23 gennaio 2023

CONFESSIONI E BATTAGLIE MARIE THERESE e ALBA di Erica Gardenti Cassigoli e Nicoletta Manetti

 


Questo breve romanzo è la storia di due donne, Marie Therese Walter e Alba De Cespedes, che attraverso la voce di Erica Gardenti Cassigoli e Nicoletta Manetti chiedono ascolto, riscatto di un’esistenza vissuta all’ombra di uomo troppo ingombrante e pieno di sé l’una, e nella dimenticanza e superficialità di un’epoca, l’altra.

Un vero gioiellino, una breve opera di prosa carica di poesia, quella che arriva diretta, che fa vibrare le corde dell’anima. Due testimonianze sotto forma di lettera, che raccontano pensieri, sentimenti, emozioni di due donne che hanno lasciato un segno, senza far troppo rumore.

Marie Therese, fotografamodella e amante di Picasso, con le sue confessioni alla figlia Maya (avuta dalla relazione con il pittore) ci regala un ritratto davvero unico e sconosciuto di un uomo pieno di sé, egoista, egocentrico, a volte brutale che percepiva il mondo «disgregato L’aveva così osservato e voleva farlo così suo, che è stato costretto a spezzettarlo per portarlo tutto dentro di sé» Un’osservazione davvero originale e profonda, una fra le tante in questa dichiarazione scritta con uno stile preciso, curato, poetico in cui ogni parola ha il peso e il posto giusto.

Alba de Cespedes, scrittrice e giornalista, si rivolge invece a tutte le donne con un accorato appello a continuare a lottare, a non arrendersi mai di fronte all’ingiustizia, a mantenere le conquiste ottenute con sacrificio, perché il passo indietro è breve, di denunciare attraverso le parole; ci elenca le sue battaglie attraverso le testimonianze dei suoi personaggi – Xenia, Alessandra, Francesca, Valeria – invitandoci a proseguire il cammino femminile (non femminista) ostacolato da secoli di pregiudizi, paure e ipocrisie.

«La libertà è una lotta quotidiana»;  «Le parole erano il mio strumento di giustizia, una battaglia di genere in un periodo in cui si voleva la donna solo riproduttrice, madre, moglie. E muta»; «Una volta dette, le cose non sono più invisibili: si rompe la congiura tra il silenzio e la convenzione. Le parole vivono e fanno vivere»; «Lo scrivere e il parlare hanno il potere di farci cambiare la nostra posizione del mondo, la percezione di noi stessi» e queste sono solo alcune delle numerose gemme di cui questo libriccino è pieno. Mi fermo qui per non svelarvi troppo e epr lasciarvi il piacere della scoperta.

Ve lo consiglio fortemente, perché oltre a far la conoscenza con due personaggi dimenticati dal tempo potrete gustarvi una prosa deliziosa e stimolante, davvero ben scritta. Leggetelo.

A.C.

IL POSTO di Annie Ernaux

 

Il posto è un altro bellissimo libro autobiografico di Annie Ernaux, in cui stavolta l’autrice ci parla del padre, uomo di origine contadina, nato in Normandia agli inizi del secolo scorso, operaio, soldato e poi commerciante nel negozio di proprietà insieme alla moglie. Anche in questa opera l’autrice ci regala un quadro emotivo dettagliato e preciso sul contesto ambientale, sociale , relazionale e sul rapporto che li univa.

I ricordi appaiono in maniera improvvisa, come foto scattate a raffica, immagini forti ed esaurienti, narrate con sapienza, essenzialità, senza orpelli a far da cornice. Ne emerge l’ immagine di un uomo semplice, amante della natura e del giardinaggio, che si è fatto strada da solo, onesto, di sani principi e valori, umile, allegro e a volte goliardico tanto da dire qualche volgarità, un uomo senza ambizioni, senza titolo scolastico, ma che conosce gli uomini e i loro sentimenti, che accetta ciò che ha, «con la certezza che “non si può star meglio di come siamo”», un uomo «non infelice».

