24 aprile 2022

LA PORTA di Magda Szabó

 


Romanzo autobiografico “La porta” di Magda Szabó, una scrittura, come dice l’autrice stessa, “non per Dio, che mi conosce fin nelle viscere, né per quelle ombre testimoni di ogni cosa che osservano le ore delle mie veglie e del mio sonno, bensì per gli esseri umani.”

Cos’è la porta, cosa rappresenta? Sicuramente il passaggio che stabilisce un fuori – la realtà di un paese e dei suoi abitanti – e un dentro – un mondo segreto, nascosto allo sguardo altrui, al quale nessuno ha mai avuto accesso. Ma anche una barriera, uno scudo di protezione e conservazione di un realtà intima e personale impossibile da condividere con chi non potrebbe capire, ma che potrebbe trasformarsi all’opposto in una trappola.

È proprio quel mondo nascosto, le incognite che si celano dietro, la sua magia e incanto a creare tutta la tensione del romanzo, mentre il personaggio di Emerenc non finisce mai di sorprenderci.

Magda, scrittrice ungherese affermata e apprezzata a livello nazionale, assume per aiuto domestico la vicina di casa, Emerenc Szeredas, donna assai enigmatica e di poche parole. Già al loro primo incontro si capisce che non si tratta di una persona comune, riservandosi il diritto di prendere referenze prima del contratto di lavoro e lo farà poi in un modo tutto suo: “Quella sera non prese servizio in casa nostra, per lei sarebbe stata una decisione indegna e indecorosa: Emerenc si arruolò.”

A quel punto la donna non si separerà più dalla famiglia, se non occasionalmente, entrando e uscendo alle ore più improbabili, decidendo lei cosa e come fare, quando e cosa cucinare, stabilendo lei stessa le leggi del suo operato. Emerenc è un’infaticabile lavoratrice (nonostante l’età avanzata, non sembra mai accusare stanchezza), è generosa (aiuta gli altri in difficoltà con i suoi piatti dell’amicizia), ama gli animali (Viola, il cane avrà un ruolo determinate nella storia), è lungimirante (sa vedere i segni premonitori della malattia o della morte, scrutando nell’animo delle persone per capire la loro volontà di vita), è una donna pratica e disprezza il lavoro mentale (“il mondo di Emerenc ammetteva solo due categorie di uomini: chi maneggia la scopa e chi non lo fa, e da chi non scopa ci si può aspettare di tutto, poco importano gli slogan e le bandiere che usa per celebrare le feste nazionali”), areligiosa (critica coloro che vanno in Chiesa per poi trattar male il prossimo), apolitica (odia il potere, “priva di coscienza patriottica, e di qualunque altra cosa, ma dietro una spessa coltre di nebbia c’era un’anima che brillava luminosa.”

Il romanzo è tutto incentrato sul rapporto che si instaura tra la scrittrice e la domestica, un rapporto assai complesso e contraddittorio, di amore e odio, attrazione e repulsione, intesa e incomprensione, indifferenza e interesse, ma sempre profondamente vissuto, meditato, sviscerato dall’autrice stessa che cerca in ogni modo di entrare in sintonia con lei e con la curiosità che la caratterizza, di scoprire anche i fantasmi nascosti dietro quella porta.

Tanti i momenti di complicità, in cui le due donne sembrano capirsi ed entrare in sintonia e sono proprio questi i momenti più intensi della narrativa, in cui tutta la scontrosità e la durezza di Emerenc si trasformano in una dolcezza e tenerezza incredibili.

“Emerenc era capace di suscitarmi sia i sentimenti più nobili sia quelli più meschini, il pensiero di amarla, talvolta, mi rendeva così furiosa che mi stupivo della mia stessa veemenza” dice la protagonista stessa. Mentre Emerenc la rimprovera: “Lei ha un carattere terribile, è come le rane che si gonfiano, si gonfiano e tutt’a un tratto scoppiano… lei non capirà mai le cose semplici, vuole sempre entrare da dietro anche se la porta è davanti”.

Riuscirà Magda a varcare quella soglia e aprire quella porta che nasconde il mondo segreto di Emerenc?  Quali fantasmi prenderanno vita, senso, forma e capacità? Ogni causa ha un effetto, e le cause che hanno creato un personaggio come Emerenc ci sono tutte, se non di più.

Romanzo straordinario di una scrittrice Magda Szabó che non conoscevo e ho avuto il piacere di leggere e apprezzare, una donna che è riuscita a rimanere nel suo Paese, a non fuggire al regime, mantenendo salde le proprie ideologie, che ha saputo tacere e al momento opportuno rivelarsi.

Il finale circolare chiude il percorso di una storia coinvolgente, densa di emozione, sentimento e amore, anche quando la realtà sembra spesso rivelare il contrario; ma è la magia della vita, del suo ordine e nel contempo paradosso.

E una volta terminato il libro, continua a risuonarmi un interrogativo: Siamo davvero sicuri di agire sempre per il bene dell’altro, perseguendo il parametro comune del bene, nella convinzione di fare la cosa giusta o forse può esistere anche un’altra verità?

A.C.

La porta di Magda Szabó (Einaudi 2005)

16 aprile 2022

DUE VITE di Emanuele Trevi



Vincitore del Premio Strega 2021, Due vite di Emanuele Trevi è una lettura assai articolata e complessa a parer mio, che presuppone un’ampia conoscenza del panorama letterario se si vuole apprezzare in pieno tutto il valore e la bellezza dell’opera. Nel mio caso è stata l’occasione per scoprire le mie mancanze, saggiare, approfondire argomenti sconosciuti, alcuni punti oscuri della letteratura, per documentarmi su gli  stessi personaggi, Rocco Carbone e Pia Pera che ho avuto il privilegio di conoscere proprio attraverso questa lettura. Un libro davvero stimolante, anche solo da questo punto di vista.

 Il romanzo narra la storia di tre amici, che condividono la grande passione per la scrittura: l’autore stesso, Rocco Carbone, calabrese, critico letterario, scrittore di narrativa, morto in un incidente stradale appena quarantaseienne, Pia Pera, lucchese, traduttrice di classici e contemporanei russi, scrittrice di romanzi, scomparsa precocemente per Sla.  

Un’appassionante, approfondito e amabile ritratto che l’autore fa degli amici, partendo dalle origini della loro amicizia fino alla loro prematura dipartita. Una narrazione svolta con riverenza, rispetto, autenticità, sincerità a tratti commovente, che rende omaggio alla grandezza, sensibilità e unicità di queste due figure.

Interessante l’alternanza nel ricordarli, all’inizio del libro insieme e poi distinti, in capitoli separati.

Toccante la riflessione sull’inevitabile dimenticanza del nostro destino: “Noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene. E quando anche l’ultima persona che ci ha conosciuto da vicino muore, ebbene, allora davvero noi ci dissolviamo, evaporiamo, e inizia la grande e interminabile festa del Nulla, dove gli aculei della mancanza non possono più pungere nessuno”.

