28 dicembre 2021

CAMBIARE L'ACQUA AI FIORI di Valerie Perrin

 



Seconda opera di Valerie Perrin, che ha pubblicato proprio quest’ anno il terzo romanzo intitolato appunto “Tre”.

Questo libro è davvero delizioso. Non ci si può non affezionare a Violette, donna all’apparenza grigia e spenta, ma che nasconde sotto il cappotto scuro che indossa, i colori dell’estate. Porto l’estate sotto l’inverno dice di sé stessa. Ricorda molto la portinaia dell’Eleganza del riccio di Muriel Barbery, che sotto l’apparenza scialba della donna comune, cela cultura, conoscenza e saggezza.

Violette è una guardiana di un cimitero in un paesino della Borgogna. Orfana, non ha mai conosciuto l’affetto sincero di una madre e di un padre, ma solo quello senza calore,  di famiglie affidatarie. Si innamora di Philippe, uomo bello più che amorevole, che diverrà suo marito e padre della figlia Leonine.

La storia è un susseguirsi continuo di fatti,  accadimenti che si affiancano alla vicenda principale creando storie parallele complesse e dettagliate che incalzano e impediscono al lettore di distrarsi; salti temporali, flashback che l’autrice sa abilmente destreggiare, ora nel rievocare un periodo antecedente, ora balzando nel futuro per far ritorno con maestria nel presente. Anche i luoghi cambiano in continuazione, ma è impossibile perdersi, grazie alle capacità tecniche, descrittive, precise e comprensibili della scrittrice che sa muoversi nel tempo e  nello spazio con abilità e chiarezza. Non mancano colpi di scena, personaggi capaci di cambiare il corso degli eventi, dando il via a una cascata di nuove e imprevedibili situazioni. Forse tante sottotrame poteva anche risparmiarsele –  la storia di Irene Fayolle e di Gabriel, le vite parallele di personaggi come G.Magnan, Fontanel ecc..,  i rapporti con la famiglia Pelletier… - a parer mio le figure di Violette, Philippe, Leonine, Sasha, Celia, Julien sarebbero bastate a creare quella magia che pervade in tutto il libro e che lo rendono un piccolo capolavoro.  

Potrebbe sembrare di primo acchito, un romanzo triste in quanto è la Morte a  dominare la scena, in realtà c’è molta più Vita di quanto si creda, come se fosse proprio la morte a stimolare la vita, ad accenderla.

 

Amore, passione, amicizia, solidarietà attraversano il romanzo, insieme al dolore, alla sofferenza, alla solitudine, al ricordo, alla perdita

Una storia che parla di rinascita, un inno alla vita in ogni sua forma, soprattutto in quella della semplicità. Cadere e sapere rialzarsi, saper riconoscere le proprie debolezze, assecondarle e una volta maturate, riuscire a trascenderle, tornare a cambiare l’acqua ai fiori, ritrovare la luce nel buio della disperazione perché il buio non è mai totale, alla fine del cammino c’è sempre una finestra aperta, andare avanti grazie all’amore, all’affetto e alla cura: amore per il giovane che Violette scopre al di là del bancone del bar, ma anche per quel poliziotto che porta le ceneri della madre da seppellire nel cimitero; affetto per quell’uomo più vecchio di lei che le insegna a prendersi cura di sé stessa e per quella donna, la prima amica della sua vita alla quale ha offerto un letto per trascorrere la notte; cura nel far crescere le piantine dell’orto e nell’occuparsi delle tombe con i suoi morti, ognuno con la propria storia. È l’amore, la passione e la cura che impediscono all’uomo di morire davvero e di vivere per l’eternità.

Un libro appassionante, coinvolgente, divertente e intrigante, ricco di tutti i giusti ingredienti per un film di sicuro successo.

 

A.C.

Cambiare l’acqua ai fiori di Valerie Perrin (ed. e/o) 


12 dicembre 2021

IL BAMBINO DI NOE' di Emmanuel Schmitt e UNA BAMBINA E BASTA di Lia Levi

 

Due libri appena letti, che consiglio a tutti, grandi e piccini.

Due piccoli capolavori, due preziosi gioielli di cento pagine, che sanno ben descrivere la tragica esistenza dell’essere ebreo in un periodo in cui ciò significava l’inizio di un viaggio di sola andata.