Interessante il fatto che l’autrice abbia reso omaggio a entrambi i genitori – in due libri distinti e in modo assai diverso – ripercorrendone le tappe fondamentali dalla nascita (e anche prima) fino alla loro morte, senza un ordine prettamente cronologico, ma trasportata dal vento dei sentimenti.

Annie Ernaux sa scavare nell’animo umano con la perizia e la precisione di un chirurgo, sa usare le parole in modo impeccabile, con una capacità di sintesi rara, sapendo cogliere ogni sfumatura, anche la più sottile come in questo passo, quando parla del padre già morto: «Mi sembrava che quei preparativi non avessero alcun legame con mio padre. Era come una cerimonia alla quale lui, per un motivo qualunque, non avrebbe potuto partecipare».

Mi sono interrogata anche sulla scelta dei titoli.  Il libro Una donna, in cui l’Ernaux omaggia la madre, sembra sottolineare proprio nel titolo l’essenza che la caratterizzava, ovvero la potenza della sua femminilità, da cui trae tutta la forza creatrice, che la fa muovere e affermare nel mondo. Per il padre, invece il titolo è Il posto ( non “Un uomo” come mi sarei aspettata), forse perché il suo ideale, la sua continua ricerca era essere nel posto giusto, oppure «Il timore di essere “fuori posto”, di avere vergogna». Come quando l’autrice afferma che era un uomo che non beveva. Cercava di “tenere il suo posto”. Sembrare più commerciante che operaio».

Altra differenza che emerge con evidenza, è la lontananza emotiva tra padre e figlia, la distanza caratteriale, in cui risaltano ancora più marcati i pochi momenti di condivisione che la scrittrice descrive con semplicità e amore: «Mi portava da casa a scuola sulla sua bicicletta. Traghettatore fra due sponde, con la pioggia e con il sole ». Con la madre, nonostante la conflittualità, sono frequenti le descrizioni e le manifestazioni di complicità, di amore e odio.

Una scrittura che ho trovato ancora più schematica, asciutta della precedente ma non per questo meno analitica e particolareggiata, rivelando una sensibilità unica che è impossibile non apprezzare.

A.C.

“Il posto” di Annie Ernaux (L’orma editore 1983)


21 gennaio 2023

ANGELI DELLA NOTTE di A.J.Cronin

 


Mi sono trovata fra le mani questa vecchia edizione Bompiani del 1950, e incuriosita dal titolo e dall’autore (conosciuto per “La Cittadella”in attesa sul mio comodino), ne ho letto l’incipit con il proposito di farne un piccolo assaggio e nel caso, metterlo sotto la pila dei libri da leggere.

La storia mi ha subito coinvolta, forse perché parla del mio mondo, della mia professione, forse perché scorre immediata e accattivante, forse perché è semplicemente scritta bene.

Protagonista è Anne Lee, infermiera diligente e seria che svolge il suo lavoro con competenza, passione e dedizione. La affianca la sorella Lucy, spavalda e superficiale, che per una grave negligenza sconvolge la vita e i buoni propositi di Anne, costringendola a lasciar l’ospedale dove lavora. Fra le varie vicissitudini delle due donne, si inserisce anche una stupenda storia d’amore, dove il dottor Prescott, uomo tutto d’un pezzo, chirurgo stimato e scrupoloso, la cui unica missione è il lavoro e la carriera, è costretto a cedere ai dardi dell’amore.