Molto commovente nella parte finale in cui si annuncia, e viene poi descritta la dipartita di entrambi: Rocco morto in un assurdo incidente stradale, dove l’autore si interroga sul caso, sulla fatalità degli eventi; Pia nel vortice di una logorante e inesorabile malattia, la SLA, consolata dall’amore per il suo giardino, a contatto con la natura e le sue piante di cui si occupò fino alla fine dei suoi giorni con dedizione e passione.

Il sentimento dell’Amicizia si rivela in tutta la sua potenza, e va oltre l’essere un omaggio alle due persone che ci hanno lasciato troppo presto, nel rappresentarli in tutte le loro genialità, virtù, passioni ma anche nelle loro fragilità, difficoltà, debolezze.

E di fronte a tanta devozione e dedizione viene da chiederci: Cosa, o meglio, chi sono gli amici? Trevi ci risponde così:

 “I nostri amici rappresentano delle epoche della vita che attraversiamo come navigando in un arcipelago dove arriviamo a doppiare promontori che ci sembravano lontanissimi, rimanendo sempre più soli, non riuscendo a intuire nulla dello scoglio dove toccherà a noi, una buona volta, andare a sbattere”.

C’è pessimismo in una frase così, come in molte altre affermazioni del libro, che però vengono riscattate e vedono uno spiraglio di luce in citazioni come questa: “ È come se il velo dell’infelicità appena prima della fine, cadesse a terra mostrando nuda la più enigmatica, impalpabile, sfuggente delle divinità: la vita felice”.

E nel descriverci Pia, nel caratterizzarla usa una frase che mi ha particolarmente coinvolto, in cui si sottolinea tutta la sua solarità e disponibilità nei confronti degli amici: “A innumerevoli esseri umani è dato questo destino, di ottenere molta  più felicità dall’amicizia che dall’amore”

Un libro appassionante, che vale la pena leggere e approfondire. A me è servito… e sto già leggendo e apprezzando la favolosa scrittura di Pia Pera nel suo “Il giardino che vorrei” (Ponte alle Grazie 2015), perché leggere è anche questo, aprire porte mai dischiuse verso destinazioni lontane e inesplorate.

A.C.

Due Vite di Emanuele Trevi  (  Neri Pozza Editore 2021)

08 aprile 2022

IL GIARDINO DI EMMA di Paolo Dapporto

 

Mi succede sempre così al termine di un libro di Paolo Dapporto, devo scrivere subito qualche riflessione sulla lettura, forse per non staccarmene troppo in fretta, per rimanere ancora nell’atmosfera magica, leggera, positiva che caratterizza ogni suo libro.

Sono gli anni Sessanta, periodo di piena ripresa economica. Paolo e Guido, compagno di liceo, fuggono dall’afa fiorentina per trascorrere una vacanza di studio in preparazione della maturità, sulle montagne pistoiesi, a Frassignoni, paesino sperduto nei pressi di Pracchia. Lì i due giovani, conosceranno un gruppo di ragazze e ragazzi coetanei, con i quali trascorreranno giorni felici e indimenticabili alla scoperta del luogo, a stretto contatto con la bellezza, energia  e semplicità della natura circostante. Ma scopriranno anche l’amore, e Il giardino di Emma, sarà il luogo di incontro, il fulcro, il centro pulsante della vita del paese e delle loro nuove esperienze. Un’estate indimenticabile per tutti i ragazzi, che segnerà davvero il grande passo verso il loro percorso di maturità.

Interessante il finale aperto che lascia al lettore le infinite possibilità, la libertà di decidere come andrà avanti la storia tra Paolo e Tosca.

Un libro che parla di amicizia, del desiderio di conoscersi, stare insieme, parlare, scherzare, divertirsi; di amore quello che fa battere il cuore, che ti fa sentire leggero, vivo, invulnerabile; di speranza e fiducia in un futuro tutto da costruire, da vivere; di gioia, anche se non mancano momenti di dolore e di tristezza accettati e superati però come tappe inevitabili di vita.

Un libro in cui l’autobiografia si confonde con l’invenzione (è lo stesso Paolo a dircelo alla prima presentazione dell’opera), e ciò non può far altro che arricchire, colorare, valorizzare, rendere più intrigante e avventurosa la storia stessa.

Un libro piacevole, spassoso, divertente, scorrevole pieno di energia e di positività, una scrittura semplice ma precisa e competente, in cui si avverte tutto lo spirito leggero e bonario dell’autore stesso.

Un libro che si legge tutto d’un fiato, e non lo dico per retorica, ma i libri di Paolo Dapporto sono come alberi di ciliegie, una pagina tira l’altra e si arriva alla fine senza nemmeno accorgersene, soddisfatti senza aver fatto indigestione.

A.C.

Nel giardino di Emma” di Paolo Dapporto (Edizioni Il Castello 2022)


03 aprile 2022

EUTANASIA DI UN AMORE di Giorgio Saviane


Come ho scoperto lo scrittore e la sua narrativa, visto che non se ne parla molto, anzi è anche piuttosto difficile reperirne le opere?

Per caso, passeggiando sulle colline a pochi passi da casa mia, dove fiancheggiando una bella villa tra gli ulivi e i primi anemoni, un’amica mi rivelò che per una buona parte della sua vita in quella casa aveva vissuto Giorgio Saviane, l’autore di Eutanasia di un amore, libro che vinse il Premio Bancarella nel 1977. Ricordo bene il film di Enrico Maria Salerno, le cui prime scene furono girate proprio a Sesto Fiorentino. Avevo solo tredici anni, ma impossibile dimenticare l’evento: tutte le strade furono bloccate per un giorno, alla fermata del 28 c’era la bellissima Ornella Muti e Tony Musante, che invece conoscevo ben poco.

Ciò che mi ha incuriosito di Saviane andando a ricercare biografia e opere, è stato il velo di polvere intorno allo scrittore, poco ricordato nella letteratura del Novecento, nonostante la notorietà editoriale e lo spessore culturale e artistico. «Perché?» mi sono chiesta. Senza dubbio perché è stato un personaggio scomodo, una persona che diceva senza mezzi termini come la pensava, che non si adattava alle situazioni o alle opinioni altrui per un tornaconto personale, mettendo le proprie ideologie e convinzioni sopra ogni altro aspetto.

Giorgio Saviane, (1916-2000) veneto di nascita, trascorse buona parte della sua vita in Toscana, a Firenze svolgendo in contemporanea la sua attività di avvocato e scrittore. Idealista, anticonformista, amante della vita e delle belle donne, della campagna e del mare, tematiche che ritroviamo spesso nelle sue opere.

“Eutanasia di un amore” è un romanzo che parla d’amore, di una passione travolgente capace con la sua urgenza di annullare tutto il resto. Paolo, professore universitario già quarantenne ama Sena, una sua ex allieva, e ne è contraccambiato. Ma già dalla prima pagina, i due hanno un diverbio, la macchina si ferma al semaforo rosso e Sena apre la portiera per sfuggirgli e salire sull’autobus fermo al capolinea. Il motivo del litigio rimane per buona parte del libro oscuro a noi lettori e a Paolo stesso, che tenta in ogni modo di riconquistare la ragazza, con dignità e in modo consono a suoi principi ideologici e morali. La lettura prosegue carica di questa tensione: l’incognito della rottura, la causa della separazione.