Essere ebrei non è facile per due bambini che hanno sempre conosciuto una serena esistenza, il calore degli abbracci della madre, la protezione della famiglia e all’improvviso si ritrovano soli, ad affrontare un mondo complesso, diverso, sconosciuto, del quale ancora non comprendono regole e meccanismi.

Ambientato in Belgio il primo, a Roma il secondo, entrambi ci parlano della Shoah e dell’incubo della deportazione.

Ne Il bambino di Noè, il piccolo Joseph, viene lasciato dai genitori in un orfanotrofio dove padre Pons, come Noè, cerca in ogni modo di sottrarlo e salvarlo dalla deportazione nazista.

Ne Una bambina e basta, invece è la piccola Lia (anche se il suo nome non è mai pronunciato) a nascondersi in un convento cattolico, insieme alla sorella e poi alla madre, mentre il padre trova rifugio in un pensionato di soli uomini.

La bellezza di questi romanzi è tutta nel linguaggio spontaneo, semplice e sincero che entrambi i protagonisti adottano nel raccontarci la loro storia, una storia vista con gli occhi innocenti dei bambini, che cercano e vogliono soltanto la verità, anche se dolorosa, e non si arrendono alle cattiverie del mondo, lottando con coraggio e forza, guidati dal sano sentimento di amore e giustizia.

Libri commoventi, che attraverso le descrizioni, le osservazioni, gli stati d’animo, le domande che i fanciulli rivolgono agli adulti, ci fanno riflettere sulla follia di un periodo storico e politico, in cui il potere aveva oltrepassato ogni confine, raggiungendo vertici di bestialità e freddezza indefinibili.

Due libri che si leggono senza fermarsi, scorrevoli, piacevoli, semplici come l’ingenuità dei bambini appunto, ma forti e carichi di profonde verità e speranze, anche se alla fine rimane l’amaro in bocca, la rabbia di un passato che non si può cambiare o cancellare, ma che per fortuna si può raccontare, per mantenere viva la memoria, affinché certi errori non si ripetano mai più.

A.C. 

“Il bambino di Noè" di Emmanuel Schmitt (Rizzoli 2004) e “Una bambina e basta” di Lia Levi (edizioni e/o 1994)


14 novembre 2021

UNA TORTURA DELIZIOSA - Pagine sull’arte di scrivere” di Henry Miller

 

Non poteva mancare nel nostro blog un testo sulla scrittura, sul valore per chi la pratica, sul significato intrinseco della parola, sull’ impegno, ricerca e faticoso lavoro che si cela dietro l’arte dello scrivere, affidato non solo all’ispirazione del momento.

In questo libro che racchiude frammenti tratti dalle principali opere di  Henry Miller (Tropico del Cancro, Crocifissione rosa, Tropico del Capricorno, Primavera Nera, The Cosmological Eye, I libri della mia vita, Arte e oltraggio, ecc…) si svela la personalità dell’uomo e dello scrittore, unità unica e inscindibile costruita col tempo e l’esperienza, fonte primaria per la ricerca della verità.

Infinite sono le riflessioni sulla scrittura, e mi trovo in difficoltà a selezionare le più significative e rilevanti, a testimonianza delle sue capacità di artista della parola.

“La scrittura come la vita stessa, è un viaggio di scoperta. L’avventura è di tipo metafisico: è un modo di accostarsi indirettamente, o di acquisire una visione totale piuttosto che parziale dell’universo. Lo scrittore vive sospeso tra il mondo superiore e quello inferiore:imbocca una strada per poter alla fine diventare lui stesso quella strada.[...]. Sono un uomo che racconta la storia della sua vita, un’operazione che sembra diventare sempre più inesauribile man mano che vado avanti [...].Quasi fin dall’inizio sono stato profondamente consapevole che non esiste uno scopo. Non spero mai di abbracciare il tutto, ma semplicemente di dare in ogni singolo frammento, in ogni opera, la sensazione del tutto man mano che vado avanti, perché sto scavando sempre più in profondità nella vita, scavando sempre più in profondità nel passato e nel futuro. Con questo scavare senza fine si sviluppa una certezza che è più grande di qualsiasi fede o credo. Divento sempre più indifferente al mio fato, come scrittore, e sempre più certo del mio destino di uomo. [...]