Lo si potrebbe definire un romanzo rosa per l’intreccio amoroso che emerge potente e attraente, ma in realtà va oltre questa limitazione in quanto rivela molto di più, come l’aperta denuncia sul ruolo e sulle condizioni delle infermiere, tanto osannate e ricercate nel momento della necessità e poi lasciate morire in solitudine (l’infermiera non doveva sposarsi) e in povertà. Emerge forte anche la differenza sociale tra la figura del medico e dell’infermiera, sua subordinata, aspetto questo per fortuna superato. Un libro datato nel costume e nello scenario – siamo agli inizi del Novecento – ma che riproduce alla perfezione alcuni meccanismi umani, che riguardano sentimento ed emozione, e (purtroppo) anche molte carenze economiche e professionali. È incredibile come una storia di cento anni fa sia quanto mai così attuale, e che ben poco sia cambiato, nonostante il notevole progresso economico e tecnologico, e ne parlo da testimone diretta. Si è vero, oggi i ruoli di medico e infermiera son ben distinti, le malattie sono più curabili, non si muore più per molte patologie infettive (anche se il Covid ha rimesso in discussione molte nostre certezze), ma sostanzialmente tante carenze, come la mancanza di beni e presidi nelle strutture ospedaliere, il deficit di operatori sanitari, le scarse retribuzioni economiche degli stessi, sono e rimangono ancora vive nella realtà attuale dei nostri ospedali.

E qui ci sarebbe tanto da aggiungere, ma mi attengo al libro, e continuo apprezzando la capacità analitica dell’autore, osservatore acuto e sensibile che riesce a regalarci attente e dettagliate descrizioni, come nella frase «il suo orecchio acuto ed esercitato seguiva, attraverso i suoni lontani, il ritmo della vita dell’ospedale», per indicarci la scrupolosità e professionalità della protagonista.

Anche se non sono rimasta folgorata dallo stile, è un libro comunque interessante che consiglio a chi desidera una lettura leggera, nostalgica e sentimentale.

A.C.

Angeli della notte di A.J.Cronin (Bompiani 1950)


16 gennaio 2023

IL MESTIERE DI SCRIVERE di Raymond Carver

 


Il mestiere di scrivere è una raccolta di brevi saggi, tenuti da Raymond Carver nel suo percorso di docente di scrittura creativa, una lettura assai interessante per chiunque voglia approcciarsi alla magnifica arte dello scrivere, ma anche per chi ha già pubblicato e si considera uno scrittore, perché credo davvero che non si finisca mai di imparare.

Il libro oltre a fornire esercizi, consigli, riflessioni, istruzioni di scrittura, ci svela l’uomo il suo modo di pensare, il carattere, la sensibilità descritto dettagliatamente anche nella prefazione e nelle testimonianze di chi lo conosceva.

Per me che ne ho letto e apprezzato le opere (perlopiù racconti), è stato un piacere incontrarlo di nuovo; è stato come mettermi seduta nell’aula insieme ai suoi studenti, per ascoltare i suoi insegnamenti catturando (aveva una voce sempre flebile, udibile a malapena) le sue tesi sulla letteratura e i preziosi suggerimenti sul mestiere di scrivere.

Accusava lo sperimentalismo in maniera accorata, ritenendolo «come una specie di licenza per scrivere in modo sciatto, sciocco o imitativo. La vera sperimentazione dovrebbe essere originale» asseriva.

La scrittura deve avere la capacità di sbalordire: «In una poesia o in un racconto si possono descrivere delle cose, degli oggetti comuni usando un linguaggio comune ma preciso e dotare questi oggetti – una sedia, le tendine di una finestra, una forchetta, un sasso, un orecchino – di un potere immenso, addirittura sbalorditivo».

Aveva un grande rispetto per le parole, per il loro potere straordinario e unico: «Non sopporto cose scritte in maniera sciatta e confusa [] le parole sono tutto quello che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste, con la punteggiatura nei posti giusti in modo che possano dire quello che devono dire nel modo migliore».

Il motore della storia è la minaccia, la tensione «che qualcosa sta per accadere, che certe cose si sono messe in moto e non si possono fermare, altrimenti, il più delle volte, la storia semplicemente non ci sarà. Quello che crea tensione in un racconto è, in parte, il modo in cui le parole vengono concretamente collegate per formare l’azione visibile della storia. Ma creano tensione anche le cose che vengono lasciate fuori, che sono implicite, il paesaggio che è appena sotto la tranquilla (ma a volte rotta e agitata) superficie del racconto».

