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01 maggio 2024

LE RAGAZZE DI SANFREDIANO di Vasco Pratolini

 

Leggere “Le ragazze di Sanfrediano” più che una lettura, è un’esperienza virtuale nel quartiere di Sanfrediano nel dopoguerra, in una nazione appena liberata dal fascismo, animata e sostenuta dagli ideali partigiani, di libertà, democrazia e giustizia sociale. San Frediano è il rione Diladdarno, dove la vita scorre frenetica nelle strade e nei vicoli, nelle botteghe artigiane, sulla soglie delle case, tra schiamazzi di ragazzini e massaie che dialogano dalle finestre spalancate delle abitazioni, tra il frastuono delle motociclette e i rintocchi  delle campane del Cestello che scandiscono le ore.

Bob, il cui vero nome è Aldo Sernesi, ma che si fa chiamare Bob per la somiglianza con il divo Robert Taylor, fa strage di cuori nel quartiere «che è tutta la sua vita, una riserva di caccia tutta sua particolare». Le ragazze - Gina, Bice, Mafalda, Silvana, Tosca e Loretta - gli corrono dietro come api al miele, e lui, intreccia una relazione con ciascuna di loro, «perché le ragazze rappresentano il suo vero sport, la sua arte, e la sua religione» pronto però a dimenticarsene non appena la ragazza in questione esce dal suo campo visivo. Bob sembra sincero quando dichiara il suo amore, sente di amarle tutte e nessuna, ma non sa decidersi a scegliere «poiché Bob, ormai, si riteneva dotato di un’immensa riserva di affetto che una sola donna sarebbe stata incapace di accettare e esaurire».

Ma le ragazze di Sanfrediano non si lasciano incantare, sono donne determinate e orgogliose, «non prendono i rifiuti di nessuno», ognuna col proprio carattere e peculiarità, con l’impronta genetica della resistenza proverbiale del rione saprà, unita con le altre per giusta causa, dare la meritata lezione al presuntuoso damerino.

Ecco allora interi capitoli dedicati a ciascuna di loro: Tosca «una creatura che la vita dovrà ingegnarsi per riuscire ad umiliarla, e forse non ci riuscirà»; Gina snella, piacente [… ]con quella gentilezza di modi che se non era più innocenza, era tuttora il suo carattere e la sua virtù»; Mafalda la rossa, «dal corpo solido e plebeo» risoluta e intraprendente; Bice «quieta, credula, ottimista, incapace di sentimento assaltante come di un affetto eroico e di un sacrificio meditato, squisitamente femminile, limitata e paziente»; Silvana «manidifata» la contesa; Loretta ultima arrivata, che nonostante il recente innamoramento, non si tira indietro per seguire le altre.

Protagonista in questo romanzo, come già altri hanno individuato, non è soltanto Bob intorno al quale si tesse la trama, ma le tutte donne e soprattutto il quartiere.

Un messaggio di solidarietà femminile che emerge a risoluzione di questa scrittura fortemente scenica (dal quale è stato tratto il film di Valerio Zurlini che per l’occasione mi sono rivista) e che si afferma in modo rudimentale e grezzo, a dimostrare l’emancipazione femminile e la  parità dei diritti di genere. Ma non solo aggiungerei, soprattutto il diritto al rispetto e alla dignità della persona.

Una prosa popolare, dai termini e detti “fiorentini”, testimonianze di tradizione e costume, che hanno risuonato in me (…non m’è rimasto attaccato neanche un’ugna, mi gingillo, …ha corso la cavallina, …è tanto che mi struggo,… un pirulino, …una sugna,… una mezzasega, …togliere l’olio dai fiaschi) e che colorano e arricchiscono il testo, lo animano, rendendolo vero e appetibile.

Un libro meno impegnativo rispetto ad altre sue opere, ma che ogni fiorentino (e non solo) dovrebbe conoscere, per apprezzare e ritrovare i sapori, odori, suoni di un tempo nemmeno tanto lontano che ha fatto la nostra Storia.

«Le ragazze di Sanfrediano» di Vasco Pratolini (ed. Bur Rizzoli 2011)


01 maggio 2023

IL VELO ROSSO di Manna Parsì


Un diario «per non dimenticare le nostre origini» la forma narrativa scelta dalla scrittrice Manna Parsì, persiana di nascita ma residente in Italia, per denunciare realtà misconosciute, un documento che ci rivela invece in tutta la sua oggettività, la condizione, mentalità, tradizione di un popolo residente in un piccolo villaggio sul Golfo Persico, alla fine degli anni Novanta. Una testimonianza che non segue in maniera vincolata un percorso cronologico ma che, attraverso acrobatici salti temporali, ci tiene ancor più ancorati alla scrittura affinché non si perda il filo della trama (espediente che ho trovato molto stimolante).

Jahan è una ragazzina, ultimogenita di due fratelli e una sorella, che attraverso il ricordo scritto, animato da continui flashback e flashforward, ricerca la verità, ricollocando al loro posto i tasselli mancanti della sua esistenza. La narrazione ha inizio al momento del suo concepimento fino all’età adulta quando, capace di discernere quello che è giusto e lecito, capirà ciò che è suo diritto, cioè vivere e poter scegliere in libertà. Attraverso una scrittura semplice e diretta, la protagonista ripercorre le tappe fondamentali della sua maturazione, l’affetto viscerale che la lega alla madre, il legame con la sorella, il logico e necessario distacco dai fratelli, l’odio verso il padre che picchia e fa piangere la moglie. Nel romanzo la scrittrice sa mettere in evidenza, come un’arma bianca contro la violenza maschile, la solidarietà femminile all’interno del villaggio, dove «le donne sono piene di segreti e di ombre, forse perché non hanno potuto mai parlare liberamente e si sono raccontate tra loro». Attraverso la memoria Jahan cerca e trova il riscatto, il modo per sublimare tutta la rassegnazione, la rabbia e la violenza di un passato al quale è sopravvissuta, insieme alla sorella.

Ciò che colpisce nel romanzo è la profonda e non rimarginabile ferita della condizione della donna iraniana (ma non solo), che nonostante la consapevolezza e l’emancipazione, continua a subire violenze, soprusi, ingiustizie solo per il fatto di essere donna, “oggetto” da sottomettere, sfruttare, usare a piacimento dell’uomo e del suo desiderio. Incredibile, come possa esistere una tale idea, nonostante il progresso etico e ideologico raggiunto, non posso fare a meno di aggiungere, anche se è un pensiero scontato.

La scrittrice riesce con una sensibilità unica e coinvolgente a regalarci una fotografia nitida, uno spaccato tangibile di questa realtà così piena di sofferenza, crudeltà, vessazioni, che difficilmente riusciremo a dimenticare dopo la lettura.

Una scrittura che arriva direttamente al cuore, che commuove e fa riflettere sull’ anacronistica condizione femminile e su qualsiasi forma di violenza e sopraffazione. Una lettura stimolante, dallo stile essenziale, diretto, senza inutili orpelli, senza veli rossi imposti (il velo ornamentale destinato alle spose iraniane) che intende focalizzare l’attenzione sul valore dei diritti umani, quelli che non conoscono ingiustizia di genere, nella speranza di un mondo più accogliente, senza violenze, guerre e conflitti, di una riconciliazione sociale e umana, dove sia possibile vivere secondo il proprio sentire e nella piena libertà di agire e scegliere.

A.C.