06 dicembre 2025

 

IL MISTERO DI MARRADI di Barbara Carraresi

«Una cosa sono le storie poco chiare e un’altra quelle non chiarite»

Ancora una nuova indagine per il commissario Cesare Maremmi, personaggio indimenticabile nato dalla penna del padre dell’autrice (Le due coscienze  di Andrea Carraresi), e ripreso da Barbara nel romanzo successivo Il gioco del Quindici. Questa volta ci spostiamo dal mare all’Appennino tosco - emiliano, nel paese di Marradi, conosciuto per i secolari castagneti e per aver dato i natali al poeta Dino Campana.

Ciò che caratterizza questo nuovo episodio è il fatto di essere ispirato a una storia vera: un caso ancora irrisolto che sconvolse il paese nel dopoguerra e che l’autrice ci riconsegna arricchito dalle sue competenze creative e professionali forensi.

1960. Alfonso Naldoni, guardacaccia della tenuta di Cerreta, viene ucciso con un proiettile calibro 12 e ritrovato pochi giorni dopo, nascosto in un rovo, poco distante. Sconosciuto il movente. Dell’omicidio vengono accusati due giovani cacciatori di frodo, Callisto Tronconi e poi Francesco Liverani, detto Cento. Arrestati e poi rilasciati, le indagini proseguirono nel tempo senza mai approdare all’identificazione di un colpevole. Il figlio, Luigi Naldoni, decide finalmente di riparlare del caso, con un giornalista in cerca di un articolo sensazionale.

Anche Cesare Maremmi, venuto a conoscenza del misterioso omicidio, durante una gita con Margaret alla sagra del marrone, riaprirà il caso, regalandoci magnifiche sorprese.

Il romanzo si muove su due piani paralleli, alternati con equilibrio, che alla fine si ricongiungono: da un lato l’indagine del giornalista, Alessandro Nannini, che riporta alla luce un caso taciuto troppo a lungo, dall’altro, quella del commissario Maremmi che indaga con passione, rispolverando scartoffie, verbali, processi che non hanno mai portato alla verità.

Molto interessanti i numerosi personaggi, tutti molto ben rappresentati e caratterizzati, incluso il paese stesso di Marradi, vero protagonista del romanzo.  

Indimenticabile il mite Luigi Naldoni, con i suoi modi delicati e umili. Sempre affascinante e cortese Margaret, moglie di Maremmi, qui meno incisiva ma sempre presenza stabile e attenta a fianco del marito. E poi Adalgisa, la madre del commissario, ansiosa di rifocillarlo con le sue irresistibili pietanze fiorentine.

Non mancano figure secondarie bizzarre come Stefano il lampredottaio, che fa cadere Cesare in tentazione, o Mario Visani, proprietario dell’hotel Le tre virtù, dove soggiornano i due detective, col suo approccio gentile ma schivo.

Mariella la moglie, emiliana verace, amante della buona cucina , generosa, che sarà la prima a incrinare l’incallita omertà del paese, aprendo un varco decisivo per le indagini. E ancora Simeone, il fratello maggiore di Mario, autistico, che sembra abbia perso la parola per il trauma causato dall’ omicidio di Naldoni.

Divertente il rapporto di Cesare con la chiesa e con l’attuale parroco Don Marco, che non esita a dare il suo contributo alle indagini.

E poi i personaggi chiave dell’epoca: Alfonso Naldoni, la vittima; il Dottor Gruber il mecenate che acquistò la tenuta Cerreta, dando lavoro e cibo ai paesani reduci dalla guerra; Enrico Gruber il figlio scapestrato, dissipatore di denaro insieme alla compagna, un attricetta di poco conto; Don Cioni, parroco ai tempi del delitto, che aveva un casotto nella tenuta del conte, dove spesso si fermava a dormire, una consuetudine piuttosto insolita; e infine Guglielmo Visani , avvocato del dottor Gruber, padre di Mario e Simeone, che seguì il caso a favore del suo cliente ed ereditò poi la tenuta di Cerreta.

Insomma un panorama ricco e ben strutturato, nel quale ci muoviamo anche noi lettori con soddisfazione e  divertimento, grazie alla scrittura sobria e magnetica di Barbara Carraresi.

Non aggiungo altro a questa carrellata di personaggi, lasciando al lettore il piacere di scoprire da sé la storia, che sa affascinare, coinvolgere  e intrigare.

Un libro che ho letto d’un fiato, iniziato e terminato in poche ore. Non è una qualità comune a tutti gli scrittori, Barbara Carraresi è fra questi. Spero che continui a regalarci ancora molte storie con Cesare Maremmi, uomo onesto, appassionato, amante della bellezza, della verità e della giustizia. Quella giustizia che non basta a colmare il vuoto lasciato da un omicidio, «neanche la miglior sentenza del mondo può offrire un conforto perché non riporta in vita le persone care».

 Barbara sa scegliere, riconoscere e dosare le parole giuste con gusto, misura e pertinenza.

