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16 marzo 2025

STUPORE E TREMORI di Amélie Nothomb

 

“Finché esisteranno le finestre, l’essere umano più umile della terra avrà la sua parte di libertà”

Stupore e tremore nell’antico protocollo imperiale nipponico, era il giusto atteggiamento con cui i sudditi si dovevano rivolgere all’Imperatore. La stessa postura è quella che assume la protagonista del romanzo, la stessa Amélie Nothomb, trattandosi di un racconto autobiografico.

La venticinquenne Amélie, di origine belga ma nata a Kōbe, viene assunta a contratto per un anno, in una grande azienda giapponese Yumimoto. Qui conoscerà la rigida piramide gerarchica, ne scoprirà le regole comprenderà il suo posto e i meccanismi del sistema giapponese. Attraverso una attenta e scrupolosa osservazione, intuirà chi si nasconde dietro il prestigio dei suoi superiori, ne scoprirà la forza e la debolezza, la cattiveria e la bontà, la bassezza e la magnanimità.

Nel suo lento e ostacolante inserimento, subirà continue retrocessioni, ma solo all’apparenza: «Il colmo del sadismo del sistema sta nella sua contraddizione: rispettarlo porta a non rispettarlo». Amélie, asseconda i suoi persecutori, accetta le loro assurde richieste, i loro capricci, la loro convinzione che sia un’incapace, addirittura stupida. Viene umiliata per la sua occidentalità, esclusa, isolata. Anche la stessa Fabuki, suo capo diretto, invece di sostenerla (anche per solidarietà femminile) coglie invece ogni pretesto per denigrarla, deriderla e sottometterla. Solo pochi impiegati negli uffici collaterali riconoscono il valore di Amélie, e tentano di farla crescere, finendo a loro volta puniti dai superiori che continueranno nella loro battaglia oltraggiosa in modi sempre più spietati.

Amélie incassa i colpi, trovando un modo tutto suo di reagire, esaltandosi per ogni angheria subita, trovando il lato positivo in ogni cosa. Come quando si affaccia alle bellissime ed enormi vetrate del quarantaquattresimo piano, dominando tutta la città e immaginandosi in volo da quella’altezza vertiginosa. Quante defenestrazioni in quell’anno di lavoro!

Amélie affronta ogni compito con sarcasmo e ironia , anche quelli più assurdi e inutili, fino all’ultimo, il più degradante. Ma ancora una volta riuscirà a non soccombere, preparandosi alla rivincita.

In tutto il libro pervade un sottile sarcasmo. Nonostante le ingiustizie che fanno stringere i pugni al lettore, è impossibile non sorridere davanti ai geniali espedienti di sopravvivenza della protagonista.

Non mancano colpi di scena a pareggiare e riportare in equilibrio questo sistema perverso. Se volessimo trovare un esempio di resilienza, questo racconto potrebbe esserne la metafora perfetta.

Il libro offre un vivido spaccato della realtà giapponese degli anni Ottanta, esplorando la mentalità nipponica, il loro rigore, la condizione della donna in un mondo maschile che la vuole repressa, bella, parsimoniosa, madre e sempre disposta al sacrificio, anche se la riconosce intelligente. Tra i pochi diritti femminili «In Giappone il suicidio è un atto molto onorevole» ricorda la protagonista, alias Nothomb e rivolgendosi alle donne: «Se può consolarti, nessuno ti considera meno intelligente di un uomo. Sei brillante, la cosa è sotto gli occhi di tutti, anche di quelli che ti trattano tanto bassamente. A pensarci bene, però, è davvero una consolazione? Almeno se ti ritenessero inferiore, il tuo inferno avrebbe una spiegazione… ». Mentre per l’uomo: «il nipponico maschio, lui non è represso… possiede uno dei diritti umani fondamentali: quello di sognare, di sperare».

Ancora una volta Amélie Nothomb non mi ha delusa, anzi, in questo romanzo ho scoperto una scrittura ancor più originale, ironica, pungente rispetto all’ultima lettura Cosmetica del nemico.  

Continuerò a seguirla, con stupore e tremore, perché no?.

“Stupore e tremori” di Amélie Nothomb ( ed.Guanda 2000)

11 giugno 2024

FAUSTO E ANNA di Carlo Cassola

 

Un inno all’amore contro la guerra

Anni Trenta, la storia si svolge tra Volterra, Val di Cecina e Grosseto. Anna e Fausto due giovani di estrazione borghese, si innamorano e si amano. Anna, ragazza semplice, vivace, spigliata, leggera ma non superficiale, intraprendente e sentimentale; Fausto aspirante scrittore, romano d’origine, intellettuale, ateo, più misurato perché concentrato “sul recitare la parte”, riflessivo e con un mondo interiore ricco e complesso abitato dalle influenze e dagli ideali politici del suo tempo. Una relazione un po’ movimentata la loro, che dopo ripetuti alti e bassi, si interromperà, portandoli alla separazione. Fausto tornerà a Roma e Anna conoscerà Miro e si sposerà. Fausto avrà altre donne (conosciute nelle case di tolleranza) senza incontrare il vero amore (idealizzato in Anna)e si dedicherà alla politica, diventando partigiano.

