«Il passato è a valle, il futuro a
monte. Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la
testa».
La montagna come dimensione del vivere, spazio e tempo favorevole
all'incontro, all’amore, all'amicizia quella vera; la montagna specchio delle
ansie e paure, dei limiti dell’uomo; la montagna amica e nemica, dispensatrice
di tanta bellezza e al contempo di tanto orrore; la montagna generosa che dà
con tanto amore e toglie con altrettanta crudeltà. È la legge della natura
- che spesso l'uomo dimentica - forse perché la generalizza con quello stesso
nome, «così astratto» senza definirla
«come bosco, pascolo, torrente roccia,
cose che uno può indicare con un dito».
È la montagna a fare da scenario, a questo bellissimo romanzo di Paolo Cognetti, una storia piena di emozioni,
sentimenti, e tanta riflessione.
Pietro è un ragazzino di città, timido e
solitario, che trascorre insieme ai genitori la lunga pausa estiva a Grana,
paese di montagna, alle pendici del Monte Rosa. È lì che conosce Bruno, suo coetaneo, spronato dalla madre (donna altruista e piena
di entusiasmo), condividendo scorribande ed esplorazioni su pendi e ghiacciai
ad alta quota. I due cominciano a prendere confidenza l’uno dell’altro fino a
trovare una vera sintonia, uniti da una profondo e sincero amore per la
montagna.
Il libro si divide in tre parti
scandendo i momenti di vita del protagonista, dal cui punto di vista si muove
la storia. Nella prima, “Montagna d’infanzia”, domina il rapporto col padre, un
uomo «emotivo, autoritario, insofferente»,
dinamico, instancabile camminatore col desiderio di portarsi dietro il figlio
ribelle nella conquista delle vette più alte. La madre invece appare come una
donna meditativa,«forte, tranquilla, e
conservatrice, che credeva fermamente nella necessità di
intervenire nella vita degli altri». In “La casa della riconciliazione”, si
assiste al ritorno di Pietro (dopo essersi allontanato da casa nel periodo post
adolescenziale), alla presa di coscienza del suo presente attraverso il cammino
dei sentieri percorsi un tempo dal padre e dall’intesa che unisce i due giovani
nel ristrutturare un rifugio avuto in eredità. Nella terza parte “Inverno di un
amico”, si corona invece il profondo rapporto tra i due amici, divenuti già
adulti, carichi ognuno del fardello delle proprie scelte.
Una storia di amicizia profonda,
di un legame quasi fraterno che dall’infanzia si consolida e irrobustisce nel
tempo, attraverso processi paralleli di maturazione e crescita che vedono il loro
punto d’incontro (nei momenti critici e importanti delle vite dei due
protagonisti) proprio sui pendii della montagna.
È anche una storia di solitudine
che la montagna può anche favorire, approfondire, sublimare come per Pietro che
al ritorno nel suo rifugio di montagna afferma: «C’era voluto del tempo per abituarmi alla solitudine, farne un luogo in
cui potevo accomodarmi e stare bene». Ma è anche grazie a questo
isolamento, che riesce a riappropriarsi della propria dimensione, a ritrovarsi,
come dice lui stesso: «Ogni volta che
tornavo lassù mi sembrava di tornare a me stesso. Al luogo in cui ero io e
stavo bene».
Cosa sono le otto montagne? mi sono presto chiesta. Ci viene rivelato oltre
la metà del libro. Il titolo si allaccia a una vecchia leggenda del Nepal – luogo
in cui Pietro viaggia come reporter – dove le otto montagne sono simbolicamente
rappresentate in un mandala. Non aggiungo ulteriori informazioni, per non
svelare troppo, se non alcune riflessioni. Chi è più vicino alla verità, colui
che viaggia, raggiunge le otto montagne o colui che ne raggiunge solo una, Sumeru
(quella al centro) e lì rimane? Due modi diversi di interpretare e vivere
l'esistenza, così come altrettanto diversi e opposti sono Pietro e Bruno nel
loro approccio al mondo, divisi ma uniti però dalla stessa passione per la
montagna e da un amicizia fedele, profonda che li terrà legati fino alla fine.
Una scrittura accogliente,
invitante, limpida proprio come i
torrenti di montagna, tersa e pulita come
il cielo di alcune giornate estive in altura. Una lettura che ho davvero molto
apprezzato, e non solo per l’ amore che anch’io nutro per la montagna, ma per
quel modo attento, scrupoloso e delicato con cui l’autore pone l’occhio sul
comportamento umano per restituircelo con un’immagine nuova, aperta, chiara,
senza alcun giudizio o intenzione. Uno stile che mi ha piacevolmente sorpreso,
tanto che ripeterò senz’altro un’altra esperienza letteraria dell’autore, di
cui questa era la prima lettura.
A.C.