La sua scrittura è un fiume prorompente, come il suo carattere, da cui traspare entusiasmo, positività e amore per la giustizia.

Vi lascio, con l’invito alla lettura, sono certa che non ve ne pentirete.

“Il mistero di Marradi” di Barbara Carraresi ( ed. JollyRoger 2025)

04 dicembre 2025

LA FELICITA’ AFFOGATA di Carlo Menzinger di Preussenthal

 

Tutte le volte che leggo un libro di Carlo Menzinger, mi chiedo come possa l’autore riuscire a immaginare mondi così fantastici e, al contempo, tremendamente realistici. Leggendo le storie dell’autore veniamo catapultati in realtà apocalittiche, distopiche, ma tragicamente possibili e imminenti.

Anche in questo breve romanzo si percepisce tutta l’angoscia di un futuro che sembra scivolare verso l’autodistruzione. Lo scenario è una Firenze trasformata in una grande palude melmosa e putrida, dove emergono solo le sommità dei monumenti e degli edifici, le strade sono canali percorsi da veicoli acquatici e i cieli sono solcati da navicelle volanti.

Protagonista Lapo Vinci, un uomo forte, capace di prendere la vita per il verso giusto, e di vedere sempre il lato positivo di ogni evento, persino il più tragico, come la propria morte, che lo trasforma in un mecca, un robot che conserva il cervello e l’ anima di un tempo. Nonostante l’involuzione globale della Terra, le avversità, le perdite e i lutti, Lapo rimarrà sempre  positivo, e soprattutto propositivo, trovando una soluzione per ogni problema, anche per quelli che sembrano irrisolvibili.

È questo il grande valore del protagonista: la resilienza e l’ottimismo. Accettare ciò che il destino gli riserva , affrontarlo e rinascere, sempre, trasformato e migliore.

Un romanzo che diverte, ma che fa anche riflettere su tematiche fondamentali come lo sfruttamento del pianeta, l’inquinamento globale ed esponenziale, il surriscaldamento climatico e il senso stesso dell’esistenza.

Una grande lezione, racchiusa anche in questa frase: «Abbiamo davvero bisogno di essere felici o è proprio questo nostro cercare la felicità a renderci insoddisfatti e tristi? […] Se non aspirassimo a essere felici, forse potremmo essere davvero sereni, non affannarci, non cercare sempre nuovi stimoli e vivere veramente».

Una lettura davvero piacevole, dal linguaggio semplice e immediato, perfetta per chi desidera divagare in mondi sconosciuti, fantastici ma probabili se non impareremo a prenderci più cura del nostro pianeta.

“La felicità affogata” di Carlo Menzinger di Preussenthal  (Tabula Fati 2024)

16 novembre 2025

IL VALORE AFFETTIVO di Nicoletta Verna

 

«Non è che fossi triste: quello che sentivo non era il contrario della felicità, era il contrario della vita»

L’esordio letterario di Nicoletta Verna, è stato davvero una piacevole scoperta: un romanzo dalla scrittura matura, intensa e profondamente consapevole.

La storia narra di una famiglia felice, simile a molte altre negli anni del boom industriale. Al centro, due bambine, Bianca e Stella, unite da un sentimento di sorellanza indissolubile, finchè un evento tragico infrange quell’equilibrio e stravolge per sempre il modello familiare. La morte di Stella lascia un vuoto incolmabile: Bianca rimane sola, la sua vita non sarà più la stessa, tormentata dal senso di colpa e dalla convinzione di avere avuto un ruolo significativo, nella tragedia. Anche gli adulti cedono al dolore: la madre si chiude in una depressione autodistruttiva, mentre il padre sceglie di allontanarsi per rifarsi una nuova esistenza.

La bellezza straordinaria di Bianca, diventa l’ elemento vincente per farsi strada nel mondo della televisione, più per compiacere la madre - ipnotizzata dallo schermo - che per convinzione personale. E qui, il romanzo offre interessanti spunti di riflessione sulla televisione spazzatura, pensata per distrarre, per non far pensare, per trasformare gli individui in consumatori passivi, privati del senso critico e pieni di falsi bisogni. «La merce mira al cuore del consumatore, lo spoglia di ogni artificio finchè non è in preda al desiderio più atavico: un onnivoro senso di possesso».

Nella sua ricerca di equilibrio, Bianca incontra Carlo, un cardiochirurgo affascinante, ammirato da tutte le studentesse dell’Università in cui insegna. Tra i due inizia una relazione di affetto e passione. Lui la adora e Bianca sembra ricambiare con gentilezza e docilità. Ma Bianca ama davvero Carlo? O dietro quel legame si nasconde qualcos’altro? In ogni caso non è la vicenda romantica il cuore pulsante del romanzo: il fulcro è il senso di colpa di Bianca che attraversa ogni sua scelta dando inizio a un percorso di crescita, consapevolezza e accettazione di sé.

 «Qual è il prezzo esatto del senso di colpa? Il valore monetario del valore affettivo?»