Il romanzo appare diviso in due: una prima parte idilliaca, in cui prevale la favola d’amore, l’atmosfera incantevole della relazione tra i due giovani sebbene a tratti altalenante, in una Volterra bucolica, ben rappresentata e descritta. La seconda parte invece, si fa più cruda, più realistica, con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale che trasforma lo scenario in una campo di battaglia, vedendo Fausto, impegnato politicamente nella Resistenza, come partigiano insieme ad altri compagni.

Un romanzo di formazione (considerando e il percorso di maturazione e lo sviluppo ideologico dei due protagonisti), dal carattere sociale e storico, ma anche autobiografico, in cui riconosciamo in Fausto, l’autore stesso che si affiancò anch’egli ai partigiani, partecipando attivamente alla Resistenza contro il governo nazifascista. ». Un percorso di crescita e maturazione ideologica, in cui l’esperienza  ci insegna e ci trasforma, proprio come accade ai nostri protagonisti.

Cassola però non ci mostra il movimento in maniera eroica ed esaltante, bensì, in una dimensione molto più realistica, piena di incertezze e dubbi, come quando ci descrive Fausto di ritorno fra i partigiani e «ne ebbe l’impressione della prima volta, un’ impressione di tristezza, di squallore, di sciagurataggine», tanto da non credere «che il comunismo potesse rendere migliore il mondo

L’autore fu anche accusato in questo libro di schierarsi contro la Resistenza, critica smentita da lui stesso nella nota a fine romanzo. Un testo particolarmente difficile per lo scrittore, che fu costretto più volte a correggerlo e revisionarlo dal punto di vista stilistico e ideologico perché rifiutato dalle molte case editrici.

Personalmente ci ritrovo questo suo sentire, il valutare in maniera oggettiva la sua epoca, riflettere e vedere senza esagerate celebrazioni, orientamenti politici, ideali e tendenze, riportate invece in maniera concreta e con sincera passione e coinvolgimento intellettivo ed emotivo.

Una prosa fluida, dai dialoghi chiari, semplici ma ben strutturati che alleggeriscono la narrazione a tratti anche troppo dilatata e particolareggiata.

Una lettura comunque fortemente attuale, un inno all’amore contro la guerra, un monito che non dovremo mai stancarci di ripetere:« La guerra distrugge, non produce. Come mai  i capi non capiscono? Non dovrebbero mai fare la guerra. Non ci dovrebbero esser guerre. Ciascuno a casa sua, a lavorare in pace».

Come le commoventi parole del partigiano caduto, che sembrano uscire dalle sue labbra ormai immobili: «Era un gioco molto bello, questo della guerra […] Ma, vedete, non era un gioco la guerra. Ci siamo sbagliati. Guardate i miei occhi vitrei, la bava sanguigna che mi esce dalla bocca, e quest’orribile colore giallo sparso per tutto il mio corpo! Credevamo di giocare, ed era invece una cosa terribile, spaventosa! Smettete, ragazzi, voi che siete in tempo!».

“Fausto e Anna” di Carlo Cassola ( Oscar Mondadori 2012)

27 febbraio 2023

QUADERNO PROIBITO di Alba De Cespedes

 

Sono davvero entusiasta della lettura di un’autrice di cui avevo sentito solo parlare senza riuscire a trovare un suo romanzo. La curiosità mi ha premiata, scovandola tra un mucchio di libri su una bancarella dell’usato.

Valeria è una donna quarantatreenne, sposata con due figli, Riccardo e Mirella, che vivono ancora in casa, laureandi. Siamo nel 1950, la guerra è finita da poco, mentre si avverte tutta la tensione e il desiderio di rinascita e speranza, oscurate a tratti dall’incertezza di una nuova guerra. Valeria proviene da una famiglia benestante, che per investimenti sbagliati, per gestioni familiari non corrette, ha dissipato il patrimonio e ora per far quadrare il bilancio familiare, è costretta anche lei a lavorare. Lavora come impiegata in un ufficio, ma oltre questo ha tutto il carico della famiglia sulle spalle. Il quaderno è il rifugio, “la stanza tutta per sé” che le permette di resistere, di avere un dialogo sincero con qualcuno (chi meglio di sé stessa?), il luogo fisico e mentale dove ritrovarsi, mettersi in discussione, fare ipotesi, darsi delle risposte, illudersi, perché no? Sognare.