Fatti, azioni si susseguono veloci anche se densi di riflessioni, pensieri, emozioni, sentimenti, sviscerati in ogni componente per essere descritti e approfonditi dall’autore in modo davvero efficace e notevole da un punto di vista stilistico. Si accavallano visioni, all’apparenza scollegate alla realtà che sottolineano però lo stato d’animo confuso, trepidante del protagonista stesso. Un grido d’amore disperato, quello di Paolo che ricerca Sena in ogni dove, la segue, la rincorre, cerca di combinare incontri casuali avvalendosi della complicità degli amici. Poi imprevedibile il ritorno, l’incontro “casuale” a Ponte Vecchio, lui invecchiato di anni come se la lontananza da lei gli avesse attirato ogni malattia (mal di schiena, emorroidi, prostata, emorragia a un occhio…). Si chiariscono, Sena svela il motivo che l’ha allontanata da lui, una cosa bruttissima di cui lui è il responsabile. Sarà disposto Paolo, a questo punto, a fare un passo indietro, a rivedere le sue posizioni ideologiche, politiche, anticonformiste, una delle quali motivo di rottura, pur di ritornare con lei? Ovviamente non ve lo svelerò, per non togliervi il gusto di quella tensione che l’autore sa creare così bene e mantenere in buona parte del libro.

C’è anche il tradimento, come parte integrante ed evolutiva del rapporto tra Paolo e Sena, ma soprattutto dell’amore, che ha necessità di sperimentare, oltrepassando i vincoli che Paolo stesso si è creato, catturato dalla bellezza di lei, ancorato al complesso edipico senza il superamento del quale non c’è evoluzione.

La storia con Silva, una ragazza conosciuta a Punta Ala, rappresenterà questa svolta, svincolandolo dall’amore, sinonimo di possesso, esclusività per trasformarlo in condivisione e piacere. Grazie a lei, Paolo riscoprirà un nuovo modo di amare, libero dalla schiavitù della passione, che non è tormentato vivere, ma partecipazione, scambio, donare per donarsi e ricevere.

E a proposito dell’amore legato al sesso trovo interessante questa osservazione: “Il sesso, vede, ha due valenze manifeste, oltre le mille sfumature: una di appetito (azzurro, dorato, sentimentale, lo chiami come vuole), l’altra di appagamento. Sono in fondo la stessa cosa, ci sono tuttavia questi due tempi, per dir così, che l’umanità ha avvertito. “. E conclude che si può viverlo anche solo in una di queste parti.

Davvero un libro profondo, dai dialoghi ben costruiti e riusciti che esprimono in pieno il carattere, le pulsioni, i sentimenti, le emozioni, i desideri più intimi dei personaggi. Un ottimo lavoro di introspezione prendendo a pretesto l’ amore.

Interessante anche il cambio di voce narrante all’interno di uno stesso capitolo: l’autore inizia la narrazione in prima persona, poi come se volesse entrare meglio dentro il personaggio, la cambia, adottando la prima persona, voce del protagonista stesso. Non ho gradito subito questa strategia, avvertendola come una stonatura (sono anche ritornata indietro nella lettura, ricercandone l’errore). Poi ho capito che lo schema si ripeteva, e come succede spesso, quando si prende confidenza, non mi è più dispiaciuta, anzi l’ho trovata calzante. Documentandomi, ho letto che era una sua peculiarità quella di usare contemporaneamente la terza e la prima persona.

Insomma, concludo, sottolineando il rammarico che uno scrittore così valido sia stato così poco valorizzato (pensate lo stesso libro di cui vi parlo, l’ho trovato su una bancarella dell’usato e non è più in catalogo). Questo ce la dice lunga sul mondo editoriale e non solo. Vi lascio nella speranza di avervi trasmesso un po’ di curiosità e interesse per un grande scrittore, ritenuto poco commerciabile, ma senza dubbio meritevole. 

A.C.

Eutanasia di un amore” di Giorgio Saviane (Rizzoli 1976)

20 febbraio 2022

APOCALISSI FIORENTINE di Carlo Menzinger di Preussenthal

 

Avevo letto La bambina dei Sogni dell’autore qualche tempo fa, ed ero rimasta affascinata dalla capacità immaginifica di Carlo, dalla sua propensione a creare mondi e realtà parallele, storie che prendono un percorso alternativo, diverso da quello che la Storia ci racconta. Ucronia, si definisce questo filone della narrativa, e devo ringraziare proprio l’autore se ne ho scoperta l’esistenza. All’ucronia si lega la fantascienza, la distopia, il romanzo storico… ma non parliamo del genere che così poco conosco, ma del libro.

Apocalissi fiorentine è una raccolta di ventiquattro racconti che si muovono tutti intorno alla città di Firenze. La città, di cui noi fiorentini andiamo così fieri, è in queste storie spesso maltrattata, derisa, soggiogata, messa alla gogna, e nei casi più estremi isolata, distrutta, bombardata, cancellata. Credo però che Firenze sia solo il modello esemplare, il pretesto dell’autore, per parlarci della realtà attuale, del Mondo e dei suoi problemi sociali, strutturali, politici, religiosi, etici, spirituali… e lo fa a volte in maniera spietata, che è forse il modo più consono per fare arrivare il messaggio che vuol lanciare: riflettiamo, non corriamo troppo, non pensiamo solo al tornaconto personale ed economico, rispettiamo la Natura, le sue leggi e i suoi tempi, rispettiamo l’Uomo con le sue peculiarità, talenti ma anche limiti, assecondiamo il progresso e la tecnologia ma non ci lasciamo sopraffare dalla stessa, rispettiamo e conserviamo la Cultura legata alla Storia, espressione della nostra civilizzazione ed evoluzione, coltiviamo la Memoria per continuare a imparare e a non ripetere gli stessi errori…

Sono storie surreali, forti, crudeli, amare, che incutono spesso paura e tensione. La scrittura è scorrevole, la narrativa a tratti divertente seppure tragica, grazie al tono a volte spassoso e alle idee originali, inconsuete dell’autore che sa muoversi nella Storia con conoscenza e competenza.

Segnalo alcuni racconti, quelli che più mi hanno smosso, per introdurvi nel mondo di Carlo, il resto lo scoprirete da voi, leggendo il libro.

Suggestivo Il mio nome è Apocalisse, in cui la Morte può stravolgere ogni cosa, ogni certezza umana e anche divina.

Il ritorno degli inglesi riporta in vita alcuni illustri personaggi sepolti nel cimitero degli Inglesi che si ritrovano catapultati nel nostro secolo con tutte le problematiche inerenti.

Un interessante racconto dal punto di vista stilistico è E-MANU€L (e già dal titolo possiamo immaginare qualcosa di non comune e ordinario), che mette in evidenza il problema dell’alienazione, della solitudine, della chiusura in cui a volte ci può incanalare il progresso tecnologico quando non è accompagnato dal sentimento umano. Una storia forte, crudele, violenta, cinica ma che non si discosta (purtroppo) dalla realtà.