La potenza del libro risiede tutta in Bianca, un personaggio di grande spessore, capace di precipitare nell’abisso più cupo, e al tempo stesso, di riemergere con dignità e forza, in un continuo alternarsi di cadute e risalite.

Lo stile dell’autrice è nitido e controllato, ogni frase scelta con cura, il registro sobrio ma emotivamente denso, in cu isi alternano sequenze riflessive a quelle narrative. Il ritmo è vario anche se serrato.

La trama, costruita in prima persona, non segue un ordine cronologico lineare, ma con salti temporali, di scene che, come scatti fotografici, rivelano la storia a poco a poco, lasciando emergere conflitti e interrogativi, spesso senza risposta.

Ho letto Il valore affettivo tutto di un fiato, catturata dalla capacità dell’autrice di “agganciare” il lettore fino alle ultime pagine, soprattutto riguardo la disgrazia che avvolge gran parte della vicenda, svelata solo quasi al termine del romanzo.

La scrittura di Nicoletta Verna dà voce alle emozioni, anche quelle scomode e meno nobili, che fanno comunque parte di noi. Alla fine, ciò che resta è la certezza che il valore affettivo non si misura in colpe, ma nel coraggio di riconoscersi per ciò che si è davvero. 

“Il valore affettivo” di Nicoletta Verna ( ed.Einaudi 2021)


05 novembre 2025

DEI BAMBINI NON SI SA NIENTE di Simona Vinci

 



Ho scelto Dei bambini non si sa niente dopo aver conosciuto l’autrice con Parla, mia paura, apprezzandone le qualità stilistiche e la capacità  introspettiva.

Anche in questo romanzo Simona Vinci non mi ha deluso per questi aspetti, mentre ho fatto fatica a digerire la trama e un tema tanto forte, e crudele, come la violenza sui bambini. Avrei voluto interrompere la lettura, ma non è mia abitudine e ho resistito.

La storia è semplice,con pochi personaggi. Estate. Anni Novanta, Granarolo. Intorno campi di grano biondo. Un gruppo di bambini - Martina, Greta, Matteo, Luca e Mirko - giocano nella piazzetta del paese. In un capannone isolato, a pochi chilometri di distanza, scoprono le differenze fra i sessi, pulsioni e piaceri nascosti  che condividono, come se fosse un gioco. Ma il gioco, guidato da Mirko, il più grande, si fa sempre più azzardoso fino a un epilogo sconcertante.

Una lettura che mi ha toccato per la crudeltà che emerge ferocemente, anche se mitigata dalla leggerezza e innocenza del mondo infantile. Apprezzo il fatto che l’ autrice ha affrontato un tema insolito, come la sessualità e le pulsioni dei bambini, ma portarlo all’estremo, fino a tale violenza mi è sembrato eccessivo. Lo comprendo, nel contesto di una letteratura dark (mi viene in mente la letteratura di Ian McEwan), non a caso il libro ha suscitato pareri contrastanti.

Concludo, con la promessa che leggerò ancora Simona Vinci, autrice di indubbio talento, leggendone però prima la sinossi.

“Dei bambini non si sa niente” di Simona Vinci ( ed Einaudi 1997)

04 novembre 2025

CHIEDI ALLA POLVERE di John Fante

 


CHIEDI ALLA POLVERE di John Fante

«Ho un consiglio molto semplice da dare a tutti i giovani scrittori. Non tiratevi mai indietro di fronte a una nuova esperienza. Vivete la vita fino in fondo, prendetela di petto, non lasciatevi sfuggire nulla».

È la quarta volta che rileggo Chiedi alla polvere, e ogni volta scopro nuove sfumature, dettagli un tempo sfuggiti, capaci di suscitare pensieri e riflessioni inedite. E la cosa più sorprendente è che, al termine della lettura, non rimango mai delusa.

Siamo negli anni Quaranta. Arturo Bandini, un giovane ragazzo di origini italiane, si trasferisce dal Colorado a Los Angeles con il sogno di diventare uno scrittore di successo. Nella polverosa metropoli coltiva la sua ambizione, facendo esperienze nuove, intrecciando relazioni con prostitute - per poi pentirsene subito dopo - conoscendo i coinquilini dell’albergo dove vive, uomini e donne segnati da storie di fallimento, di alcolismo e degrado.

L’incontro con Camilla Lopez, la cameriera messicana del pub che frequenta quando non scrive, segnerà la svolta. Arturo sente di amarla, anche se lei è innamorata di Sammy, il cameriere che invece la disprezza per la sua etnia. Un amore tormentato, un’altalena di sentimenti e passioni dove i ruoli spesso si invertono. Una trama apparentemente comune, una storia di amore non corrisposto, ma che in realtà nasconde molto di più. Non a caso la letteratura di Fante è stata riscoperta e apprezzata, anche grazie a Bukowski, che lo considerava un maestro.