Nel diario sviscera i suoi pensieri, li seziona, cerca di trovare soluzioni alle difficoltà dei rapporti familiari, tra lei e suo marito Michele, unico uomo della sua vita, tra lei e i figli, così diversi, così distanti, e irraggiungibili.

Quaderno proibito è un romanzo sottoforma di diario, in cui l’autrice dialoga con sé stessa e al contempo col lettore, rendendolo partecipe e complice dei pensieri più intimi, delle sue paure, incertezze, sensi di colpa, progetti, desideri…

L’aspetto della illegalità del quaderno va oltre al contenuto che Valeria gelosamente custodisce, ampliandosi all’atto dell’acquisto quando di domenica mattina è possibile solo la vendita dei tabacchi. Lo stesso tabaccaio ribadisce: Non si può, è proibito, quando Valeria chiede insistentemente di venderglielo.

Un romanzo che si legge tutto d’un fiato, sorprendente e intimo, con la sensazione di rubare qualcosa alla protagonista, i suoi pensieri più segreti, con la premura di conservarli e mantenerli al sicuro nella nostra mente.

Quaderno proibito di Alba Cespedes (Oscar Mondadori 1970)

23 gennaio 2023

IL POSTO di Annie Ernaux

 

Il posto è un altro bellissimo libro autobiografico di Annie Ernaux, in cui stavolta l’autrice ci parla del padre, uomo di origine contadina, nato in Normandia agli inizi del secolo scorso, operaio, soldato e poi commerciante nel negozio di proprietà insieme alla moglie. Anche in questa opera l’autrice ci regala un quadro emotivo dettagliato e preciso sul contesto ambientale, sociale , relazionale e sul rapporto che li univa.

I ricordi appaiono in maniera improvvisa, come foto scattate a raffica, immagini forti ed esaurienti, narrate con sapienza, essenzialità, senza orpelli a far da cornice. Ne emerge l’ immagine di un uomo semplice, amante della natura e del giardinaggio, che si è fatto strada da solo, onesto, di sani principi e valori, umile, allegro e a volte goliardico tanto da dire qualche volgarità, un uomo senza ambizioni, senza titolo scolastico, ma che conosce gli uomini e i loro sentimenti, che accetta ciò che ha, «con la certezza che “non si può star meglio di come siamo”», un uomo «non infelice».

Interessante il fatto che l’autrice abbia reso omaggio a entrambi i genitori – in due libri distinti e in modo assai diverso – ripercorrendone le tappe fondamentali dalla nascita (e anche prima) fino alla loro morte, senza un ordine prettamente cronologico, ma trasportata dal vento dei sentimenti.

Annie Ernaux sa scavare nell’animo umano con la perizia e la precisione di un chirurgo, sa usare le parole in modo impeccabile, con una capacità di sintesi rara, sapendo cogliere ogni sfumatura, anche la più sottile come in questo passo, quando parla del padre già morto: «Mi sembrava che quei preparativi non avessero alcun legame con mio padre. Era come una cerimonia alla quale lui, per un motivo qualunque, non avrebbe potuto partecipare».

Mi sono interrogata anche sulla scelta dei titoli.  Il libro Una donna, in cui l’Ernaux omaggia la madre, sembra sottolineare proprio nel titolo l’essenza che la caratterizzava, ovvero la potenza della sua femminilità, da cui trae tutta la forza creatrice, che la fa muovere e affermare nel mondo. Per il padre, invece il titolo è Il posto ( non “Un uomo” come mi sarei aspettata), forse perché il suo ideale, la sua continua ricerca era essere nel posto giusto, oppure «Il timore di essere “fuori posto”, di avere vergogna». Come quando l’autrice afferma che era un uomo che non beveva. Cercava di “tenere il suo posto”. Sembrare più commerciante che operaio».

Altra differenza che emerge con evidenza, è la lontananza emotiva tra padre e figlia, la distanza caratteriale, in cui risaltano ancora più marcati i pochi momenti di condivisione che la scrittrice descrive con semplicità e amore: «Mi portava da casa a scuola sulla sua bicicletta. Traghettatore fra due sponde, con la pioggia e con il sole ». Con la madre, nonostante la conflittualità, sono frequenti le descrizioni e le manifestazioni di complicità, di amore e odio.

Una scrittura che ho trovato ancora più schematica, asciutta della precedente ma non per questo meno analitica e particolareggiata, rivelando una sensibilità unica che è impossibile non apprezzare.

A.C.

“Il posto” di Annie Ernaux (L’orma editore 1983)