Proprio così, per far funzionare un racconto, si devono conoscere tante cose di quella vicenda – chi era il padre, la madre del protagonista, che lavoro facevano, come era la casa dove ha vissuto l’infanzia, ecc… conoscere l’invisibile, anche se poi non arriveremo mai a parlarne. Dobbiamo avere tutto chiaro nella nostra testa, per renderlo con altrettanta chiarezza al lettore, di questo anch’io sono assolutamente convinta.

Carver è il fautore del linguaggio chiaro, preciso, dettagliato, «un linguaggio usato in modo da infondere vita a dettagli che illuminino il racconto al lettore» perciò è opportuno che «il linguaggio sia dato in maniera quanto mai accurata e precisa. Le parole possono essere precise anche al punto di apparire piatte, l’importante è che siano cariche di significato». Parole cariche di significato, una frase sicuramente da tenere sotto gli occhi, appuntata sotto il monitor (copiata su una scheda sei-per-dodici, avrebbe detto lui ) mentre scrivo anch’io i miei racconti. Questa impostazione la ereditò dal suo mentore John Gardner indirizzandolo a quello che molti definiscono minimalismo. Gardner e successivamente Gordon Lish, gli insegnarono a usare la parola precisa e a eliminare il sovrappiù, gli orpelli, «come fosse importante dire esattamente quel che volevo dire e niente di più, non usare parole “letterarie” o un linguaggio “pseudopoetico”[…], come dire ciò che volevo dire e usare il minimo numero di parole per farlo».

In questo saggio si scopre, come già dicevo, l’essere umano nel suo modo informale, le sue semplici origini, la sua profonda modestia («Non sapevo niente, ma almeno sapevo di non sapere niente»), la sua umiltà velata di timidezza. Mi ha colpito quel sussurrare le lezioni con timido appiglio, quasi volesse scusarsi di dire le sue opinioni. Ne emerge il ritratto di un uomo generoso, altruista, sensibile, buono, incoraggiante, positivo.

Altro concetto fondamentale che condivido appieno (anch’io leggo, rileggo, correggo con una premura maniacale il testo) è l’importanza della riscrittura perché «uno scrittore scopre quello che vuol dire mediante un continuo processo consistente nel “vedere” quello che ha già detto. E questa visione, questo processo di messa a fuoco della visione, si otteneva mediante la revisione».

Per Carver è importante comunicare col lettore perciò si deve essere chiari, precisi, come importante è aver «fiducia nel fatto che il mondo conosciuto abbia ragion d’essere, e che valga la pena di scriverne». Essere chiari aiuta anche il lettore a capire come funziona la mente del personaggio.

Un altro consiglio di scrittura (anche questo da appuntare sotto il monitor) è di non scrivere frasi troppo simili fra loro (le ripetizioni) perché rappresentano «un ostacolo per far entrare il lettore nel tuo sogno».

La letteratura deve essere realista, narrare il mondo che ci circonda, avvenimenti quotidiani, tratti dall’esperienza di tutti i giorni.

Interessante è il capitolo dedicato al laboratorio di scrittura, in cui sono riportati alcuni audio originali delle lezioni tenute da Carver all’Università dell’Iowa, in cui si può apprezzare la qualità e la passione del suo insegnamento.

Concludo qui, scusandomi per le continue e numerose citazioni, ma credetemi non ho saputo resistere.

Ho terminato la lettura ma non il libro: mi attendono ancora cinquanta esercizi di scrittura creativa, sulle orme dei racconti dell’autore, ai quali mi dedicherò con sincero piacere.

A.C.