Anche in Devo salvare il mondo, brevissimo e divertente racconto, si ritrovano gli stessi temi - solitudine, abbandono, emarginazione, autodistruzione - investendoci di tanta amarezza e tristezza.

Ne I costruttori è interessante assistere a come il mondo vegetale prenda velocemente il sopravvento conquistando la città prima e il mondo intero poi, ma non solo. Cosa può l’Uomo di fronte a tale potenza della Natura?

In Firenze in moto, la città subisce una rotazione su se stessa di 180 gradi, perdendo ogni punto di riferimento geografico, con la conseguente interruzione delle comunicazioni stradali, fluviali, telematiche ed energetiche, trasformandosi in un’isola senza più collegamenti esterni, verso un destino facilmente intuibile e irreversibile.

Un altro racconto che ci fa meditare sulla nostra entità di esseri umani è il Campione, in cui gli extraterrestri prelevano la popolazione di Firenze come campione, per studiare e capire la razza umana.

Ne Il tempo perduto invece l’autore fa un esperimento stilistico (che non avevo subito capito, interpretandolo come un refuso di ripetizione) in cui il tempo viaggia a ritroso, regalandoci una narrazione suggestiva e originale.

In Collasso Domotico si vive il paradosso della tecnologia, che dovrebbe essere sinonimo di progresso e sviluppo, mentre invece ci conduce alla regressione, all’incapacità collettiva di svolgere anche le più banali azioni, come quella di scendere una rampa di scale.

Insomma, non vi resta altro che leggere il libro e scoprire anche le altre storie.

A.C.

Apocalissi fiorentine di Carlo Menzinger di Preussenthal (tabula Fati 2019)

23 gennaio 2022

ALL'OMBRA DI MONTE MORELLO di Andrea Carraresi

 

In seguito a un’escursione su Monte Morello, ho pensato al libro di Andrea Carraresi impilato nella torre dei libri in attesa. Non ho esitato a estrarlo una volta rientrata a casa e cominciarne la lettura; era arrivato il suo momento, e non mi sono interrotta fino all’ultima pagina.

All’ombra di Monte Morello è un vero e proprio omaggio che l’autore fa al proprio paese natio, Sesto Fiorentino, una repubblica a sè, identificabile con la sigla RSM, in cui “R” vuol significare Richard Ginori, la fabbrica di porcellane che ha reso Sesto famosa nel mondo, “S” soprannome e “M” miseria.

Il libro narra la storia di una profonda amicizia tra Valerio e Vasco, due ragazzi del Canto (la zona sotto il treno come la definiscono i sestesi) che, nonostante i diversi percorsi che il destino riserva loro, rimarranno inseparabili e uniti nel vincolo della loro terra d’origine. In questa opera si vive tutta l’energia e l’esuberanza della gioventù, la scoperta dei sensi, dell’amore, sentimento che fa tremare il cuore, l’anima e fortifica a differenza della passione che con tutta la sua potenza stende anche l’uomo più robusto e vigoroso. C’è la storia di un’epoca, quella del dopoguerra nella quale le speranze e il desiderio di affermarsi, di ripartire e costruire un futuro migliore erano tante e possibili; di una generazione, povera e semplice ma determinata a raggiungere gli obbiettivi con dignità, onestà e umiltà per portare in alto il nome del padre e della famiglia; del riscatto con la realizzazione dei propri sogni e ideali, grazie al sacrificio, alla passione, all’impegno fermo e costante conseguito nel rispetto degli altri e del sistema.

Non opera autobiografica, ma certamente di memoria, in quanto ripercorre la storia dei nostri padri, che hanno lottato con coraggio, in nome della libertà e degli ideali partigiani; è un libro completo che ha il sapore di un romanzo con tutti gli ingredienti necessari per renderlo appetitoso e stimolante non mancando le competizioni, le rivalità, le gelosie. Ricco di riferimenti storici, folkloristici, legati alla tradizione di un paese di case fatiscenti prive di ogni comodità, e di un’ alimentazione fatta di frattaglie – le budella di maiale costituiscono il piatto tipico - e verdure scondite …

È una lettura a tratti davvero commovente, dove i veri sentimenti, i principi morali e gli ideali tessono la trama resistente che nessun potere potrà mai lacerare: l’amicizia, l’amore, la complicità, il senso di appartenenza, la fiducia, il rispetto, la solidarietà, la bontà, l’altruismo, la stima… Devo ammettere che ho provato nostalgia di quel tempo non troppo lontano dove ciò era spontaneo e naturale.

Devo ringraziare Andrea per aver regalato a Sesto e a noi lettori una storia così preziosa, grazie alla sua scrittura sempre precisa, perfetta e corretta nella forma, e al suo stile pulito e limpido, ricco di descrizioni dettagliate e piene di poesia. E soprattutto per le sue riflessioni profonde e calzanti di attento osservatore capace di dissotterrare nell’animo dell’uomo i buoni sentimenti, quelli che ci caratterizzano come esseri umani. Ne cito solo una a proposito del silenzio, per sottolineare la sua sensibilità e competenza: È nel silenzio, nel magnifico, terribile silenzio, nella sua forza arcana, che possiamo incidere con precisione la musica della nostra vita, il suono duro del rimpianto, la melliflua armonia di qualche felice ricordo, con gli strumenti di quell’orchestra costituita dagli elementi che meglio conosciamo: i misteri del mare e del cielo, la bellezza di un tramonto, l’amore di una madre o di una donna, tutto ciò che noi chiamiamo “la vita”.

Non aggiungo altro e suggerisco a tutti voi, sestesi e non, di leggerlo e gustarvelo. Non ve ne pentirete.

 A.C.

All’ombra di Monte Morello” di Andrea Carraresi ( Florence Art Edizioni 2011)


10 gennaio 2022

IL GIORNO DELLA CIVETTA di Leonardo Sciascia

 

Il giorno della civetta fu pubblicato nel 1960, quando la parola mafia non si poteva neppure pronunciare, figuriamoci scriverne.

Sciascia esula da ciò, portandola alla luce del giorno, avvalendosi in parte della sua licenza di scrittore, senza tuttavia esprimere giudizio o sentenza.

La trama è piuttosto semplice: Bellodi uomo del Nord, proveniente da Parma, capitano dei Carabinieri di S. un paesino siciliano, conduce l’indagine sull’omicidio di Salvatore Colasberna, impresario di una cooperativa edile ucciso in piazza mentre sale sull’autobus sotto lo sguardo di molti suoi paesani. Come tessere di un domino, si aggiungono altri due omicidi, quello di Paolo Nicolosi agricoltore sparito all’improvviso mentre si recava al lavoro e di Parrineddu, uomo appartenente a una cosca mafiosa avversaria e disponibile a collaborare con la Giustizia.