Il destino dell’uomo è per Miller la ricerca del proprio destino:

“…il problema non è andare d’accordo con il proprio vicino o contribuire allo sviluppo del proprio paese, ma scoprire il proprio destino, vivere in armonia con il ritmo profondo del cosmo [...]. Il paradiso è ovunque , ed è lì che porta ogni strada, se si continua a percorrerla fino in fondo.    

La scrittura ha questa valenza intrinseca di rivelare l’uomo che è in noi, di renderci consapevoli della nostra identità, attraverso il percorso stesso, un percorso che sembra non avere mai fine.

E ancora ci parla dell’impronta autobiografica della sua scrittura:

“Ogni riga, ogni parola è profondamente collegata alla mia vita, sia sotto forma di azione, evento, dato, pensiero, emozione, desiderio, evasione, frustrazione, sogno, fantasia, capriccio, perfino i frammenti incompleti che fluttuano distrattamente nel cervello come i fili spezzati di una ragnatela”.

E della consapevolezza del suo unico talento:

“Mi sentivo spinto a scrivere perché sembrava l’unico sbocco possibile per me, l’unico compito adatto alle mie capacità”.

Ma anche la consapevolezza che nel perseguire questa strada si deve distruggere ogni certezza degli altri su noi stessi:

“Ho dovuto imparare a pensare, a sentire e vedere in modo completamente nuovo, in un modo incolto, in un modo tutto mio, che è la cosa più difficile del mondo. Ho dovuto tuffarmi nella corrente, sapendo che probabilmente sarei affondato [...] Nessuno può affogare nell’oceano della realtà se si abbandona volontariamente all’esperienza. Nella vita non si progredisce adattandosi, ma osando e obbedendo al cieco impulso”.

Può sembrare rischioso e azzardato un pensiero del genere, che poi ha portato Miller a osare con un linguaggio scandaloso spesso criticato e censurato, ma che trova conforto, spiegazione e riscatto in queste parole:

“Agli occhi di Dio tutto è divino. E quando dico tutto intendo tutto. Se si guardano le cose in questa luce, la parola trasmutazione diventa ancora più carica di significato: implica che il nostro benessere dipende dalla nostra comprensione spirituale, dall’uso che facciamo della visione divina che possediamo.”

Non sono certamente le parole oscene e il linguaggio accusato di pornografia a togliere valore e spiritualità all’opera di Miller.

Avrei ancora tanto da commentare in merito al libro che consiglio a tutti coloro che come me, hanno riservato alla scrittura un posto speciale nella propria vita. Non è questo lo spazio giusto per dilungarmi, perciò segnatevi il titolo e leggetelo, se sono riuscita a incuriosirvi.

Voglio terminare con una bellissima frase dell’autore, che riassume, il grande Uomo e Scrittore (per quanto lo conosca) che ho trovato in lui:

“ L’umanità si trova in queste perniciose condizioni perché tutti noi, i giusti come gli ignoranti e i malvagi, manchiamo di vera indulgenza, di vera compassione,  di una vera conoscenza e comprensione della natura umana. Per dirla nel modo più succinto e semplice possibile, questo è il mio atteggiamento fondamentale nei confronti della vita, in altre parole la mia preghiera: «Smettiamola di contrastarci a vicenda, smettiamola di giudicarci e condannarci, smettiamola di massacrarci»”. (da The Henry Miller Reader, 1959)

A.C.

"Una tortura deliziosa - Pagine sull’arte di scrivere” Ed. minimum fax


10 aprile 2021

NORVEGIAN WOOD - TOKYO BLUES di Haruki Murakami

 


Ho da poco terminato Norvegian Wood, la proposta mensile del gruppo di lettura, una scelta molto azzeccata e felice.

Si tratta di un romanzo giovanile che l’autore scrisse nel 1987  e che lui stesso definì un libro molto personale. Fu  scritto non in Giappone ma durante un viaggio, iniziato a Mikonos (la prima parte) per essere terminato alla periferia di Roma, con  un breve intervallo in Sicilia. Forse è anche per questo che non si respira propriamente l’atmosfera nipponica di altri suoi romanzi, calato perlopiù in un ambiente neutro, una sorta di non luogo (forse perché  non funzionale alla storia), anche se i personaggi si muovono nel rispetto dei modi e usanze del loro paese.

