutturale, da non classificarsi in un genere specifico, definita in tal modo dall’autrice stessa: “Questa, non è una biografia, né un romanzo, naturalmente, forse qualcosa tra la letteratura, la sociologia e la storia”.

“Mia madre è morta lunedì 7 aprile nella casa di riposo dell’ospedale di Pontoise, dove l’avevo portata due anni fa” dall’incipit così semplice ma forte e pieno di interrogativi, si sviluppa lentamente la storia di una bambina nata in Normandia nel diciannovesimo secolo, che cresce, matura, si fa donna, diviene lavorante, moglie, madre , nonna… mentre intorno “accade” la Storia europea e mondiale, quella della povertà delle classi più abiette, della fatica legata al mondo contadino, della difficoltà di emergere e farsi una posizione sociale migliore; della difficile condizione femminile, dei pregiudizi legati al genere; sulle difficoltà legate alla Guerra e quelle ancora peggiori del Dopoguerra. Mentre la Storia fa il suo corso, la madre - non sarà rivelato mai il suo nome - , si innamora, si sposa, lotta con tutta sé stessa per mettere in piedi un negozio di alimentari, il suo sogno (e ci riesce), perde una figlia già grandicella, ma supera il lutto con la seconda, Annie. E qui inizia il loro rapporto, madre - figlia, conflittuale, ma molto vissuto, intenso.

Emerge il ritratto, in tutte le fasi della sua vita, di una donna intelligente, determinata, energica, irruente, di un appetito mai sazio, passionale, sognatrice, curiosa fino a quando la malattia la trasforma in tutt’altro, la sosia di sé stessa, vuota di ricordo e senso del mondo.

Come un lungo monologo, la scrittrice ripercorre i momenti di vita insieme, a volte con nostalgia, a volte con rabbia, odio, amore, gioia e rimpianto.

Frasi di prosa che sembrano poesia: “Elevarsi, per lei, significava soprattutto imparare (diceva «bisogna arricchirsi lo spirito») e nulla era più bello del sapere. I libri erano gli unici oggetti che trattava con cautela. Prima di toccarli si lavava le mani”. Mi stupisco e mi commuovo di fronte a frasi tanto sintetiche, ma così piene di complicità, stima, ammirazione, di pudica e timida intesa reciproca: “Se la guardavo troppo si innervosiva,«che mi vuoi comprare?»” . Quanto sentimento in queste poche parole! E ancora qui, in cui si avverte tutta la forza e determinazione materna:  “Conosceva tutti i gesti che addomesticano la miseria”. E quanto potrei andare avanti, con citazioni così riuscite, il libro ne è pieno, uno scrigno inesauribile.

Parole sempre scelte con cura, precise, da succhiellare con l’impazienza di un giocatore di poker, da gustare all’istante per poi ritornarci sopra.

Uno stile asciutto, essenziale, diretto e funzionale, senza orpelli e parole inutili, solo quelle necessarie a rendere il testo chiaro al lettore ma straordinariamente musicale e incantevole.

Un libro che lascia senza fiato per la bellezza, la sensibilità, le verità che ci vengono restituite, sul rapporto madre- figlia, un amore eterno e indissolubile che non conosce origine “Per me mia madre è priva di storia. C’è sempre stata”.

E ancora una volta la magia della lettura, spalancare porte e finestre della mente e dell’anima, restituendo respiro a ciò che esiste già in noi e ha solo bisogno di uscire dall’ombra.

 A.C.

Una donna di Annie Ernaux ( L’Orma editore 2018)

18 giugno 2022

ODETTE TOULEMONDE di Eric Emmanuel Schmitt

 




Spesso sento la necessità di leggere un libro di Eric Emmannuel Schmitt per perdermi nella sua prosa dallo stile sempre delicato, leggero e al contempo profondo. Per fortuna è un autore prolifico. Avevo già apprezzato alcune sue precedenti opere: Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano, Il bambino Noè, Diario di un amore perduto, Oscar e la dama in rosa, La sognatrice di Ostenda,… letture interessanti e meritevoli.

