Il mestiere di scrivere è una raccolta di brevi saggi, tenuti da Raymond Carver nel suo percorso di docente di scrittura creativa, una lettura assai interessante per chiunque voglia approcciarsi alla magnifica arte dello scrivere, ma anche per chi ha già pubblicato e si considera uno scrittore, perché credo davvero che non si finisca mai di imparare.
Il libro oltre a fornire esercizi, consigli, riflessioni, istruzioni di scrittura, ci svela l’uomo – il suo modo di pensare, il carattere, la sensibilità – descritto dettagliatamente anche nella prefazione e nelle testimonianze di chi lo conosceva.
Per me che ne ho letto e apprezzato le opere (perlopiù racconti), è stato un piacere incontrarlo di nuovo; è stato come mettermi seduta nell’aula insieme ai suoi studenti, per ascoltare i suoi insegnamenti catturando (aveva una voce sempre flebile, udibile a malapena) le sue tesi sulla letteratura e i preziosi suggerimenti sul mestiere di scrivere.
Accusava lo sperimentalismo in maniera accorata, ritenendolo «come una specie di licenza per scrivere in modo sciatto, sciocco o imitativo. La vera sperimentazione dovrebbe essere originale» asseriva.
La scrittura deve avere la capacità di sbalordire: «In
una poesia o in un racconto si possono descrivere delle cose, degli oggetti
comuni usando un linguaggio comune ma preciso e dotare questi oggetti – una
sedia, le tendine di una finestra, una forchetta, un sasso, un orecchino – di
un potere immenso, addirittura sbalorditivo».
Aveva un grande rispetto per le parole, per il loro potere straordinario e unico: «Non sopporto cose scritte in maniera sciatta e confusa […] le parole sono tutto quello che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste, con la punteggiatura nei posti giusti in modo che possano dire quello che devono dire nel modo migliore».
Il motore della storia è la minaccia, la tensione «che qualcosa sta per accadere, che certe cose si sono messe in moto e non si possono fermare, altrimenti, il più delle volte, la storia semplicemente non ci sarà. Quello che crea tensione in un racconto è, in parte, il modo in cui le parole vengono concretamente collegate per formare l’azione visibile della storia. Ma creano tensione anche le cose che vengono lasciate fuori, che sono implicite, il paesaggio che è appena sotto la tranquilla (ma a volte rotta e agitata) superficie del racconto».
Proprio così, per far funzionare un racconto, si devono conoscere tante cose di quella vicenda – chi era il padre, la madre del protagonista, che lavoro facevano, come era la casa dove ha vissuto l’infanzia, ecc… conoscere l’invisibile, anche se poi non arriveremo mai a parlarne. Dobbiamo avere tutto chiaro nella nostra testa, per renderlo con altrettanta chiarezza al lettore, di questo anch’io sono assolutamente convinta.
Carver è il fautore del linguaggio
chiaro, preciso, dettagliato, «un
linguaggio usato in modo da infondere vita a dettagli che illuminino il
racconto al lettore» perciò è
opportuno che «il linguaggio sia dato in maniera quanto mai
accurata e precisa. Le parole possono essere precise anche al punto di apparire
piatte, l’importante è che siano cariche di significato».
Parole cariche di significato,
una frase sicuramente da tenere sotto gli occhi, appuntata sotto il monitor (copiata su una scheda sei-per-dodici,
avrebbe detto lui ) mentre scrivo anch’io
i miei racconti. Questa impostazione
la ereditò dal suo mentore John Gardner indirizzandolo a quello che molti
definiscono minimalismo. Gardner e successivamente Gordon Lish, gli insegnarono
a usare la parola precisa e a eliminare il sovrappiù, gli orpelli, «come
fosse importante dire esattamente quel che volevo dire e niente di più, non
usare parole “letterarie” o un linguaggio “pseudopoetico”[…], come dire
ciò che volevo dire e usare il minimo numero di parole per farlo».
In questo saggio si scopre, come già dicevo, l’essere umano nel suo modo informale, le sue semplici origini, la sua profonda modestia («Non sapevo niente, ma almeno sapevo di non sapere niente»), la sua umiltà velata di timidezza. Mi ha colpito quel sussurrare le lezioni con timido appiglio, quasi volesse scusarsi di dire le sue opinioni. Ne emerge il ritratto di un uomo generoso, altruista, sensibile, buono, incoraggiante, positivo.
Altro concetto fondamentale che condivido appieno (anch’io leggo,
rileggo, correggo con una premura maniacale il testo) è l’importanza della riscrittura perché «uno scrittore scopre quello che vuol dire
mediante un continuo processo consistente nel “vedere” quello che ha già detto.
E questa visione, questo processo di messa a fuoco della visione, si otteneva
mediante la revisione».
Per Carver è importante comunicare col lettore perciò si deve essere chiari, precisi, come importante è aver «fiducia nel fatto che il mondo conosciuto abbia ragion d’essere, e che valga la pena di scriverne». Essere chiari aiuta anche il lettore a capire come funziona la mente del personaggio.
Un altro consiglio di scrittura (anche questo da appuntare sotto
il monitor) è di non scrivere frasi troppo simili fra loro (le ripetizioni)
perché rappresentano «un ostacolo per far
entrare il lettore nel tuo sogno».
La letteratura deve essere realista, narrare il mondo che ci circonda, avvenimenti quotidiani, tratti dall’esperienza di tutti i giorni.
Interessante è il capitolo dedicato al laboratorio di scrittura, in cui sono riportati alcuni audio originali delle lezioni tenute da Carver all’Università dell’Iowa, in cui si può apprezzare la qualità e la passione del suo insegnamento.
Concludo qui, scusandomi per le continue e numerose citazioni, ma credetemi non ho saputo resistere.
Ho terminato la lettura ma non il libro: mi attendono ancora cinquanta esercizi di scrittura creativa, sulle orme dei racconti dell’autore, ai quali mi dedicherò con sincero piacere.
A.C.
“Il mestiere di scrivere”di Raymond Carver ( Einaudi Stile Libero 1997)
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