Arturo Bandini è l’ alter ego dell’autore, tanto che potremmo definirlo in gran parte un romanzo autobiografico. Cambiano i nomi, ma nella sostanza c’è lui, John Fante. La vicenda si svolge durante le due Guerre Mondiali, con riferimenti fugaci all’ Europa e a Hitler, ma senza che l’autore insista sugli eventi storici e la loro tragicità. Il suo sguardo è rivolto al conflitto interiore del protagonista, un giovane alle prese con le sue aspirazioni letterarie e le proprie fragilità.

Dietro l’ambizione e l’ arroganza di Bandini, si nasconde una grande umiltà, un animo gentile e comprensivo. Bandini/ Fante è l’ «amico degli uomini  come degli animali», perché conosce la condizione degli emarginati, di coloro che per conquistarsi dignità e reputazione devono lottare con le proprie forze. Lui fa parte di questo popolo. La redenzione degli ultimi, attraverso la tenacia, il sacrificio e anche un po’ di fortuna è la lezione che Fante vuole dimostrare con questa sua grande opera.

Nel romanzo emerge anche una profonda ricerca di spiritualità, radicata nella tradizione familiare dell’autore, spesso incapace di dare risposte ai suoi interrogativi. Bandini patteggia con Dio, lo invoca e lo respinge, combattuto tra fede e scetticismo: « Quale Dio? Quale Cristo? Erano miti in cui avevo creduto un tempo ma ora era fede che mi sembrava mito […] Scendi giù dal tuo paradiso, Dio, scendi che ti spacco la faccia, maledetto buffone […] La Chiesa deve sparire; è il ricettacolo degli stolti, delle canaglie e delle mezze cartucce».

A mio parere, non è la trama, ma lo stile il vero punto di forza del romanzo. La narrazione in prima persona è scorrevole e intimistica, come se fosse il lettore a dialogare con sé stesso. Ma l’alternanza con la terza persona, in alcuni passaggi, rende il ritmo ancora più dinamico consentendo all’autore di osservare il suo protagonista da una certa distanza, restituendolo come un’entità indipendente.

Le descrizioni sono poesia, senza effetti speciali, ma di una bellezza sobria e naturale.

«Quando varcò le porte girevoli, fu come una musica […] La città che si stendeva ai miei piedi sembrava un albero di Natale […] la nebbia si era insinuata ovunque come un grande animale bianco […] I suoi capelli sparsi sul cuscino sembravano inchiostro uscito da una boccetta […] Il suo viso giallastro, in cui solo gli occhi sembravano vivi, mi ricordava una rosa dimenticata tra le pagine di un libro […] Facce sbiadite come fiori strappati alla radice e ficcati in un vaso…», il libro ne è pieno.

Nei dialoghi Fante è un maestro: sono essenziali, vivi, perfetti. Nascondono bene la loro finzione.

È pure evidente nel racconto, la difficoltà - così attuale - di affermarsi come scrittori, di rendersi credibili al mondo e all’editoria, nonostante il talento.

In Arturo si avverte una profonda solitudine, condizione quasi necessaria alla creazione artistica, che lo porta a preferire l’immaginazione all’esperienza diretta dell’amore per Camilla.

La Morte e la malattia, attraversano spesso questo romanzo, argomenti scomodi per un giovane come Bandini, ma che diventano occasione di  consapevolezza e di trasformazione artistica. «Fui sopraffatto dalla consapevolezza del patetico destino dell’uomo […] il male del mondo non era più tale, ma diventava ai miei occhi un mezzo indispensabile per tener lontano il deserto».

Lo stesso deserto da cui arriva la polvere che dà il titolo al libro, riempie ogni scena, ogni passaggio, le strade di L.A, la stanza di Arturo. È  la polvere del Mojave, quel velo dietro cui si cela la verità delle cose, oppure come scrive Fante nell’epilogo, «è una polvere da cui non cresce nulla, una cultura senza radici, una frenetica ricerca di un riparo, la furia cieca di un popolo perso e senza speranza alle prese con la ricerca affannosa di una pace che non potrà mai raggiungere». Parole di grande attualità, che sembrano raccontare la storia odierna, di quelle popolazioni perseguitate in cerca di asilo o di una patria.               

Chiedi alla polvere è un grande libro, un desiderio di appartenenza, un respiro di speranza, di possibilità di sogni che possono realizzarsi.

Una lezione di vita, nella voce di un ventenne: «Diventare un uomo migliore: sempre quella era l’idea di Arturo Bandini, di diventare un grand’uomo, di scrollarsi la polvere della strada, di amare uomini e bestie nello stesso modo»

“Chiedi alla polvere” di John Fante ( ed Einaudi 1982)

01 novembre 2025

MI RICONOSCI di Andrea Bajani

 

«Comunque, per quanto poche, la vita lascia anche altre opzioni»

Un libro che nasce come omaggio ad Antonio Tabucchi – al suo valore di scrittore e di uomo – emigrato in Portogallo senza però recidere il legame col suo paese d’origine, in particolare con Vecchiano, in Toscana.