 Bellodi riuscirà a estorcere due nomi, Pizzucco e  Mariano Arena, boss mafiosi probabili autori dei delitti. Ma nonostante le evidenze non sarà facile incastrarli, ostacolato dall’omertà del popolo, che con ostinazione si chiude nel silenzio incrementando e sostenendo il potere della mafia stessa; ma anche dalla politica, dalle istituzioni che preferiscono tacere, far finta di non vedere, sottovalutare e minimizzare, pur di non mettersi in gioco e sicuramente subirne le conseguenze.

Rivelatrici le parole di Don Mariano Arena in merito: “L’umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi,(con rispetto parlando) i pigianculo e in quaquaraquà… pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi che mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini…E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi. Che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancor più giù: i piglianculo, che van diventando un esercito… e infine i quaquaraquà: che dovrebbero viver come anatre nelle pozzanghere, che la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre…”

Com’è che questo boss mafioso parla come un filosofo, conoscitore del mondo e delle sue leggi? Cos’ è la mafia? Esiste davvero? O è solo una costruzione, un concetto astratto che prende forma e nome solo fuori dalla Sicilia e ha identità e significato soltanto per chi non è siciliano?

“Noi due, siciliani, alla mafia non ci crediamo: questo a voi che a quanto pare ci credete, dovrebbe dire qualcosa. Ma vi capisco: non siete siciliano, e i pregiudizi sono duri a morire. Col tempo vi convincerete che è tutta una montatura.”

Così è la mafia, una nuvola di fumo che come nebbia nasconde la realtà, evanescente, non concreta, difficile da toccare, impossibile da far emergere, svelare, anche con tutta la buona volontà di uomini come Bellodi che si ostinano a ricercare la verità.

Oppure è “una voce anche la mafia: che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa … Voce, voce che vaga: e rintrona le teste deboli…

Nonostante il capitano sappia muoversi con intelligenza e scaltrezza, da vero Uomo ( come lo definisce Don Mariano), non avrà sostegno sufficiente da parte delle Autorità per portare avanti l’indagine e incastrare i colpevoli che sanno destreggiarsi con astuzia e potere. E anche se nel finale il caso si rivela una bolla di sapone, rimane la frase del vero Uomo, a mantenere accesa la fiammella della speranza “Mi ci romperò la testa”, a testimonianza della sua decisione di tornare in Sicilia.

Un romanzo davvero coraggioso, in cui lo scrittore nonostante le opportune “cavature”, ha mantenuto forte e presente il tema della mafia, anche se, come dice nella nota finale, non l’ho scritto con la piena libertà di cui uno scrittore   dovrebbe sempre godere .

Il libro lo si può considerare un giallo a tutti gli effetti: c’è l’omicidio, la vittima, l’assassino, l’indagine. In realtà è qualcosa di più perché Sciascia va oltre, creando un’opera narrativa che indirizza il principale obiettivo verso la denuncia di una vera e propria ferita sociale, un’organizzazione criminale capace di stravolgere il sistema politico, la democrazia, i parametri universali del bene e del male, del giusto e ingiusto, del vero e falso... con una propria architettura dignitosa e plausibile.

Mi sono chiesta, una volta terminata la lettura, il perché di tale titolo, non ritrovando nel testo riferimenti espliciti alla civetta. Sono giunta a una mia conclusione: la civetta è un animale notturno, misterioso e affascinante; è l’esca per attirare nuovi uccelli, catturare prede. Proprio come la mafia.

La ricerca su internet ha completato la spiegazione. Ciò che Sciascia stesso riferì in merito al titolo, ispirandosi a un passo di Enrico VI di Shakespeare dove si menziona una civetta di giorno,  fu che la mafia è come una civetta, animale rapace, capace di agire non solo di notte ma alla luce del giorno, forte del proprio potere, forza e seduzione.

Un libro audace che ha segnato senz’altro un passo decisivo nella Storia della narrativa e non solo, rompendo schemi e preconcetti, denunciando lo sconveniente, ciò che si sa ma non si dice, ciò che si vede ma è meglio non guardare.

A.C.

"Il giorno della civetta" di Leonardo Sciascia (ed. Adelphi 1993)


28 dicembre 2021

CAMBIARE L'ACQUA AI FIORI di Valerie Perrin

 



Seconda opera di Valerie Perrin, che ha pubblicato proprio quest’ anno il terzo romanzo intitolato appunto “Tre”.

Questo libro è davvero delizioso. Non ci si può non affezionare a Violette, donna all’apparenza grigia e spenta, ma che nasconde sotto il cappotto scuro che indossa, i colori dell’estate. Porto l’estate sotto l’inverno dice di sé stessa. Ricorda molto la portinaia dell’Eleganza del riccio di Muriel Barbery, che sotto l’apparenza scialba della donna comune, cela cultura, conoscenza e saggezza.

Violette è una guardiana di un cimitero in un paesino della Borgogna. Orfana, non ha mai conosciuto l’affetto sincero di una madre e di un padre, ma solo quello senza calore,  di famiglie affidatarie. Si innamora di Philippe, uomo bello più che amorevole, che diverrà suo marito e padre della figlia Leonine.

La storia è un susseguirsi continuo di fatti,  accadimenti che si affiancano alla vicenda principale creando storie parallele complesse e dettagliate che incalzano e impediscono al lettore di distrarsi; salti temporali, flashback che l’autrice sa abilmente destreggiare, ora nel rievocare un periodo antecedente, ora balzando nel futuro per far ritorno con maestria nel presente. Anche i luoghi cambiano in continuazione, ma è impossibile perdersi, grazie alle capacità tecniche, descrittive, precise e comprensibili della scrittrice che sa muoversi nel tempo e  nello spazio con abilità e chiarezza. Non mancano colpi di scena, personaggi capaci di cambiare il corso degli eventi, dando il via a una cascata di nuove e imprevedibili situazioni. Forse tante sottotrame poteva anche risparmiarsele –  la storia di Irene Fayolle e di Gabriel, le vite parallele di personaggi come G.Magnan, Fontanel ecc..,  i rapporti con la famiglia Pelletier… - a parer mio le figure di Violette, Philippe, Leonine, Sasha, Celia, Julien sarebbero bastate a creare quella magia che pervade in tutto il libro e che lo rendono un piccolo capolavoro.  

Potrebbe sembrare di primo acchito, un romanzo triste in quanto è la Morte a  dominare la scena, in realtà c’è molta più Vita di quanto si creda, come se fosse proprio la morte a stimolare la vita, ad accenderla.

 

Amore, passione, amicizia, solidarietà attraversano il romanzo, insieme al dolore, alla sofferenza, alla solitudine, al ricordo, alla perdita

Una storia che parla di rinascita, un inno alla vita in ogni sua forma, soprattutto in quella della semplicità. Cadere e sapere rialzarsi, saper riconoscere le proprie debolezze, assecondarle e una volta maturate, riuscire a trascenderle, tornare a cambiare l’acqua ai fiori, ritrovare la luce nel buio della disperazione perché il buio non è mai totale, alla fine del cammino c’è sempre una finestra aperta, andare avanti grazie all’amore, all’affetto e alla cura: amore per il giovane che Violette scopre al di là del bancone del bar, ma anche per quel poliziotto che porta le ceneri della madre da seppellire nel cimitero; affetto per quell’uomo più vecchio di lei che le insegna a prendersi cura di sé stessa e per quella donna, la prima amica della sua vita alla quale ha offerto un letto per trascorrere la notte; cura nel far crescere le piantine dell’orto e nell’occuparsi delle tombe con i suoi morti, ognuno con la propria storia. È l’amore, la passione e la cura che impediscono all’uomo di morire davvero e di vivere per l’eternità.