Odette Toulemonde non è un romanzo, ma una raccolta di otto racconti che parla dell’universo femminile. Protagoniste otto donne, diverse nel ruolo ed estrazione sociale, nella bellezza, nel carattere, nel vissuto, nella sensibilità, nell’intelligenza, nella praticità, nella tenacia, nell’ astuzia, nell’ingenuità.

Curiosa è l’origine della raccolta. Odette Toulemonde, che dà il titolo all’opera, in realtà è un testo nato dapprima come film, successivamente è divenuto racconto; le altre storie invece sono state scritte in segreto, come dice Schmitt stesso nella postfazione, in quanto il regista gli aveva vietato di scrivere durante il periodo delle riprese; divieto non rispettato, perché lo scrittore di nascosto al mattino presto, nelle pause e la sera prima di addormentarsi, si dilettava nella composizione di queste storie, una più interessante dell’altra.

Ecco allora nascere una carrellata di personaggi indimenticabili.

Wanda Winnipeg, una donna che con astuzia e scaltrezza, riesce a scalare rapidamente ogni gradino sociale fino a rivestire cariche e ruoli importanti, anche se, in fondo al cuore, mantiene l’amore e la sensibilità di un tempo, riscattando la dignità delle sue origini.

Helene, una donna perfezionista, idealista, divisa ma lucida, che vive l’amore in modo singolare, ma pieno, sincero e passionale e che nell’avversità del destino, sa trarre lezioni di vita con ottimismo e speranza.

Odile col fantasma della sua ombra (L’intrusa), ci rende partecipi della sua storia, di una malattia che annienta la memoria a breve termine e ogni creazione di amore e affetto passati. Commovente.

Ne Il Falso, le aspettative mancate conducono alla delusione, e al cinismo della protagonista, Aimee, anche se a volte la verità sa nascondersi tra le pieghe della menzogna, e l’inatteso mostrarsi, sconvolgendo ogni regola, previsione e certezza.

Isabelle, donna enigmatica con un segreto nel cassetto, scopre una scomoda verità nella vita di suo marito (anche lui tiene un segreto): una storia d’amore originale, che oltrepassa i confini del normale rapporto coniugale, comunemente inteso, per arricchirsi, completarsi, realizzarsi.

Donatella, la principessa scalza, è la più incantevole e fiabesca delle figure, una sorta di fata, di folletto benevolo, che stravolge la vita di un attore bello ma con scarso talento, il quale dovrà fare presto i conti con l’ineluttabilità del destino. Una storia dove la realtà si fa finzione, e la finzione tragica realtà.

Odette Toulemonde, è il personaggio più caratteristico, umile, affascinante, che con la sua semplicità, riservatezza e sincerità sa proporsi al mondo e agli altri, conquistando l’attenzione, il rispetto e poi l’amore dello scrittore di fama. Un racconto capace di trasmetterci la gioia e la felicità delle piccole cose del quotidiano ( non a caso il film si intitola proprio Lezioni di felicità)

E infine nel Il più bel libro del mondo, le protagoniste, un gruppo di donne prigioniere nei gulag russi per avere osteggiato Stalin, riescono a trovare la forza di reagire, scrivendo messaggi alle figlie sulle cartine delle sigarette: la forza della speranza, una scintilla capace di accendere il fuoco della giustizia, verità e libertà.

Un libro delizioso, da assaporare con calma, con cura, per affezionarci ai personaggi, gioire e immalinconirci con loro, partecipare alle loro singolari storie, per trarne un insegnamento, una lezione di vita e di felicità, perché la nota di fondo di tutta l’opera è proprio la gioia del vivere quotidiano, nascosto nell’ordinario e che solo un animo sensibile e predisposto sa riconoscere, vedere, gustare. Un vero inno alla vita, alla bellezza, all’ottimismo.  E aggiungo: ce ne vuole davvero tanto (di ottimismo) in un periodo critico e deludente da un punto di vista umano, come quello attuale.