È la storia di un’amicizia tra due scrittori: stessa origine, stessa passione per la letteratura, stesso amore per le parole. Scritto in prima persona (dall’autore stesso) e rivolto direttamente all’amico, come una lettera a senso unico, il racconto inizia dalla fine – dal funerale di Tabucchi – per ripercorrere a ritroso la storia della loro amicizia, il vissuto e le esperienze condivise, i momenti salienti e incisivi della loro  relazione intellettuale, fino alla malattia e alla morte, il 25 marzo 2012.

La malattia diviene uno spartiacque, un confine tra un prima e un dopo. Trasforma il corpo ma non l’anima, lo trasforma senza chiedere il permesso, senza possibilità di scelta. Bajani la descrive con una lucidità disarmante: «Non eri tu che la sceglievi, era la morte che ti metteva addosso la sua maschera di carnevale. Ti obbligava a una vestizione che non avevi chiesto».

Una frase che esclude ogni pietismo , restituendo alla morte un valore oggettivo, quasi naturale.

La storia di un’amicizia autentica, in cui si può essere sé stessi, dire ciò si pensa senza filtri, telefonarsi a notte fonda per parlare ore e poi riagganciare senza neppure un saluto formale.

Le frasi scorrono come versi, una prosa che ha il respiro della poesia, mai melensa, sempre essenziale. Dolore, malattia, sofferenza e morte pervadono il testo, restituite dall’autore come un omaggio alla vita, al valore degli affetti, dell’amicizia e dei legami veri.

In un passaggio, Tabucchi dialoga con la Morte, quasi a patteggiare con lei: prima con spavalderia, poi con rabbia, infine con accettazione.

Le descrizioni sono minuziose e singolari: non spiegano, mostrano

Ottime le metafore e similitudini che colpiscono per precisione e concretezza. Ogni emozione viene restituita attraverso un suono, un colore, un odore o una forma. È come se Bajani scavasse nelle parole per trovare alla fine, il “ tesoro” nascosto.

Mi riconosci è un libro per chi ama la buona letteratura, per chi non si accontenta di una trama ma cerca qualcosa di più: un’esperienza di stile e di verità, dove la scrittura diviene un modo per riconoscere se stessi e gli altri.

“Mi riconosci” di Andrea Bajani (ed Feltrinelli 2013)

31 ottobre 2025

IL TEMA DI ETHNA di Anna Bertini




Una storia al femminile, un percorso di introspezione, ostacoli, crescita e rinascita.

Ethna è una violoncellista e organizzatrice di eventi. La musica è la sua passione, l’ha anteposta a tutto, persino al ruolo di moglie e madre. Quarantenne, con un matrimonio in crisi, molti interrogativi in sospeso, ritrova in Lorenzo quella passione sentimentale mai conosciuta, che le permette di liberarsi dalle redini del controllo e di vivere con spensieratezza una relazione destinata però a finire troppo presto.

Una storia in cui la famiglia – non solo quella tradizionale – ha un ruolo centrale: una rete di affetti e legami che ruotano attorno alla protagonista, si evolvono, entrano in conflitto e si risolvono. Centrale è la figura del padre, Enzo, un uomo intelligente, generoso, affabile, con il quale Ethna ha un rapporto unico, un affetto indescrivibile. La sua morte, accompagnata dalla rivelazione di un segreto familiare, le toglierà però alcune certezze, gettandola nello sconforto.

Una storia complessa e  articolata, forse fin troppo, con troppi personaggi, non sempre necessari allo sviluppo della trama. Un caleidoscopio di nomi, volti e vicende che a tratti si aggrovigliano, creando un po’ di confusione e togliendo chiarezza e fluidità alla narrazione. Le numerose sequenze narrative, finiscono per prevalere su quelle riflessive e introspettive, che personalmente amo tanto.

Anche i numerosi anglicismi (senza traduzione a piè di pagina) che si inseriscono nei dialoghi come parte naturale del vissuto dei protagonisti bilingue, a mio parere, intralciano la lettura a chi come me non ha dimestichezza con l’inglese.

Molti, tuttavia i punti a favore: le citazioni musicali, che rivelano la cultura e le competenze dell’autrice in campo musicale; la scrittura ricercata, ricca di descrizioni ben articolate; l’accurata documentazione di luoghi reali dell'Irlanda e della Toscana.

Un libro che possiede grandi potenzialità per il patrimonio culturale che si cela dietro il mondo dell’autrice, ma che talvolta si disperde nel susseguirsi di troppi conflitti, senza una reale concentrazione o approfondimento di ciascuno di essi.

Resta comunque un romanzo che incuriosisce man mano che si procede nella lettura e che spinge il lettore a desiderare di conoscere meglio quei luoghi così carichi di magia, come il castello di Sonnino e il mare fragoroso che bagna le pendici. Un’opera intensa che affascina per il tessuto emotivo e per la forza evocativa dei suoi paesaggi.