“Il mestiere di scrivere”di Raymond Carver ( Einaudi Stile Libero 1997)


13 gennaio 2023

LE MIE RISPOSTE ALLE GRANDI DOMANDE di Stephen W. Hawking

 


Inizio l’anno con una lettura dal genere un po’ insolito per me, un saggio, e per giunta di argomento scientifico. Non che io disprezza la scienza né tantomeno i saggi, ma preferisco di gran lunga la narrativa, per il piacere e la soddisfazione che sempre sa donarmi, offrendomi cultura e conoscenze in maniera indiretta che poi elaboro e faccio mie. Il libro mi è stato regalato da un caro amico, e cominciando a leggerlo per curiosità, forse anche incantata dal titolo, sono andata avanti fino a concluderlo, sebbene molti concetti, principi della fisica spiegati da Hawking, mi siano piuttosto difficili da comprendere. Ho avuto occasione di conoscere l’autore anche grazie al film “La teoria del tutto” di James Marsh (pellicola meravigliosa) che riproduce in maniera realistica e convincente la sua biografia, mettendone in risalto, oltre alle sue capacità professionali, anche il suo carattere ironico e ottimista.

Come il titolo recita, l’autore si fa voce per dare risposta alle principali domande che da secoli ci assillano: Esiste un Dio? Come è iniziato tutto? Nell’universo ci sono altre forme di vita intelligenti? Possiamo predire il futuro? Cosa c’è dentro un buco nero? È possibile viaggiare nel tempo? Riusciremmo a sopravvivere sulla Terra? Dovremmo colonizzare lo spazio? L’intelligenza artificiale surclasserà la nostra? Come possiamo plasmare il futuro?

A queste domande (che sono poi i capitoli del libro), Stephen Hawking cerca di dare spiegazioni e trovare soluzioni, sempre basandosi sul metodo scientifico avvalendosi delle sue competenze, intuito, genialità, immaginazione, il tutto pervaso da un sottile velo ironico e ottimista.

Dal suo narrare, scorrevole e fluido (nonostante gli intoppi legati alle mie difficoltà concettuali della materia) emerge un uomo forte, integro, che nonostante l’infermità ha saputo portare avanti la sua missione di uomo di scienza, con passione, determinazione, curiosità ed entusiasmo, un uomo che oltre il contributo scientifico ha saputo dare un grande esempio di forza psichica e morale dal quale dovremmo tutti imparare.

Questo è il grande regalo che ci lascia, oltre ai suoi preziosi studi sui buchi neri, sulla cosmologia quantistica e sull’origine dell’universo. Altrettanto significativa è anche l’attenzione rivolta ai tre grandi problemi dell’umanità, che come lui stesso spiega nel libro potrebbero portare velocemente  all’estinzione della specie umana : la deforestazione, il surriscaldamento globale, l’utilizzo dell’energia nucleare a scopi bellici e il sopravvento dell’intelligenza artificiale su quella umana. Tutto senza inutili allarmismi, ma spiegato con rigore scientifico e soprattutto realistico.

E proprio con le sue parole, voglio concludere questa mia breve analisi:

«Ricordatevi sempre di guardare in alto, verso le stelle, e non i vostri piedi. Cercate di capire quello che vedete e interrogatevi sulle ragioni per cui l’universo esiste. Siate curiosi. Per quanto difficile possa sembrare la vita, c’ è sempre qualcosa che potrete far con successo. L’importante è non arrendersi. Liberate la vostra immaginazione. Plasmate il futuro».

A.C.

"Le mie risposte alle grandi domande" di Stephen W. Hawking  (BUR Rizzoli 2018)

02 gennaio 2023

ANJA E DOSTOEVSKIJ A FIRENZE di Nicoletta Manetti

 

Uno scrigno prezioso di informazioni, curiosità, aneddoti, l’ultima pubblicazione di Nicoletta Manetti che ancora una volta sorprende per l’attenta ricerca storica, accuratezza dei dettagli e chiarezza dei contenuti, raccolti tutti in questo libriccino (e il diminutivo non è certo dispregiativo) di nemmeno cento pagine. Ciò dimostra che la sintesi è un suo ulteriore pregio, rivelando una capacità di concentrare gli eventi, le argomentazioni, osservazioni e riflessioni più plausibili ai fini di un messaggio narrativo efficace.