Leggetelo, difficile non gradire.

A.C.

 

Odette Toulemonde e altri racconti di Eric Emmanuel Schmitt (ed. E/O 2006)

28 dicembre 2021

CAMBIARE L'ACQUA AI FIORI di Valerie Perrin

 



Seconda opera di Valerie Perrin, che ha pubblicato proprio quest’ anno il terzo romanzo intitolato appunto “Tre”.

Questo libro è davvero delizioso. Non ci si può non affezionare a Violette, donna all’apparenza grigia e spenta, ma che nasconde sotto il cappotto scuro che indossa, i colori dell’estate. Porto l’estate sotto l’inverno dice di sé stessa. Ricorda molto la portinaia dell’Eleganza del riccio di Muriel Barbery, che sotto l’apparenza scialba della donna comune, cela cultura, conoscenza e saggezza.

Violette è una guardiana di un cimitero in un paesino della Borgogna. Orfana, non ha mai conosciuto l’affetto sincero di una madre e di un padre, ma solo quello senza calore,  di famiglie affidatarie. Si innamora di Philippe, uomo bello più che amorevole, che diverrà suo marito e padre della figlia Leonine.

La storia è un susseguirsi continuo di fatti,  accadimenti che si affiancano alla vicenda principale creando storie parallele complesse e dettagliate che incalzano e impediscono al lettore di distrarsi; salti temporali, flashback che l’autrice sa abilmente destreggiare, ora nel rievocare un periodo antecedente, ora balzando nel futuro per far ritorno con maestria nel presente. Anche i luoghi cambiano in continuazione, ma è impossibile perdersi, grazie alle capacità tecniche, descrittive, precise e comprensibili della scrittrice che sa muoversi nel tempo e  nello spazio con abilità e chiarezza. Non mancano colpi di scena, personaggi capaci di cambiare il corso degli eventi, dando il via a una cascata di nuove e imprevedibili situazioni. Forse tante sottotrame poteva anche risparmiarsele –  la storia di Irene Fayolle e di Gabriel, le vite parallele di personaggi come G.Magnan, Fontanel ecc..,  i rapporti con la famiglia Pelletier… - a parer mio le figure di Violette, Philippe, Leonine, Sasha, Celia, Julien sarebbero bastate a creare quella magia che pervade in tutto il libro e che lo rendono un piccolo capolavoro.  

Potrebbe sembrare di primo acchito, un romanzo triste in quanto è la Morte a  dominare la scena, in realtà c’è molta più Vita di quanto si creda, come se fosse proprio la morte a stimolare la vita, ad accenderla.

 

Amore, passione, amicizia, solidarietà attraversano il romanzo, insieme al dolore, alla sofferenza, alla solitudine, al ricordo, alla perdita

Una storia che parla di rinascita, un inno alla vita in ogni sua forma, soprattutto in quella della semplicità. Cadere e sapere rialzarsi, saper riconoscere le proprie debolezze, assecondarle e una volta maturate, riuscire a trascenderle, tornare a cambiare l’acqua ai fiori, ritrovare la luce nel buio della disperazione perché il buio non è mai totale, alla fine del cammino c’è sempre una finestra aperta, andare avanti grazie all’amore, all’affetto e alla cura: amore per il giovane che Violette scopre al di là del bancone del bar, ma anche per quel poliziotto che porta le ceneri della madre da seppellire nel cimitero; affetto per quell’uomo più vecchio di lei che le insegna a prendersi cura di sé stessa e per quella donna, la prima amica della sua vita alla quale ha offerto un letto per trascorrere la notte; cura nel far crescere le piantine dell’orto e nell’occuparsi delle tombe con i suoi morti, ognuno con la propria storia. È l’amore, la passione e la cura che impediscono all’uomo di morire davvero e di vivere per l’eternità.

Un libro appassionante, coinvolgente, divertente e intrigante, ricco di tutti i giusti ingredienti per un film di sicuro successo.

 

A.C.

Cambiare l’acqua ai fiori di Valerie Perrin (ed. e/o)