Diario di un dolore è un libro di interesse comune che tutti dovrebbero leggere, perché è pressoché impossibile nella vita di ciascuno di noi, non sperimentare il dolore, nonostante la sua soggettività. Il dolore come il piacere, fa parte del nostro quotidiano di esseri umani e sensibili, riveste un ruolo fondamentale e condizionante nel relazionarci con l’esterno, influenzando ogni sfera del nostro essere, fisica, mentale e spirituale.
Lo scrittore ha perso la moglie, il cancro se l’è portata via con sofferenze atroci. Questa opera, sotto forma di diario, partendo dal tragico evento, nasce come elaborazione della perdita, come risposta reattiva al dolore del lutto, della mancanza, nel tentativo di dargli forma, consistenza e valore, per poterlo superare forse, e dargli un senso, una connotazione..
L’autore però va oltre, riuscendo a penetrare il dolore e a descriverlo nelle molteplici
sfumature: il dolore come una sbronza; il dolore come una arma puntata contro
che incute paura e angoscia; il dolore che impigrisce inibendo ogni azione; il
dolore come entità individuale ed esclusivamente personale « La debolezza dell’altro, la sua paura, la
sua sofferenza non puoi farle tue. Potrai aver paura e soffrire anche tu. […]
Ma sarebbe pur sempre un soffrire diverso», per quanto siamo vicini a chi
soffre, ognuno conosce davvero soltanto il proprio dolore; il dolore come
mistero: «Perché la separazione (per non
dire altro) che tanto strazia chi rimane dovrebbe essere indolore per chi se ne
va?»; il dolore che fa perdere il
significato della vita stessa: «La gente
non esiste, non è mai esistita. La morte non fa che rivelare il vuoto che c’era
da sempre»; il dolore prolungato per la persona perduta che può allontanare
l’affetto per la persona stessa «l’abbandono
al dolore, invece di legarci ai morti, ce ne distacca».
E poi Il lutto, vissuto
dai figli come imbarazzo, dal congiunto come assenza, come perdita di un’abitudine
che svela orizzonti diversi e sconosciuti: « Il dolore di un lutto è come una lunga valle, una valle tortuosa dove
qualsiasi curva può rivelare un paesaggio affatto nuovo».
Il concetto della morte,
come un tabù da sfatare: «La morte esiste. E
tutto ciò che esiste ha importanza»; la morte come approdo e non come l’arrivo.
Non mancano le riflessioni sull’esistenza di un’altra dimensione
spaziale e temporale dopo la morte: «Dov’è
lei ora? Ossia in quale luogo è lei in questo momento? Ma se H. non è un
corpo,… H. non è in nessun luogo […]. Se
i morti non sono nel tempo, o non sono nel tempo che noi conosciamo, esiste una
chiara differenza, quando parliamo di loro, tra “era”, “è” e “sarà”? La
risposta che prova a darsi è: «H è con
Dio. Almeno in un senso, questo è certissimo. Essa è, come Dio, incomprensibile
e immaginabile».
Questo lungo percorso sul dolore si rivela alla fine una sublimazione, un salto spirituale, una modalità saggia (anche se dolorosa) per approfondirsi, crescere, evolversi.
L’autore attua questo processo in maniera stoica, alternando la razionalità all’emozione, in una gamma di stati d’animo, anche contraddittori a volte, in cui mette in discussione la fede stessa, criticando e analizzando il suo Dio: «È razionale credere in un Dio cattivo? O comunque, in un Dio tanto cattivo? Il Sadico Cosmico, l’idiota malevolo?».
Non manca la riconciliazione con «Lui come il donatore e con lei come dono…
amarla è diventato, nella sua misura, come amare Lui», che
riaccende la speranza capace di lenire ogni sofferenza.
Un libro intenso e coraggioso che
mette in luce gli aspetti complessi del dolore – fisico, psichico e spirituale
– che porta noi lettori a soffermarci e
a confrontarci anche con il proprio, a dargli un significato, trovando molti
punti in comune, sebbene la soggettività e l’unicità dell’esperienza stessa.
Un libro che terrò nella biblioteca
del mio cuore.
“Diario di
un dolore” di C.S.Lewis ( ed. Adelphi
1990)
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