Molto diverso dai romanzi che caratterizzano la letteratura e lo stile di Murakami (mi vengono in mente 1Q84 o Kafka sulla spiaggia - le altre due opere che ho letto dell’autore - che vedono l’esistenza di due mondi paralleli dove sogno e realtà scorrono sullo stesso piano ma su binari paralleli e l’irreale appare perfettamente plausibile).

Norwegian Wood inizia con un flashback che il protagonista narra in prima persona, stimolato dalla canzone dei Beatles “Norwegian Wood”, che lo riporta ai tempi della sua adolescenza. È un romanzo che si attiene al reale, mi viene voglia di definirlo un romanzo di formazione, di educazione sentimentale e iniziazione sessuale, di crescita individuale di un ragazzo, un giovane studente universitario che lascia la famiglia per frequentare il collegio e farsi strada da solo nella vita. Si potrebbe fare un parallelismo con i giovani personaggi de Il giovane Holden di Singer, Chiedi alla polvere di Fante, L’amico ritrovato di Hulmann, insomma di tanta letteratura europea e americana. È un libro che consiglierei a ogni adolescente.

Si, perché Norwegian Wood  è un libro che parla soprattutto di adolescenza, una fase importante e difficile nella vita di ogni essere umano, momento fondamentale nel passaggio dall’infanzia all’età adulta, dalla dipendenza all’autonomia, dal seguire le regole dettate dagli adulti al trovarsi le proprie. Ed è proprio questo il percorso del protagonista, scoprire il mondo, trovarsi la propria strada nell’esperienza col mondo stesso, crescere e vivere, che non è cosa così facile e scontata. Qui gli adolescenti affrontano problemi più grandi di loro, difficoltà e ostacoli che li portano a crescere rapidamente come Midori che assiste suo padre in un letto di ospedale dopo aver perso la madre per la stessa patologia.

Watanabe Toru  è un ragazzo molto particolare, che si distingue dalla massa, estraneo e distaccato dalle ribellioni sociali e studentesche di un fervente 1968, sensibile, profondo, riflessivo, malinconico nell’approccio alla vita e alle persone. Altrettanto caratteristici sono i personaggi che ruotano attorno a lui: Kizuki, il suo più grande amico che morirà suicida a soli diciassette anni; Naoko la ragazza di entrambi, emotivamente debole; Midori la compagna di università dal carattere solare ed esplosivo; Nagasawa, l’amico anticonformista e determinato che condivide con Toru la passione per la letteratura americana ( in particolare il Grande Gatsby) e per le donne; Reiko, l’amica trentenne che vive nell’istituto di riabilitazione insieme a Naoko, uscita dal vortice della depressione e che adesso aiuta e sostiene i più deboli grazie anche all’aiuto terapeutico della musica, che insegna. Colorano la scena altri personaggi secondari come  Sturmtruppen compagno di stanza di Toru, con le sue manie di perfezione, pulizia e igiene, il dottore/paziente nella clinica di Naoko con le sue riflessioni bizzarre e astratte, il padre di Midori, confinato in un letto d’ospedale… (Vi lascio solo un’impronta dei personaggi per invogliarvi a questa interessante lettura).

Spunti di riflessioni e approfondimento non mancano, come quello salvifico dell’amore, ancora di salvezza che impedisce il naufragio del corpo e dell’anima. Ma anche l’amicizia ha il suo ruolo di aiuto, per il potere di creare unione, solidarietà, partecipazione contrapponendosi alla solitudine. Solitudine che, se sana e creativa genera la bellezza nell’ Arte, ma quando distruttiva porta all’ isolamento, alienazione, disperazione, responsabili di tanti suicidi.

È infatti il tema del suicidio il filo sottile che intreccia tutta la trama: il suicidio dell’amico lascerà in Toru un’indelebile eredità: «la  morte non è l’opposto della vita, ma una sua parte integrante…. Fino ad allora io avevo sempre considerato la morte come una realtà indipendente, completamente separata dalla vita. La vita di qua, la morte di là. Ma a partire dalla notte in cui morì Kizuki, non riuscii a vedere in modo così semplice la morte (e la vita). La morte non era più qualcosa di opposto alla vita. La morte era già compresa intrinsecamente nel mio essere… nel pieno della vita tutto ruotava attorno alla morte».