“Il tema di Ethna” di Anna Bertini (Arkadia 2025)                                        

25 ottobre 2025

ANATOMIA DELL’IMPROBABILE di Massimo Acciai Baggiani e Renato Campinoti

 


Quando si conoscono gli autori di un libro, la lettura assume un tono diverso, più ricco: le parole non le leggiamo più con la nostra voce, ma con la loro, con il loro timbro, inflessione, ritmo. In questo caso, poi, poichè i racconti sono stati scritti a quattro mani, è affascinante cercare di riconoscere, nei vari passaggi, l’impronta dell’uno e dell’altro autore.

Si può riconoscere la voce leggera, quasi  sussurrata, di Massimo Acciai Baggiani, appassionato di esperanto, che predilige personaggi complessi e problematici, portatori di un ricco mondo interiore, da esplorare, sviscerare, condividere.

Più forte e decisa è invece la voce di Renato Campinoti, che prosegue sulla traccia di Massimo concentrandosi su ciò che ruota intorno ai personaggi: l’ambiente, la dimensione culturale, sociale e soprattutto storica.

È proprio questo connubio, questa integrazione tra uno stile intimistico e uno più attento al contesto collettivo, a rendere le storie accattivanti e originali.

Ventotto racconti brevi, in cui Firenze, la periferia e più in generale la Toscana, fanno da sfondo a queste vicende ora divertenti, ora nostalgiche, sentimentali o cupe.

Navigatori che complottano contro gli automobilisti, scrittori senza idee, personaggi alla ricerca delle proprie origini, segreti familiari, bambini che parlano lingue nuove, storie di amore e di odio; un Renzo Tramaglino catapultato nel Risorgimento, matrimoni tra gatti e umani, sogni di gloria, incubi, visioni, ossessioni, follie, fatalità e menzogne, salti nel tempo e nello spazio.

Il Coronavirus è spesso presente in queste pagine, con la sua forza distruttrice, contrapposta al potere salvifico dei vaccini, una tema che ancora oggi suscita discussione. Non mancano problemi ambientali come i surriscaldamento globale che minaccia la vita sulla Terra, spingendo l’umanità a cercare nuovi mondi da abitare, pianeti dove perfino la sabbia può essere mangiata.

Tradimenti, infedeltà, violenze e anche personaggi letterari, come Anna Karenina, che escono dai libri per criticare la società contemporanea.

Insomma , ce n’è per tutti i gusti, impossibile annoiarsi. Com’è impossibile non riflettere sulla nostra condizione di esseri umani, risultato di una Storia che, forse, non ci ha ancora insegnato abbastanza.

“Anatomia dell’improbabile” di M.Acciai Baggiani e Renato Campinoti ( Gli Elefanti Edizioni 2025)

25 ottobre 2025

05 ottobre 2025

LA COMMEDIA UMANA di William Saroyan

 

«Pensavo che un ragazzo non dovrebbe piangere più, una volta cresciuto, mentre sembra quasi che sia proprio quello il momento di cominciare, perché è allora che apre gli occhi»

Un autore che non conoscevo e che mi ricorda molto John Fante – col suo alter ego Arturo Bandini –collocandosi tra i tanti scrittori americani figli di immigrati, in fuga da realtà belliche persecutorie, alla ricerca di un futuro migliore.

William Saroyan nato negli USA ma di origini armene, ripropone in tutta la sua opera letteraria la propria esperienza di figlio di immigrati, in un contesto diverso in cui riesce a inserirsi con coraggio, ostinazione e umiltà.

Una piacevole scoperta, che ci porta nell’America degli anni Quaranta, in un paese immaginario della California, Ithaca, dove la Seconda Guerra mondiale fa da sfondo morale e affettivo alle vicende quotidiane della famiglia Macauley, segnandone le paure, le perdite e le speranze.

Il protagonista, Homer Macauley, è un ragazzino di quattordici anni che lavora come messaggero telegrafista per portare a casa qualche soldo in più a sostegno della famiglia. Studia di giorno e lavora la sera, consegnando con straordinaria velocità, in sella alla sua bicicletta, i telegrammi alle famiglie del paese. Una figura straordinaria, che emerge per la sua intelligenza, dignità e onestà. Un piccolo grande uomo con una sensibilità unica, pieno di amore e coraggio. Un ragazzo già consapevole del male che affligge il mondo, dell’atrocità delle guerre, dell’odio e della competizione tra gli uomini. Una consapevolezza che lo rende propositivo e resiliente, capace di trasformare le avversità della vita in insegnamento e stimolo di crescita.

Al suo fianco si muovono altri personaggi significativi: Ulysses, il fratellino minore, con lo sguardo meravigliato sul mondo nonostante gli ostacoli (emblematica la scena della trappola nel negozio del signor Covington dalla quale viene liberato grazie al gigante Chris) deliziandoci per la sua innocenza e curiosità; la madre, donna forte e presente, amorevole e saggia, capace di ascoltare senza essere iperprotettiva; Bess, la sorella adolescente che studia al liceo e suona il pianoforte e Marcus, il fratello maggiore arruolato nell’esercito. Una famiglia senza il padre – morto in guerra – ma la cui presenza aleggia costantemente nel ricordo benevolo e nostalgico di ciascuno.