L’autrice, in questa ricerca romanzata, ripercorre il periodo di otto mesi, in cui lo scrittore soggiornò a Firenze insieme alla moglie Anja (anche assistente stenografa) ai tempi di Firenze Capitale. La coppia aveva scelto Firenze per il clima mite e dolce, ideale per scrivere rispetto alle temperature rigide russe, e soprattutto per sfuggire ai creditori. È nello scenario di questa magnifica città, circondata dai colli, dai giardini rigogliosi anche d’inverno, traboccante di arte e cultura che Dostoevskij conclude il romanzo “L’Idiota”. E qui è impossibile non provare un pizzico di orgoglio nell’apprendere come la nostra amata città sia stata fonte di tanta ispirazione.

I capitoli sono divisi per mesi, dall’arrivo nel novembre del 1868, fino alla partenza nel luglio dell’anno successivo, preceduti da una introduzione assai illuminante dove l’autrice ci spiega che lo scrittore era stato a Firenze sei anni prima con l’amico Turgenev, descrivendoci dove alloggiarono (addirittura il numero di stanza), chi frequentarono, come passarono il tempo. Viene ripercorso anche il periodo successivo, segnato da eventi infausti: lutti, perdite al gioco, debiti. La conoscenza di Anja, assunta come stenografa sarà l’inizio di una rinascita per lo scrittore, anche se non mancheranno ancora periodi di ombra e di dolore. Durante il soggiorno fiorentino, l’autrice è come se si mettesse al fianco di Dostoevskij, e lo seguisse senza mai abbandonarlo, rivelandoci i suoi desideri, i suoi interessi, le sue paure, le crisi per l’urgenza del libro da consegnare, la sofferenza per il clima estivo troppo afoso e insopportabile, mostrandoci la verità dell’uomo dietro l’artista che tutti conosciamo. Conclude il libro la testimonianza della figlia Liubov’ e i tributi di Firenze per i duecento anni dalla nascita del grande autore russo.

Assai interessante il corredo fotografico allegato, in cui Nicoletta Manetti ci mostra documenti, luoghi, edifici interni ed esterni, attuali e dell’epoca, i ritratti dei due artisti, che compaiono anche in copertina.

Un’opera dedicata a coloro (e non solo) che vogliono approfondire le conoscenze su questo scrittore, e che intendono scoprirne anche l’aspetto più umano, relazionale, pratico oltre che artistico.

Un libro che mi ha incantata, per la sobrietà, chiarezza, delicatezza del linguaggio, in uno stile semplice ma ricercato, tipico dell’autrice apprezzato già in altre sue opere.

Semplicemente delizioso, leggetelo.

A.C.

01 gennaio 2023

MATTATOIO N.5 di Kurt Vonnegut



Un  libro molto particolare, che non si dimentica facilmente anche se è difficile definire la trama di Mattatoio n.5 in maniera lineare, perché le vicende non seguono un filo sequenziale, uniforme, ma procedono come a singhiozzo, con visioni, immagini frammentate, compiendo sorprendenti salti temporali e spaziali. Una scrittura che sembra più un flusso di pensiero, a uso e consumo dell’autore stesso che a quello del lettore, ho pensato all’inizio. Sono entrata nella storia perciò un po’ a fatica, fino a quando mi sono arresa intuendo che dovevo prenderla per com’era, senza troppo pensiero, lasciandomi catturare dalla suggestione delle parole, dalle descrizioni, dai dialoghi e dalle riflessioni. In verità in questo libro c’è molto su cui pensare e meditare.

Billy Pilgrim è un americano reduce della seconda guerra mondiale, che ha la capacità di viaggiare nello Spazio e nel Tempo. Durante la sua vita, avrà una brillante carriera di ottico, si arruolerà nell’esercito, sopravvivrà al massacro di Desdra in Germania (in cui persero la vita ben 135 mila persone, di cui poco la storia parla) grazie al rifugio sotterraneo in un mattatoio (da cui il titolo), si sposerà, avrà due figli, si salverà da uno spaventoso incidente aereo. Billy è un personaggio a cui ci si affeziona subito, per la semplicità dei sentimenti, per la sua fragilità, bonarietà, arrendevolezza, per il suo forte realismo (dettato dal fatto che anche Vonnegut visse l’esperienza bellica della seconda guerra mondiale e il massacro di Desdra).