La malattia mentale, quel mondo in cui il confine tra follia e genio è sottile, quella dimensione in cui spesso si collocano i deboli, coloro che non hanno la forza di lottare e di trovare un proprio spazio o ruolo,  è un altro tema presente e costante che evidenzia il mal di vivere di questi giovani e non solo.

Tanti i riferimenti musicali, partendo dai Beatles la cui canzone dà il titolo al libro - ma anche sconosciuti ( almeno per me) come Tony Bennet, Bud Powell, Sarah Vaughan, Ornette Coleman… (sono solo alcuni)- spaziando dalla musica classica, alla musica occidentale degli anni settanta, musica jazz, blues, bebop, ecc… è stato stimolante ricercare e ascoltare i brani mentre anche gli stessi personaggi l’ascoltano. Anche questa è una magia della lettura.

Interessante il trio di figure femminili così diverse tra loro: Naoko lunare, malinconica, chiusa, introversa, meditativa, profonda, cerebrale, complessa; Midori, solare, espansiva, gioiosa, istintiva, diretta, attiva, energica, leggera ma non superficiale; Reiko che sembra racchiudere con l’esperienza passata, entrambe le caratteristiche delle due giovani, costruendo sé stessa grazie a un atteggiamento resiliente nei confronti della vita stessa (la figura femminile che più ho amato rappresentando colei che ha volto lo sguardo verso la luce anziché al buio e che nonostante la malattia mentale è riuscita a salvarsi: Reiko rappresentante la vittoria, la capacità di risalire la china ritrovando il suo posto nel mondo nonostante le avversità  e lo farà aiutando gli altri e  nello stesso tempo sé stessa).

Un libro che a questo punto è scontato dire «Leggetelo», stimolante, scorrevole, appassionante, drammatico e allegro, che mi ha riportato indietro nel tempo, all’epoca in cui tutto e niente sembrava possibile.

A.C.

Murakami Haruki “ Norwegian Wood- Tokyo Blues” Einaudi 2006


19 marzo 2021

AI TEMPI DEL BIONDO di Marco Mannucci

 

Un lungo viaggio nella memoria, il libro “Ai tempi del Biondo  di Marco Mannucci” scrittore, amico, nonché stimato medico internista che ho avuto il piacere di conoscere e apprezzare nella mia attività professionale.

Uno spaccato di vita che va dagli anni del dopoguerra (quando bastava poco per essere felici e i rapporti umani erano rafforzati dalla solidarietà, da sentimenti di sostegno e condivisione rinvigoriti dalla guerra appena trascorsa) fino al giorno d’oggi.

L’autore ripercorre gli anni della sua infanzia, adolescenza, maturità, vissuti nel rione del Lippi, una frazione di Firenze Nord - una sorta di isola nella città - sconosciuta a molti, perché non di passaggio ma nascosta, al confine con la ferrovia.

In queste pagine, dense di pathos, l’autore narra in maniera precisa, dettagliata, le storie di coloro che vi hanno abitato e tuttora abitano, le relazioni, i rapporti interpersonali e con la metropoli, descrivendo ogni personaggio uno a uno, nessuno escluso, con una capacità descrittiva rara, per la nitidezza, la caratterizzazione di ciascuno di essi.  

Marco ha una parola per tutti, non esistono scale sociali, ma un enorme spazio che comprende donne, uomini, bambini, anziani - protagonisti seduti sui gradini di una lunga scala, con i capelli mossi da un vento leggero e i volti illuminati dal sole della vita - ognuno nel proprio ruolo, con le proprie attitudini, capacità, abilità, fondamentali come tasselli di un puzzle, per creare un’opera importante e armonica.

Il calcio, la passione per la Fiorentina, permea ogni pagina del romanzo, arricchendolo di ricordi significativi nella storia della squadra, coi suoi campioni e goleador, vittorie e sconfitte, scudetti vinti e persi, il tutto riportato con scrupolo e minuzia.