Un libro appassionante, coinvolgente, divertente e intrigante, ricco di tutti i giusti ingredienti per un film di sicuro successo.

 

A.C.

Cambiare l’acqua ai fiori di Valerie Perrin (ed. e/o) 


12 dicembre 2021

IL BAMBINO DI NOE' di Emmanuel Schmitt e UNA BAMBINA E BASTA di Lia Levi

 

Due libri appena letti, che consiglio a tutti, grandi e piccini.

Due piccoli capolavori, due preziosi gioielli di cento pagine, che sanno ben descrivere la tragica esistenza dell’essere ebreo in un periodo in cui ciò significava l’inizio di un viaggio di sola andata.

Essere ebrei non è facile per due bambini che hanno sempre conosciuto una serena esistenza, il calore degli abbracci della madre, la protezione della famiglia e all’improvviso si ritrovano soli, ad affrontare un mondo complesso, diverso, sconosciuto, del quale ancora non comprendono regole e meccanismi.

Ambientato in Belgio il primo, a Roma il secondo, entrambi ci parlano della Shoah e dell’incubo della deportazione.

Ne Il bambino di Noè, il piccolo Joseph, viene lasciato dai genitori in un orfanotrofio dove padre Pons, come Noè, cerca in ogni modo di sottrarlo e salvarlo dalla deportazione nazista.

Ne Una bambina e basta, invece è la piccola Lia (anche se il suo nome non è mai pronunciato) a nascondersi in un convento cattolico, insieme alla sorella e poi alla madre, mentre il padre trova rifugio in un pensionato di soli uomini.

La bellezza di questi romanzi è tutta nel linguaggio spontaneo, semplice e sincero che entrambi i protagonisti adottano nel raccontarci la loro storia, una storia vista con gli occhi innocenti dei bambini, che cercano e vogliono soltanto la verità, anche se dolorosa, e non si arrendono alle cattiverie del mondo, lottando con coraggio e forza, guidati dal sano sentimento di amore e giustizia.

Libri commoventi, che attraverso le descrizioni, le osservazioni, gli stati d’animo, le domande che i fanciulli rivolgono agli adulti, ci fanno riflettere sulla follia di un periodo storico e politico, in cui il potere aveva oltrepassato ogni confine, raggiungendo vertici di bestialità e freddezza indefinibili.

Due libri che si leggono senza fermarsi, scorrevoli, piacevoli, semplici come l’ingenuità dei bambini appunto, ma forti e carichi di profonde verità e speranze, anche se alla fine rimane l’amaro in bocca, la rabbia di un passato che non si può cambiare o cancellare, ma che per fortuna si può raccontare, per mantenere viva la memoria, affinché certi errori non si ripetano mai più.

A.C. 

“Il bambino di Noè" di Emmanuel Schmitt (Rizzoli 2004) e “Una bambina e basta” di Lia Levi (edizioni e/o 1994)


14 novembre 2021

UNA TORTURA DELIZIOSA - Pagine sull’arte di scrivere” di Henry Miller

 

Non poteva mancare nel nostro blog un testo sulla scrittura, sul valore per chi la pratica, sul significato intrinseco della parola, sull’ impegno, ricerca e faticoso lavoro che si cela dietro l’arte dello scrivere, affidato non solo all’ispirazione del momento.

In questo libro che racchiude frammenti tratti dalle principali opere di  Henry Miller (Tropico del Cancro, Crocifissione rosa, Tropico del Capricorno, Primavera Nera, The Cosmological Eye, I libri della mia vita, Arte e oltraggio, ecc…) si svela la personalità dell’uomo e dello scrittore, unità unica e inscindibile costruita col tempo e l’esperienza, fonte primaria per la ricerca della verità.

Infinite sono le riflessioni sulla scrittura, e mi trovo in difficoltà a selezionare le più significative e rilevanti, a testimonianza delle sue capacità di artista della parola.

“La scrittura come la vita stessa, è un viaggio di scoperta. L’avventura è di tipo metafisico: è un modo di accostarsi indirettamente, o di acquisire una visione totale piuttosto che parziale dell’universo. Lo scrittore vive sospeso tra il mondo superiore e quello inferiore:imbocca una strada per poter alla fine diventare lui stesso quella strada.[...]. Sono un uomo che racconta la storia della sua vita, un’operazione che sembra diventare sempre più inesauribile man mano che vado avanti [...].Quasi fin dall’inizio sono stato profondamente consapevole che non esiste uno scopo. Non spero mai di abbracciare il tutto, ma semplicemente di dare in ogni singolo frammento, in ogni opera, la sensazione del tutto man mano che vado avanti, perché sto scavando sempre più in profondità nella vita, scavando sempre più in profondità nel passato e nel futuro. Con questo scavare senza fine si sviluppa una certezza che è più grande di qualsiasi fede o credo. Divento sempre più indifferente al mio fato, come scrittore, e sempre più certo del mio destino di uomo. [...]

Il destino dell’uomo è per Miller la ricerca del proprio destino:

“…il problema non è andare d’accordo con il proprio vicino o contribuire allo sviluppo del proprio paese, ma scoprire il proprio destino, vivere in armonia con il ritmo profondo del cosmo [...]. Il paradiso è ovunque , ed è lì che porta ogni strada, se si continua a percorrerla fino in fondo.    

La scrittura ha questa valenza intrinseca di rivelare l’uomo che è in noi, di renderci consapevoli della nostra identità, attraverso il percorso stesso, un percorso che sembra non avere mai fine.

E ancora ci parla dell’impronta autobiografica della sua scrittura:

“Ogni riga, ogni parola è profondamente collegata alla mia vita, sia sotto forma di azione, evento, dato, pensiero, emozione, desiderio, evasione, frustrazione, sogno, fantasia, capriccio, perfino i frammenti incompleti che fluttuano distrattamente nel cervello come i fili spezzati di una ragnatela”.

E della consapevolezza del suo unico talento:

“Mi sentivo spinto a scrivere perché sembrava l’unico sbocco possibile per me, l’unico compito adatto alle mie capacità”.

Ma anche la consapevolezza che nel perseguire questa strada si deve distruggere ogni certezza degli altri su noi stessi:

“Ho dovuto imparare a pensare, a sentire e vedere in modo completamente nuovo, in un modo incolto, in un modo tutto mio, che è la cosa più difficile del mondo. Ho dovuto tuffarmi nella corrente, sapendo che probabilmente sarei affondato [...] Nessuno può affogare nell’oceano della realtà se si abbandona volontariamente all’esperienza. Nella vita non si progredisce adattandosi, ma osando e obbedendo al cieco impulso”.