Nonostante la tragicità degli eventi narrati in questo romanzo, non mancano l’aspetto ironico, sarcastico, addirittura comico in cui l’autore – a mio parere – ha cercato di svalorizzare l’istituzione della guerra stessa (farle perdere la serietà che invece vuole attestare), mettere in luce la sua ridicola manifestazione esaltandone la disfunzione  e l’assurdità.

Si avverte potente il suo messaggio di opposizione alla Guerra e un chiaro inno alla Pace: «Ho detto ai miei figli che non devono, in nessuna circostanza, partecipare a un massacro, e che le notizie di massacri compiuti tra nemici, non devono riempirli di soddisfazione e di gioia. Ho anche detto loro di non lavorare per società che fabbricano congegni in grado di provocare massacri, e di esprimere il loro disprezzo per chi pensa che congegni del genere siano necessari». Ecco allora l’apparizione di un mondo extraterrestre, Tralfamadore, in cui la pace non è un’utopia, e di cui Billy cerca di carpirne il segreto:“Ho imparato come gli abitanti di un intero pianeta possano vivere in pace! Come sapete, io vengo da un pianeta che da tempo immemorabile non fa che compiere massacri insensati. Io stesso ho visto i corpi di ragazzine bollite vive dentro un serbatoio dai miei compatrioti, tutti fieri di battersi in quel modo contro il male[…] E di notte in prigione mi sono fatto luce con candele fabbricate col grasso di esseri umani uccisi dai fratelli e dai padri di quelle ragazzine. I terrestri devono essere il terrore dell’universo![...] Ditemi dunque il segreto, così lo porterò sulla Terra e saremo tutti salvi: come può un pianeta vivere in pace?”.

C’è davvero in queste poche righe il più sentito disprezzo, la più sincera repulsione a un meccanismo così atroce, al contempo stupido e insensato come la guerra.

Interessante quel continuo intercalare e concludere i paragrafi con la frase Così va la vita ed E così via che, come un mantra, puntualizza l’arrendersi agli eventi, acquisire consapevolezza della realtà circostante senza esserne succubi, affidarsi al flusso dell’esistenza senza fermarsi mai, camminare insieme alla vita stessa, perché proprio così va la vita, prosegue il suo cammino, nonostante tutto, nonostante noi.

E ancora il tema del Fato, il destino che ognuno si porta appresso e che non si può cambiare, ma accogliere nella piena comprensione. Non si cambia il destino dicono i Tralfamadoriani: «Tutto il tempo è tutto il tempo. Non cambia. Non si presta ad avvertimenti o spiegazioni. È, e basta. Lo prenda momento per momento, e vedrà che siamo tutti, come ho detto prima, insetti nell’ambra[…] Solo sulla terra si parla di libero arbitrio».

Insetti nell’ambra, uomini e donne imbalsamati, senza capacità di muoversi, di decidere della propria sorte, e già solo questa metafora (e ce ne sono tante)  aprirebbe un altro interessante discorso sullo stile dello scrittore, che ho molto apprezzato man mano che proseguivo con la lettura.

Davvero una scrittura profonda, che stimola e arricchisce, riuscendo a regalare nella dualità degli opposti – drammaticità e comicità, serietà e leggerezza, gravità e ironia – una visione realistica e concreta del conflitto mondiale, riflessioni sui veri valori dell’esistenza, sulla nostra precarietà di esseri umani, sull’ eventualità di nuovi mondi dove l’impossibile possa divenire possibile .

Grazie per il consiglio di lettura che rinnovo a coloro che non conoscono l’autore e che spero di avere incuriosito.

A.C.

Mattatoio n.5  di Kurt Vonnegut (ed. Feltrinelli 2003)

1 gennaio 2023