Il giorno della civetta fu pubblicato nel 1960, quando la
parola mafia non si poteva neppure
pronunciare, figuriamoci scriverne.
Sciascia esula
da ciò, portandola alla luce del giorno, avvalendosi in parte della sua licenza
di scrittore, senza tuttavia esprimere giudizio o sentenza.
La trama è
piuttosto semplice: Bellodi uomo del
Nord, proveniente da Parma, capitano
dei Carabinieri di S. un paesino siciliano, conduce l’indagine sull’omicidio di
Salvatore Colasberna, impresario di una cooperativa edile ucciso in piazza mentre
sale sull’autobus sotto lo sguardo di molti suoi paesani. Come tessere di un
domino, si aggiungono altri due omicidi, quello di Paolo Nicolosi agricoltore
sparito all’improvviso mentre si recava al lavoro e di Parrineddu, uomo
appartenente a una cosca mafiosa avversaria e disponibile a collaborare con la
Giustizia.
Bellodi riuscirà a estorcere due nomi, Pizzucco
e Mariano Arena, boss mafiosi probabili
autori dei delitti. Ma nonostante le evidenze non sarà facile incastrarli,
ostacolato dall’omertà del popolo,
che con ostinazione si chiude nel silenzio incrementando e sostenendo il potere
della mafia stessa; ma anche dalla politica,
dalle istituzioni che preferiscono
tacere, far finta di non vedere, sottovalutare e minimizzare, pur di non
mettersi in gioco e sicuramente subirne le conseguenze.
Rivelatrici le
parole di Don Mariano Arena in merito: “L’umanità,
bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i
mezz’uomini, gli ominicchi,(con rispetto parlando) i pigianculo e in
quaquaraquà… pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi che mi contenterei
l’umanità si fermasse ai mezz’uomini…E invece no, scende ancor più giù, agli
ominicchi. Che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le
stesse mosse dei grandi… E ancor più giù: i piglianculo, che van diventando un
esercito… e infine i quaquaraquà: che dovrebbero viver come anatre nelle
pozzanghere, che la loro vita non ha più senso e più espressione di quella
delle anatre…”
Com’è che
questo boss mafioso parla come un filosofo, conoscitore del mondo e delle sue
leggi? Cos’ è la mafia? Esiste davvero? O è solo una costruzione, un concetto
astratto che prende forma e nome solo fuori dalla Sicilia e ha identità e
significato soltanto per chi non è siciliano?
“Noi due, siciliani, alla mafia non ci
crediamo: questo a voi che a quanto pare ci credete, dovrebbe dire qualcosa. Ma
vi capisco: non siete siciliano, e i pregiudizi sono duri a morire. Col tempo
vi convincerete che è tutta una montatura.”
Così è la mafia,
una nuvola di fumo che come nebbia nasconde la realtà, evanescente, non
concreta, difficile da toccare, impossibile da far emergere, svelare, anche con
tutta la buona volontà di uomini come Bellodi che si ostinano a ricercare la
verità.
Oppure è “una voce anche la mafia: che ci sia ciascun
lo dice, dove sia nessun lo sa … Voce, voce che vaga: e rintrona le teste
deboli…
Nonostante il capitano sappia muoversi con intelligenza e scaltrezza, da vero Uomo ( come lo definisce Don Mariano), non avrà sostegno sufficiente da parte delle Autorità per portare avanti l’indagine e incastrare i colpevoli che sanno destreggiarsi con astuzia e potere. E anche se nel finale il caso si rivela una bolla di sapone, rimane la frase del vero Uomo, a mantenere accesa la fiammella della speranza “Mi ci romperò la testa”, a testimonianza della sua decisione di tornare in Sicilia.
Un romanzo davvero
coraggioso, in cui lo scrittore nonostante le opportune “cavature”, ha mantenuto forte e presente il tema della mafia, anche
se, come dice nella nota finale, non l’ho
scritto con la piena libertà di cui uno scrittore dovrebbe sempre godere .
Il libro lo si
può considerare un giallo a tutti
gli effetti: c’è l’omicidio, la vittima, l’assassino, l’indagine. In realtà è
qualcosa di più perché Sciascia va oltre, creando un’opera narrativa che
indirizza il principale obiettivo verso la denuncia
di una vera e propria ferita sociale, un’organizzazione criminale capace di
stravolgere il sistema politico, la democrazia, i parametri universali del bene
e del male, del giusto e ingiusto, del vero e falso... con una propria
architettura dignitosa e plausibile.
Mi sono chiesta,
una volta terminata la lettura, il perché di tale titolo, non ritrovando nel
testo riferimenti espliciti alla civetta. Sono giunta a una mia conclusione: la
civetta è un animale notturno, misterioso e affascinante; è l’esca per attirare
nuovi uccelli, catturare prede. Proprio come la mafia.
La ricerca su
internet ha completato la spiegazione. Ciò che Sciascia stesso riferì in merito
al titolo, ispirandosi a un passo di Enrico VI di Shakespeare dove si menziona
una civetta di giorno, fu che la mafia è
come una civetta, animale rapace, capace di agire non solo di notte ma alla
luce del giorno, forte del proprio potere, forza e seduzione.
Un libro audace
che ha segnato senz’altro un passo decisivo nella Storia della narrativa e non
solo, rompendo schemi e preconcetti, denunciando lo sconveniente, ciò che si sa
ma non si dice, ciò che si vede ma è meglio non guardare.
A.C.
"Il giorno della civetta" di Leonardo Sciascia (ed. Adelphi
1993)
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