L’amore per la città di Firenze, è un altro aspetto che risalta subito fin dalle prime pagine della narrazione, insieme ai valori sociali quali l’amicizia, l’amore, la famiglia, il lavoro, la fede

Il romanzo è un inno alla vita, alla gioia di vivere nonostante le avversità, problemi, ostacoli che l’esistenza stessa pone lungo il cammino, come può essere l’evento tragico della morte di un caro amico o una malattia incurabile. Solo prendendo la vita per il verso giusto e con il metro adatto, perché - siamo stati fortunati a provare quelle emozioni e a capire che la distanza tra sogno e realtà non è poi così grande - solo ringraziando ogni giorno ciò che ci viene dato con la consapevolezza che non è tutto così scontato e che il tempo è fugace - il pensiero scivola via sui tanti volti che se ne sono andatiLa vita corre veloce. Troppo veloce. Il tempo diluisce e addormenta gioie e dolori. …la mia mano stringe un bastone bianco, alzo lo sguardo verso il cielo e lo respiro profondamente. E mi scopro improvvisamente vecchio. Un giovane vecchio - potremmo vivere felici e senza rimpianti.

Interessante è la struttura del romanzo che non si muove in maniera cronologica classica, ma per argomenti, capitoli in sé compiuti, che trovano però un collocamento logico e opportuno, dando una continuità armonica e sensata alla storia, che scorre fluida e piacevole.

Una lettura che consiglio a tutti coloro che oltre a una buona storia cercano la verità dei sentimenti.                                        

A.C.

Marco Mannucci “Ai tempi del biondo” Edizioni Tassinari 2020


10 gennaio 2021

BESAME MUCHO, PICCOLINA di Paolo Dapporto

 

Besame mucho, piccolina di Paolo Dapporto

Non è il primo libro che leggo di Paolo Dapporto, scrittore e amico,  e come gli altri, Non esistono storie senza importanza e  A guardare il cielo, confermo ancora una volta la capacità narrativa di Paolo nel riuscire a trascinare il lettore nelle sue meravigliose storie.

I libri di  Paolo si leggono tutto d’un fiato, e una volta iniziati, non è possibile staccarsi dalle pagine senza averne vista la fine. Che poi non è tanto la trama il motore della lettura, ma la sua scrittura coinvolgente, nostalgica, capace di ripescare ricordi sepolti, avvolgente come una coperta d’inverno, scorrevole, precisa.

Antonio è un professore di lettere, sposato con Maria, conosciuta ai tempi dell’Università, padre di Marco e Andrea. È un uomo però insoddisfatto, alla ricerca continua di un ideale di amore, più che dell’amore stesso. Per questo rintraccia Flora, una sua ex di liceo, riallacciando il vecchio rapporto amoroso con l’illusione di trovare in lei ciò che gli manca.

La storia ambientata negli anni 80, si alterna ai ricordi del protagonista, che abbracciano il periodo della sua infanzia, adolescenza, maturità, anche attraverso lettere, articoli, temi che spezzano la narrazione, rendendola ancora più vivace. Tante le sottotrame che emergono dalla narrazione principale, stimolando la curiosità del lettore.

Per chi cerca una lettura scorrevole, ben scritta, piena di sentimento ed emozione, animata dal ricordo degli anni 60/80, Besame mucho, piccolina è il libro giusto.

A.C.

Besame mucho, piccolina” Dapporto P. (Ed. Il Castello, 2019)


01 gennaio 2021

ERA L' 11 SETTEMBRE di Mirko Tondi

 


Non fatevi scoraggiare dal tema principale, ovvero il lutto del protagonista, Nando Barrella, al quale muore il figlio in un incidente stradale. La tragedia individuale dell’uomo, coincide con quella collettiva dell’ 11 settembre 2001, data in cui l’umanità intera assiste a uno dei più incredibili attacchi terroristici della nostra storia, l’attentato alle Torri Gemelle.

Nando Barrella, uomo dilaniato da sensi di colpa, ormai ottantenne,  incarica uno scrittore, ghostwriter di professione, di scrivere la storia della propria vita, ripercorrendo in particolare i momenti vissuti col figlio, sentendosi indirettamente responsabile della sua morte.

La storia si alterna alle vicende dei due protagonisti, Nando coi suoi ricordi, rimorsi, sensi di colpa, nostalgie, rimpianti, e lo scrittore, giovane amareggiato e deluso dal sogno di divenire un “vero” scrittore, costretto invece a essere la voce fantasma degli altri. Attraverso l’incontro delle due esistenze tormentate, si assisterà alla rinascita personale di entrambi i protagonisti..

