LA VEGETARIANA di
Han Kang
Seoul, Corea del Sud.
Yeong-Hye è una giovane donna, piuttosto ordinaria,«né alta né bassa, capelli a caschetto né lunghi né corti, colorito
itterico e malaticcio, zigomi un po’ sporgenti […] non presentava nemmeno particolari
difetti, e quindi non ci fu ragione di non sposarci» ce la presenta così il marito, al
momento del loro primo incontro. All’improvviso però Yeong-Hye smette di
mangiare carne e il marito la trova nel
cuore della notte davanti al frigorifero intenta a svuotarlo da tutto ciò che sia
carne e pesce, per gettarlo in enormi sacchi dell’immondizia. Allo stupore del consorte
lei risponde : «Ho fatto un sogno».
E quel sogno che si protrarrà per giorni e mesi, vede Yeong-Hye trasformarsi, ferma nella decisione
di non mangiare più ciò che ha gambe, mani, piedi, una testa, fino alla convinzione
di potersi nutrire solo di acqua, e aria, come fanno le piante, gli alberi.
Tutto il menage matrimoniale, familiare e sociale ne sarà sconvolto, portando
la narrazione verso un epilogo inesorabile.
Già l’incipit (il punto di vista del marito) ci immerge
subito nel dramma, mostrandoci tutta la complessità e criticità del loro rapporto «Prima che mia moglie diventasse vegetariana,
l’avevo sempre considerata del tutto insignificante. Per essere franco, la
prima volta che la vidi non mi piacque nemmeno».
Come potremmo aspettarci una sorte diversa se questi sono i presupposti?
Interessante come l’autrice (che non conoscevo) gestisce la
narrazione, introducendo e sviscerando lastoria di Yeong-Hye, non dal suo punto
di vista, ma da tre punti di vista diversi: quello del marito, del cognato e
della sorella maggiore, salvo alcune parentesi in corsivo in cui la storia
sembra rappresentare la visione onirica e allucinatoria della protagonista
stessa. E altrettanto sorprendente è il fatto che la scrittrice riesce a entrare
nel cuore del personaggio, sebbene non sia espresso soggettivamente dalla sua
prospettiva: ciò che lei sente e percepisce davvero, ciò che la spinge a
rifiutare il cibo, tutta la sofferenza, il malessere, il disagio, il desiderio
di essere altro da sé, in un continuo e degradante annullamento. Ma all’allucinazione
si affianca anche una fredda, lucida, spietata determinazione a perseguire il
cammino intrapreso, nella direzione di quella che per Yeong-Hye rappresenta la
liberazione da ogni male, la trasformazione, il ritorno alle origini nel
ricongiungimento con la Natura madre «Sul
mio corpo crescevano le foglie, e dalle mani mi spuntavano le radici… E così
affondavo nella terra. Sempre di più…».
Più che una storia di scelte etiche alimentari, come il
titolo potrebbe far pensare, è la storia di un’anoressia, una malattia che non
lascia scampo, se chi la vive non riesce (o vuole) trovare alternative se si
ostina a conviverci senza offrirsi altre possibilità.
Al dramma di Yeong-Hye si affiancano i vissuti complicati del
marito (un uomo egoista, ignorante, maschilista), del cognato (un artista
insoddisfatto, feticista, alla ricerca del piacere dell’arte e della carne) e della
sorella (donna insoddisfatta e delusa dal matrimonio, che più di una volta si è
trovata in condizioni disperate e difficili ma che a differenza di Yeong-Hye è
riuscita a uscirne). La sorella è la figura positiva e forte, «forte nella sua bontà connaturata, nella sua
umanità […]
senza mai fare del male a nessuno», capace
di lottare, intraprendere la strada più difficile della resistenza e della
razionalità, unita alla consapevolezza di dover reagire (forse anche per il
figlioletto di cui sente tutta la responsabilità), guardare la realtà in faccia e confinare i propri
sogni al margine: «Non esiste soltanto il sogno, no? Dobbiamo
svegliarci a un certo punto, non è così?» .In-Hye
è anche la persona che in qualche modo riscatterà e darà di nuovo dignità alla
sorella.
Una storia tragica e attuale, dove anche il sesso ha la sua
parte intrecciandosi al sentimento. Una vicenda purtroppo possibile in qualsiasi
contesto sociale, non solo coreano che poco conosco, dove l’alienazione, il mal
di esistere, la depressione, la sofferenza dell’anima che porta all’anoressia e
all’annullamento del sé, conducono a una lenta e inevitabile discesa negli
Inferi, in cui nessuna ragione, logica e razionalità può avere la meglio.
Una lettura piuttosto cruda, vera, essenziale, dal ritmo
serrato e incalzante, una prosa diretta,
fluida, scorrevole, che sa esplorare con perizia, oggettività e umanità l’intimità
dell’animo e che ha saputo toccare le corde giuste della mia sensibilità.
Peccato che in alcuni passaggi vi siano errori verbali (tempi sbagliati),
sicuramente frutto di una traduzione forse frettolosa, che la mia mente però ha
prontamente corretto.
Un libro consigliato a tutti; per me la scoperta di una
scrittrice che senza dubbio leggerò ancora.
“La vegetariana di Han
Kang” (Gli Adelphi Edizioni 2007)