Indimenticabile anche l’anziana insegnante Hicks con i suoi precetti preziosi: «In uno stato democratico tutti sono uguali, ma è fondamentale che ciascuno si impegni per dare il meglio di sé, non importa come […] Che sia ricco o povero, brillante o impacciato, genio o semplicione, per me fa lo stesso, quel che conta è la sua umanità – che abbia un cuore – che ami la verità e l’onore – che rispetti i superiori ma anche le persone più deboli […] Voglio che i miei ragazzi siano persone originali, felicemente diverse».

Il signor Grogan col quale Homer instaura un rapporto d’amicizia e di reciproco aiuto nonostante la notevole differenza di età, gli fa dono di pillole di saggezza, anche con la mente offuscata dall’alcol: «Sii contento di te, sii riconoscente. Cerca di comprendere l’importanza di essere contenti di come si è. Sii contento, perché godrai della fiducia di persone del tutto sconosciute». Un messaggio che racchiude una lezione profonda: credere in se stessi e nella propria identità è una forza vincente e travolgente.

C’è poi Il signor Spangler, che assume il ragazzo comprendendone la necessità, nonostante non abbia ancora l’età e che si ferma spesso a parlare con lui, quasi a colmare la figura paterna mancante.

Tra i personaggi più teneri Lionel, Il miglior amico di Ulysses, evitato dagli altri ragazzi perché ritenuto “scemo” ma amato e reso unico dal piccolo.

Proprio per questo ricco mondo, dove ogni figura rappresenta un tassello importante della storia, definirei La commedia umana molto più di un romanzo di formazione, perché i personaggi che “crescono” sono molti, forgiati dalle prove della vita che ognuno affronta con forza, dignità e orgoglio.

Si avverte il taglio autobiografico – i genitori armeni fuggiti al genocidio, le origini umili, i lavori saltuari dell’autore (tra cui quello di telegrafista) – che rende la scrittura così realistica nella sua linearità e chiarezza.

La commedia umana è una storia di vita in un’ epoca segnata dalla guerra mondiale, scritta con uno stile semplice, caloroso e immediato, che arriva direttamente al cuore.

La scrittura di Saroyan parla di sentimenti, emozioni e valori autentici: la famiglia, il lavoro, la solidarietà, l’amicizia, l’empatia, il rispetto, il sacrificio, la compassione… e soprattutto la speranza.

E a proposito di speranza non posso non citare le parole della madre al figlio: «Nel mondo ci sarà sempre dolore. Questo non significa che si debba perdere la speranza. Un uomo vero si sforzerà di eliminare il dolore dal mondo. Un uomo meschino non lo vedrà nemmeno, tranne che in sé stesso. E un uomo malvagio, per sua disgrazia, porterà al mondo altro dolore, seminandolo dovunque andrà».

Questa aria di speranza è il sottile ottimismo che attraversa l’intero romanzo, come un avvertimento a non lasciarsi sopraffare dallo sconforto e dall’inerzia.

Un libro tremendamente realistico e attuale, delicato ma profondo, senza tempo.

Un romanzo che tutti – grandi e piccini – dovrebbero leggere: una grande scoperta per cui devo ringraziare ancora l’amica del gruppo di lettura che ce lo ha consigliato.

“La commedia umana” di William Saroyan ( ed Marcos y Marcos 2018)

30 settembre 2025

IERI di Agota Kristof

 



IERI di Agota Kristof

«Domani, ieri, che vogliono dire queste parole? Non c’è che il presente»

Tobias Horvath è un giovane immigrato che lavora in una fabbrica di orologi. Orfano,porta con sé un passato violento: ha ucciso la madre una donna scellerata costretta a prostituirsi per vivere e ha tentato di fare lo stesso col padre, un uomo benestante che non l’ha mai riconosciuto. Profondamente buono e bisognoso di amore, ricerca Line - il suo ideale di donna - in tutte le donne che incontra, fino a trovarla: si chiama Caroline, lavora nella sua stessa fabbrica, è sposata ed ha una figlia. Inizierà una relazione con lei, costruita sull’ossessione, il possesso e la gelosia. Un rapporto complesso, in bilico tra il reale e l’ossessione mentale ma tanto tangibile e vera nella mente e nel cuore di Tobias, che fa di tutto per conquistare questo amore impossibile.

Un urlo di disperazione, di sogni, di amore e di speranze disattese. La realtà cruda di un uomo emigrato destinato a sognare un mondo inesistente e un amore irraggiungibile, unica fonte di desiderio e ragione di vita.

Scrittura serrata, essenziale, incisiva che rende Agota Kristof una scrittrice memorabile che vale la pena riscoprire.