Un romanzo intenso, profondo. L’autore riesce sempre a far emergere, delineare, rappresentare i personaggi attraverso gli sguardi, i movimenti, i dialoghi, le  riflessioni, i pensieri, le loro manie, regalandoci una scrittura originale, curata e mai banale. I numerosi riferimenti letterari, musicali, artistici e cinematografici, rendono il libro interessante e stimolante per il lettore che non si accontenta della superficialità della narrazione, ma esige di più. L’introspezione psicologica dei personaggi si colloca in primo piano, invitandoci alla riflessione su quelle che sono anche le nostre incertezze, paure, debolezze…

La  scrittura è scorrevole e coinvolgente.

Un’opera che ogni lettore, almeno quello che non ricerca solo distrazione e divertimento nella lettura, dovrebbe leggere. E come dico sempre alla fine di una recensione sull’autore, Mirko  Tondi è sempre una garanzia.

A.C.

“Era l’11 settembre” di Mirko Tondi (Ed. Toutcourt, 2020)


06 novembre 2020

IL COLIBRI' di Sandro Veronesi




Non poteva mancare nel nostro Gruppo di lettura - Una sera…un libro - Il Colibrì di Sandro Veronesi, Premio Strega 2020.

Un romanzo che abbraccia in un arco temporale di settant’anni, la vita del protagonista Marco Carrera, uomo, medico oftalmologo, figlio, fratello, padre, marito, amico, amante… che la voce narrante onnisciente ci svela in modo non cronologico, con sbalzi temporali che anticipano i fatti senza togliere nulla alla tensione della storia. Le lettere di Marco con l’amante, il fratello, la nipote e gli sms con lo psicanalista della moglie, rendono la narrazione ancora più intima e vera, acutizzando la profondità del personaggio, tanto da sorprendermi quando ritrovo la voce narrante in terza persona, vivendola come l’ intruso che sembra volersi insinuare nella vicenda. Ma quella voce è importante, e solo alla fine si capisce il perché.

L’alternarsi del passato, presente e futuro, crea un’altalena temporale che richiede un’attenzione sempre costante  da parte del lettore nel seguire gli eventi nella loro complessità, ma che modula il ritmo della narrazione senza annoiare. In tutto il libro permane una tensione - che azzardo a  definire una sorta di cliffhanger, la tensione del finale sospeso - che ci spinge a correre e  continuare nella lettura con l’ansia e la bramosia di scoprire, di capire cosa, come e perché si sono verificati gli eventi descritti.

Fulcro della vicenda sono i sentimenti umani, le emozioni, i rapporti interpersonali, le relazioni, a cominciare da quelle più intime all’interno della famiglia, per rappresentare quel mondo di affetti, valore vero della vita di ciascun uomo, espressi nella gioia e nel dolore di un destino che si accanisce senza possibilità di fuga. Un destino che il protagonista sa accettare, nella sua apparente immobilità di colibrì, ma che si può anche manipolare, anticipare, attraverso la scelta delle azioni.

Scrittura fluida, piacevole, stuzzicante, arricchita da un linguaggio sempre azzeccato - ricercato ma anche macchiato di termini popolari - che coinvolge subito, “acchiappa”, capace di riprodurre ambientazioni, personaggi, situazioni, come se si stessimo vivendo in  un film (non mi meraviglierei di vedere a breve la storia nelle sale cinematografiche).

Gli ingredienti per un buon  romanzo ci sono tutti: amore, amicizia, ruoli sociali, malattia, dolore, perdita, lutto, rinascita, spiragli di luce in fondo al buio più assoluto…, la speranza di un futuro migliore.   

Il colibrì è uno dei quei libri che arrivi all’ultima pagina col dispiacere di averlo già finito. Ho sempre apprezzato l’autore, una simpatia nata già con Caos calmo (vincitore Premio Strega 2006)  e continuata in Terre rare: sarà perché l’autore è fiorentino - pratese per l’esattezza, e tanto nel libro si parla di Firenze, della costa toscana di Bolgheri - sarà perché il protagonista è un oftalmologo e lavora proprio nella clinica dove anch’io tutti i giorni svolgo la mia attività di infermiera (sorprendente coincidenza che contribuisce alla magia della lettura).

Per chi ha voglia di una storia attuale, commovente, profonda, tragica ma piena di positività e speranza allora Il colibrì è la giusta lettura.

A.C.

 Il colibrì  di Sandro Veronesi (La nave di Teseo 2019, Milano)