Può sembrare rischioso e azzardato un pensiero del genere, che poi ha portato Miller a osare con un linguaggio scandaloso spesso criticato e censurato, ma che trova conforto, spiegazione e riscatto in queste parole:

“Agli occhi di Dio tutto è divino. E quando dico tutto intendo tutto. Se si guardano le cose in questa luce, la parola trasmutazione diventa ancora più carica di significato: implica che il nostro benessere dipende dalla nostra comprensione spirituale, dall’uso che facciamo della visione divina che possediamo.”

Non sono certamente le parole oscene e il linguaggio accusato di pornografia a togliere valore e spiritualità all’opera di Miller.

Avrei ancora tanto da commentare in merito al libro che consiglio a tutti coloro che come me, hanno riservato alla scrittura un posto speciale nella propria vita. Non è questo lo spazio giusto per dilungarmi, perciò segnatevi il titolo e leggetelo, se sono riuscita a incuriosirvi.

Voglio terminare con una bellissima frase dell’autore, che riassume, il grande Uomo e Scrittore (per quanto lo conosca) che ho trovato in lui:

“ L’umanità si trova in queste perniciose condizioni perché tutti noi, i giusti come gli ignoranti e i malvagi, manchiamo di vera indulgenza, di vera compassione,  di una vera conoscenza e comprensione della natura umana. Per dirla nel modo più succinto e semplice possibile, questo è il mio atteggiamento fondamentale nei confronti della vita, in altre parole la mia preghiera: «Smettiamola di contrastarci a vicenda, smettiamola di giudicarci e condannarci, smettiamola di massacrarci»”. (da The Henry Miller Reader, 1959)

A.C.

"Una tortura deliziosa - Pagine sull’arte di scrivere” Ed. minimum fax


10 aprile 2021

NORVEGIAN WOOD - TOKYO BLUES di Haruki Murakami

 


Ho da poco terminato Norvegian Wood, la proposta mensile del gruppo di lettura, una scelta molto azzeccata e felice.

Si tratta di un romanzo giovanile che l’autore scrisse nel 1987  e che lui stesso definì un libro molto personale. Fu  scritto non in Giappone ma durante un viaggio, iniziato a Mikonos (la prima parte) per essere terminato alla periferia di Roma, con  un breve intervallo in Sicilia. Forse è anche per questo che non si respira propriamente l’atmosfera nipponica di altri suoi romanzi, calato perlopiù in un ambiente neutro, una sorta di non luogo (forse perché  non funzionale alla storia), anche se i personaggi si muovono nel rispetto dei modi e usanze del loro paese.

Molto diverso dai romanzi che caratterizzano la letteratura e lo stile di Murakami (mi vengono in mente 1Q84 o Kafka sulla spiaggia - le altre due opere che ho letto dell’autore - che vedono l’esistenza di due mondi paralleli dove sogno e realtà scorrono sullo stesso piano ma su binari paralleli e l’irreale appare perfettamente plausibile).

Norwegian Wood inizia con un flashback che il protagonista narra in prima persona, stimolato dalla canzone dei Beatles “Norwegian Wood”, che lo riporta ai tempi della sua adolescenza. È un romanzo che si attiene al reale, mi viene voglia di definirlo un romanzo di formazione, di educazione sentimentale e iniziazione sessuale, di crescita individuale di un ragazzo, un giovane studente universitario che lascia la famiglia per frequentare il collegio e farsi strada da solo nella vita. Si potrebbe fare un parallelismo con i giovani personaggi de Il giovane Holden di Singer, Chiedi alla polvere di Fante, L’amico ritrovato di Hulmann, insomma di tanta letteratura europea e americana. È un libro che consiglierei a ogni adolescente.

Si, perché Norwegian Wood  è un libro che parla soprattutto di adolescenza, una fase importante e difficile nella vita di ogni essere umano, momento fondamentale nel passaggio dall’infanzia all’età adulta, dalla dipendenza all’autonomia, dal seguire le regole dettate dagli adulti al trovarsi le proprie. Ed è proprio questo il percorso del protagonista, scoprire il mondo, trovarsi la propria strada nell’esperienza col mondo stesso, crescere e vivere, che non è cosa così facile e scontata. Qui gli adolescenti affrontano problemi più grandi di loro, difficoltà e ostacoli che li portano a crescere rapidamente come Midori che assiste suo padre in un letto di ospedale dopo aver perso la madre per la stessa patologia.

Watanabe Toru  è un ragazzo molto particolare, che si distingue dalla massa, estraneo e distaccato dalle ribellioni sociali e studentesche di un fervente 1968, sensibile, profondo, riflessivo, malinconico nell’approccio alla vita e alle persone. Altrettanto caratteristici sono i personaggi che ruotano attorno a lui: Kizuki, il suo più grande amico che morirà suicida a soli diciassette anni; Naoko la ragazza di entrambi, emotivamente debole; Midori la compagna di università dal carattere solare ed esplosivo; Nagasawa, l’amico anticonformista e determinato che condivide con Toru la passione per la letteratura americana ( in particolare il Grande Gatsby) e per le donne; Reiko, l’amica trentenne che vive nell’istituto di riabilitazione insieme a Naoko, uscita dal vortice della depressione e che adesso aiuta e sostiene i più deboli grazie anche all’aiuto terapeutico della musica, che insegna. Colorano la scena altri personaggi secondari come  Sturmtruppen compagno di stanza di Toru, con le sue manie di perfezione, pulizia e igiene, il dottore/paziente nella clinica di Naoko con le sue riflessioni bizzarre e astratte, il padre di Midori, confinato in un letto d’ospedale… (Vi lascio solo un’impronta dei personaggi per invogliarvi a questa interessante lettura).

Spunti di riflessioni e approfondimento non mancano, come quello salvifico dell’amore, ancora di salvezza che impedisce il naufragio del corpo e dell’anima. Ma anche l’amicizia ha il suo ruolo di aiuto, per il potere di creare unione, solidarietà, partecipazione contrapponendosi alla solitudine. Solitudine che, se sana e creativa genera la bellezza nell’ Arte, ma quando distruttiva porta all’ isolamento, alienazione, disperazione, responsabili di tanti suicidi.

È infatti il tema del suicidio il filo sottile che intreccia tutta la trama: il suicidio dell’amico lascerà in Toru un’indelebile eredità: «la  morte non è l’opposto della vita, ma una sua parte integrante…. Fino ad allora io avevo sempre considerato la morte come una realtà indipendente, completamente separata dalla vita. La vita di qua, la morte di là. Ma a partire dalla notte in cui morì Kizuki, non riuscii a vedere in modo così semplice la morte (e la vita). La morte non era più qualcosa di opposto alla vita. La morte era già compresa intrinsecamente nel mio essere… nel pieno della vita tutto ruotava attorno alla morte».

La malattia mentale, quel mondo in cui il confine tra follia e genio è sottile, quella dimensione in cui spesso si collocano i deboli, coloro che non hanno la forza di lottare e di trovare un proprio spazio o ruolo,  è un altro tema presente e costante che evidenzia il mal di vivere di questi giovani e non solo.

