«Pensavo
che un ragazzo non dovrebbe piangere più, una volta cresciuto, mentre sembra
quasi che sia proprio quello il momento di cominciare, perché è allora che apre
gli occhi»
Un autore che non conoscevo e che mi ricorda molto John Fante – col suo alter ego Arturo
Bandini –collocandosi tra i tanti scrittori americani figli di immigrati, in
fuga da realtà belliche persecutorie, alla ricerca di un futuro migliore.
William Saroyan nato
negli USA ma di origini armene, ripropone in tutta la sua opera letteraria la
propria esperienza di figlio di immigrati, in un contesto diverso in cui riesce
a inserirsi con coraggio, ostinazione e umiltà.
Una piacevole scoperta, che ci porta nell’America degli anni Quaranta, in un paese
immaginario della California, Ithaca,
dove la Seconda Guerra mondiale fa da sfondo morale e affettivo alle vicende
quotidiane della famiglia Macauley, segnandone le paure, le perdite e le
speranze.
Il protagonista, Homer
Macauley, è un ragazzino di quattordici anni che lavora come messaggero
telegrafista per portare a casa qualche soldo in più a sostegno della famiglia.
Studia di giorno e lavora la sera, consegnando con straordinaria velocità, in
sella alla sua bicicletta, i telegrammi alle famiglie del paese. Una figura
straordinaria, che emerge per la sua intelligenza, dignità e onestà. Un piccolo
grande uomo con una sensibilità unica, pieno di amore e coraggio. Un ragazzo
già consapevole del male che affligge il mondo, dell’atrocità delle guerre, dell’odio
e della competizione tra gli uomini. Una consapevolezza che lo rende
propositivo e resiliente, capace di trasformare le avversità della vita in
insegnamento e stimolo di crescita.
Al suo fianco si muovono altri personaggi significativi: Ulysses, il fratellino minore, con lo
sguardo meravigliato sul mondo nonostante gli ostacoli (emblematica la scena della
trappola nel negozio del signor Covington dalla quale viene liberato grazie al gigante
Chris) deliziandoci per la sua innocenza e curiosità; la madre, donna forte e presente, amorevole e saggia, capace di
ascoltare senza essere iperprotettiva; Bess,
la sorella adolescente che studia al liceo e suona il pianoforte e Marcus, il fratello maggiore arruolato
nell’esercito. Una famiglia senza il padre – morto in guerra – ma la cui
presenza aleggia costantemente nel ricordo benevolo e nostalgico di ciascuno.
Indimenticabile anche l’anziana insegnante Hicks con i suoi precetti preziosi: «In
uno stato democratico tutti sono uguali, ma è fondamentale che ciascuno si
impegni per dare il meglio di sé, non importa come […] Che sia ricco o povero, brillante o
impacciato, genio o semplicione, per me fa lo stesso, quel che conta è la sua
umanità – che abbia un cuore – che ami la verità e l’onore – che rispetti i
superiori ma anche le persone più deboli […] Voglio che i miei ragazzi siano
persone originali, felicemente diverse».
Il signor Grogan col
quale Homer instaura un rapporto d’amicizia e di reciproco aiuto nonostante la
notevole differenza di età, gli fa dono di pillole di saggezza, anche con la
mente offuscata dall’alcol: «Sii
contento di te, sii riconoscente. Cerca di comprendere l’importanza di essere
contenti di come si è. Sii contento, perché godrai della fiducia di persone del
tutto sconosciute». Un
messaggio che racchiude una
lezione profonda: credere in se stessi e nella propria identità è una forza
vincente e travolgente.
C’è poi Il signor Spangler, che assume il ragazzo comprendendone la necessità, nonostante non abbia ancora l’età e che si ferma spesso a parlare con lui, quasi a colmare la figura paterna mancante.
Tra i personaggi più teneri Lionel, Il miglior amico di Ulysses, evitato dagli altri ragazzi
perché ritenuto “scemo” ma amato e reso unico dal piccolo.
Proprio per questo ricco mondo, dove ogni figura rappresenta
un tassello importante della storia, definirei La commedia umana molto più di un romanzo di formazione, perché i
personaggi che “crescono” sono molti, forgiati dalle prove
della vita che ognuno affronta con forza, dignità e orgoglio.
Si avverte il taglio autobiografico – i genitori armeni
fuggiti al genocidio, le origini umili, i lavori saltuari dell’autore (tra cui
quello di telegrafista) – che rende la scrittura così realistica nella sua linearità
e chiarezza.
La commedia umana
è una storia di vita in un’ epoca segnata dalla guerra mondiale, scritta con
uno stile semplice, caloroso e
immediato, che arriva direttamente al cuore.
La scrittura di Saroyan parla di sentimenti, emozioni e
valori autentici: la famiglia, il lavoro, la solidarietà, l’amicizia,
l’empatia, il rispetto, il sacrificio,
la compassione… e soprattutto la speranza.
E a proposito di speranza non posso non citare le parole della
madre al figlio: «Nel mondo ci sarà
sempre dolore. Questo non significa che si debba perdere la speranza. Un uomo
vero si sforzerà di eliminare il dolore dal mondo. Un uomo meschino non lo
vedrà nemmeno, tranne che in sé stesso. E un uomo malvagio, per sua disgrazia,
porterà al mondo altro dolore, seminandolo dovunque andrà».
Questa aria di speranza è il sottile ottimismo che attraversa l’intero romanzo, come un avvertimento a
non lasciarsi sopraffare dallo sconforto e dall’inerzia.
Un libro tremendamente realistico
e attuale, delicato ma profondo, senza tempo.
Un romanzo che tutti – grandi e piccini – dovrebbero leggere:
una grande scoperta per cui devo ringraziare ancora l’amica del gruppo di
lettura che ce lo ha consigliato.
“La commedia umana”
di William Saroyan ( ed Marcos y Marcos 2018)