“Ieri” di Agota Kristof ( ed.Einaudi 1997)

13 settembre 2025

CASA DI BAMBOLA di Henrik Ibsen

 

Capolavoro del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen, Casa di Bambola (1879) critica le ipocrisie della società borghese e denuncia i ruoli imposti a uomini e donne nell’epoca vittoriana.

Nora, moglie di Torvald Helmer, avvocato da poco nominato Direttore di un’ importante banca, rappresenta l’ ideale di moglie devota e di madre premurosa. Sotto  l’apparente idillio domestico, custodisce però un segreto, destinato a sconvolgere ogni equilibrio famigliare. La rivelazione  la porterà a compiere una scelta radicale, che la trasformerà da persona frivola a donna consapevole e determinata.

Figura sorprendentemente moderna, Nora incarna il simbolo dell’emancipazione femminile e anticipa il pensiero femminista. La forza del testo risiede proprio nella sua attualità, dove sotto la leggerezza della storia si nasconde una critica tagliente che interroga il lettore sul valore della libertà e dignità umana.

Casa di bambola” di Henrik Ibsen (Einaudi 1963)

PARLA, MIA PAURA di Simona Vinci

 


«Ecco il trucco, la magia: non chiudere, apri. Non nasconderti, mostrati. Non tacere, esprimiti. Se hai paura, chiedi aiuto».

Un  romanzo autobiografico intenso questo libro di Simona Vinci  in cui l’autrice racconta senza veli le proprie paure: l’insorgenza degli attacchi di panico, la depressione post partum, l’anoressia, le idee suicide come unica via di fuga, i lunghi anni di terapia.

«La “Ragna”- così la scrittrice definisce la depressione - è lì, aggrappata alla tua schiena, la bocca agganciata al tuo midollo. Ti succhia anche se non te ne accorgi. Di te si nutre, di te si riempie, di te fa strage».

Depressione, ansia, attacchi di panico, esistono strategie per affrontare condizioni tanto subdole quanto invalidanti , che impediscono di vivere? È possibile mettere a tacere la regina delle paure, ovvero la paura della paura?

Per Simona Vinci la salvezza passa attraverso la scrittura, il potere salvifico della parola, come afferma nelle Nota a fine  libro: «È grazie alle parole, quelle che ho letto, quelle che ho scritto, quelle che ho ascoltato e quelle che ho pronunciato, se sono ancora viva».

Una scrittura fluida, sincera, che colpisce per la sua forza disarmante. Uno stile narrativo dal tono intimo, una capacità singolare di esprimersi con onestà al di là delle convenzioni, trasformando il dolore in linguaggio e creatività.

Una piacevole scoperta, una voce che senz’altro tornerò a leggere.

"Parla, mia paura"  di Simona Vinci ( Einaudi 2017)

31 agosto 2025

PSICOPOMPO di Amélie Nothomb

 



«In fondo cos’è volare se non abbandonarsi all’ebbrezza del vuoto?»

Ancora una volta Amélie Nothomb stupisce con la sua scrittura magistrale, trascendente, unica.
Questo libro ha la leggerezza del volo degli uccelli che l’autrice osserva e studia fin dall’infanzia, coltivando una passione radicale per creature solo in apparenza fragili, ma in realtà forti, audaci e determinate.

La prima parte è una raffinata dissertazione sul volo: un’impresa tutt’altro che scontata, che richiede forza, equilibrio e bilanciamento. Segue poi l’analisi del canto, diverso per ogni specie, con la sua melodia, la sua tonalità e il suo significato.

Restando ancorata al mondo aviario, Nothomb intreccia il racconto della propria vita: dall’infanzia in Giappone, Cina, Bangladesh e Laos, fino all’Europa, prima in Belgio e infine a Parigi. Ma a soli tredici anni, lo stupro subito interrompe brutalmente quella visione chimerica del mondo. La risposta sarà l’anoressia: non mangiare, scomparire, annullarsi. Un’esperienza che la porta a percepire corpo e anima come entità separate: «Conducevo due vite distinte, quella del corpo e quella dell’anima. Quella del corpo non era un granché, ma progrediva coraggiosamente verso una lenta guarigione. Quella dell’anima consisteva solo in conflitti e imprecazioni: disprezzo greco verso il mestiere di vivere».

La rinascita arriverà grazie alla scrittura, vissuta come un nuovo volo: «D’ora in poi scrivere sarebbe stato come volare […] Il mio canto sarebbe stato scrittura. Come l’allodola avrei cantato volando». Per questo Nothomb ricerca con tanto zelo la parola perfetta: perché scrivere, come volare, comporta impegno e rischio. Ma la scrittura è anche accompagnamento, come lo psicopompo che guida le anime oltre la soglia della vita.

Il risultato è una lettura intrigante, ironica e insieme profondissima, frutto di una mente vivace, colta e intuitiva. Psicopompo non solo illumina la scrittura come atto vitale, ma invita chi legge a spiccare, a sua volta, il proprio volo.

Psicopompo” di Amélie Nothomb (ed Voalnd 2024)