Tanti i riferimenti musicali, partendo dai Beatles la cui canzone dà il titolo al libro - ma anche sconosciuti ( almeno per me) come Tony Bennet, Bud Powell, Sarah Vaughan, Ornette Coleman… (sono solo alcuni)- spaziando dalla musica classica, alla musica occidentale degli anni settanta, musica jazz, blues, bebop, ecc… è stato stimolante ricercare e ascoltare i brani mentre anche gli stessi personaggi l’ascoltano. Anche questa è una magia della lettura.

Interessante il trio di figure femminili così diverse tra loro: Naoko lunare, malinconica, chiusa, introversa, meditativa, profonda, cerebrale, complessa; Midori, solare, espansiva, gioiosa, istintiva, diretta, attiva, energica, leggera ma non superficiale; Reiko che sembra racchiudere con l’esperienza passata, entrambe le caratteristiche delle due giovani, costruendo sé stessa grazie a un atteggiamento resiliente nei confronti della vita stessa (la figura femminile che più ho amato rappresentando colei che ha volto lo sguardo verso la luce anziché al buio e che nonostante la malattia mentale è riuscita a salvarsi: Reiko rappresentante la vittoria, la capacità di risalire la china ritrovando il suo posto nel mondo nonostante le avversità  e lo farà aiutando gli altri e  nello stesso tempo sé stessa).

Un libro che a questo punto è scontato dire «Leggetelo», stimolante, scorrevole, appassionante, drammatico e allegro, che mi ha riportato indietro nel tempo, all’epoca in cui tutto e niente sembrava possibile.

A.C.

Murakami Haruki “ Norwegian Wood- Tokyo Blues” Einaudi 2006


19 marzo 2021

AI TEMPI DEL BIONDO di Marco Mannucci

 

Un lungo viaggio nella memoria, il libro “Ai tempi del Biondo  di Marco Mannucci” scrittore, amico, nonché stimato medico internista che ho avuto il piacere di conoscere e apprezzare nella mia attività professionale.

Uno spaccato di vita che va dagli anni del dopoguerra (quando bastava poco per essere felici e i rapporti umani erano rafforzati dalla solidarietà, da sentimenti di sostegno e condivisione rinvigoriti dalla guerra appena trascorsa) fino al giorno d’oggi.

L’autore ripercorre gli anni della sua infanzia, adolescenza, maturità, vissuti nel rione del Lippi, una frazione di Firenze Nord - una sorta di isola nella città - sconosciuta a molti, perché non di passaggio ma nascosta, al confine con la ferrovia.

In queste pagine, dense di pathos, l’autore narra in maniera precisa, dettagliata, le storie di coloro che vi hanno abitato e tuttora abitano, le relazioni, i rapporti interpersonali e con la metropoli, descrivendo ogni personaggio uno a uno, nessuno escluso, con una capacità descrittiva rara, per la nitidezza, la caratterizzazione di ciascuno di essi.  

Marco ha una parola per tutti, non esistono scale sociali, ma un enorme spazio che comprende donne, uomini, bambini, anziani - protagonisti seduti sui gradini di una lunga scala, con i capelli mossi da un vento leggero e i volti illuminati dal sole della vita - ognuno nel proprio ruolo, con le proprie attitudini, capacità, abilità, fondamentali come tasselli di un puzzle, per creare un’opera importante e armonica.

Il calcio, la passione per la Fiorentina, permea ogni pagina del romanzo, arricchendolo di ricordi significativi nella storia della squadra, coi suoi campioni e goleador, vittorie e sconfitte, scudetti vinti e persi, il tutto riportato con scrupolo e minuzia.

L’amore per la città di Firenze, è un altro aspetto che risalta subito fin dalle prime pagine della narrazione, insieme ai valori sociali quali l’amicizia, l’amore, la famiglia, il lavoro, la fede

Il romanzo è un inno alla vita, alla gioia di vivere nonostante le avversità, problemi, ostacoli che l’esistenza stessa pone lungo il cammino, come può essere l’evento tragico della morte di un caro amico o una malattia incurabile. Solo prendendo la vita per il verso giusto e con il metro adatto, perché - siamo stati fortunati a provare quelle emozioni e a capire che la distanza tra sogno e realtà non è poi così grande - solo ringraziando ogni giorno ciò che ci viene dato con la consapevolezza che non è tutto così scontato e che il tempo è fugace - il pensiero scivola via sui tanti volti che se ne sono andatiLa vita corre veloce. Troppo veloce. Il tempo diluisce e addormenta gioie e dolori. …la mia mano stringe un bastone bianco, alzo lo sguardo verso il cielo e lo respiro profondamente. E mi scopro improvvisamente vecchio. Un giovane vecchio - potremmo vivere felici e senza rimpianti.

Interessante è la struttura del romanzo che non si muove in maniera cronologica classica, ma per argomenti, capitoli in sé compiuti, che trovano però un collocamento logico e opportuno, dando una continuità armonica e sensata alla storia, che scorre fluida e piacevole.

Una lettura che consiglio a tutti coloro che oltre a una buona storia cercano la verità dei sentimenti.                                        

A.C.

Marco Mannucci “Ai tempi del biondo” Edizioni Tassinari 2020


10 gennaio 2021

BESAME MUCHO, PICCOLINA di Paolo Dapporto

 

Besame mucho, piccolina di Paolo Dapporto

Non è il primo libro che leggo di Paolo Dapporto, scrittore e amico,  e come gli altri, Non esistono storie senza importanza e  A guardare il cielo, confermo ancora una volta la capacità narrativa di Paolo nel riuscire a trascinare il lettore nelle sue meravigliose storie.

I libri di  Paolo si leggono tutto d’un fiato, e una volta iniziati, non è possibile staccarsi dalle pagine senza averne vista la fine. Che poi non è tanto la trama il motore della lettura, ma la sua scrittura coinvolgente, nostalgica, capace di ripescare ricordi sepolti, avvolgente come una coperta d’inverno, scorrevole, precisa.

Antonio è un professore di lettere, sposato con Maria, conosciuta ai tempi dell’Università, padre di Marco e Andrea. È un uomo però insoddisfatto, alla ricerca continua di un ideale di amore, più che dell’amore stesso. Per questo rintraccia Flora, una sua ex di liceo, riallacciando il vecchio rapporto amoroso con l’illusione di trovare in lei ciò che gli manca.

La storia ambientata negli anni 80, si alterna ai ricordi del protagonista, che abbracciano il periodo della sua infanzia, adolescenza, maturità, anche attraverso lettere, articoli, temi che spezzano la narrazione, rendendola ancora più vivace. Tante le sottotrame che emergono dalla narrazione principale, stimolando la curiosità del lettore.

Per chi cerca una lettura scorrevole, ben scritta, piena di sentimento ed emozione, animata dal ricordo degli anni 60/80, Besame mucho, piccolina è il libro giusto.

A.C.

Besame mucho, piccolina” Dapporto P. (Ed. Il Castello, 2019)