08 maggio 2024

TROPPA MEDICINA - Un uso eccessivo può nuocere alla salute di Marco Bobbio

 

 

TROPPA MEDICINA - Un uso eccessivo può nuocere alla salute di Marco Bobbio

Fare di più non significa fare meglio

La medicina ha migliorato di gran lunga la nostra vita, grazie ai progressi della tecnologia, dell’informatica, della ricerca clinica e scientifica ma di pari passo non c’è stato sempre in maniera proporzionale, altrettanto beneficio e benessere in termini di qualità e dignità di vita. Infatti il progresso può rivelarsi anche un vincolo, una catena che ci lega ancor di più mani e piedi, che immobilizza il corpo oltrepassando il suo naturale e fisiologico processo, se non usata con sapienza e intelligenza. Come dice Bobbio, troppa medicina può danneggiarci anziché farci star bene, «può provocare effetti peggiori di quelli che si sarebbe voluto evitare».

Il problema è che la medicina è nata per guarire, e là dove questa attribuzione gli è impossibile, si defila dall’incarico. Dice Bobbio, citando le parole di Richard Smith direttore di una importante rivista americana: «Non fa male ricordare che la morte è inevitabile, che la maggior parte delle malattie non può essere guarita».

Fare sempre qualcosa è davvero la miglior cosa da fare? Il nuovo, le procedure più sofisticate sono sempre le migliori? Risolveranno davvero ogni problema di salute? Anticipare la diagnosi può essere sempre utile? I rischi potenziali vanno sempre trattati con farmaci? Dobbiamo sempre ostinarci al trattamento o c’è un momento in cui dobbiamo fermarci? Questi e altri quesiti popolano il libro, esortandoci a riflettere sulle nostre insicurezze e paure, a ponderare la cura e l’assistenza, a confrontarci in una visione sempre più centrata sui reali bisogni della persona.

La Slow Medicine, di cui Marco Bobbio fa parte (membro del Gruppo direttivo), risponde molto bene a questi interrogativi, e lo fa con tre parole, aggettivi chiave: medicina sobria, rispettosa, giusta.

Una medicina contenuta, misurata senza eccessi inutili (oltretutto sfavorevoli alla persona).

Una medicina rispettosa, che considera la volontà della persona, in linea con le risorse disponibili, di buona qualità.

Una medicina giusta, appropriata, su misura della persona, che riduca gli sprechi per garantire equità delle cure e sostenibilità.

Purtroppo non sempre è facile adottare il sobrio, rispettoso e giusto atteggiamento, anche se condiviso dal medico, perché subentra la paura di eventuali sanzioni e provvedimenti disciplinari, se il medico incorre in errori per omissione di esami a conferma di diagnosi, per esempio. La medicina difensiva è proprio questo, prescrivere esami, farmaci, trattamenti inutili per evitare contenziosi più che per reale necessità, senza un effettivo vantaggio per la persona. «La medicina difensiva peggiora la qualità dell’assistenza sanitaria, incoraggiando procedure inutili e un crescendo difficilmente controllabile di risultati ambigui o falsamente positivi».

La ricerca della certezza, al quale viene dedicato un intero capitolo, dice Bobbio,  può essere deleteria, non solo in termini di costi e sprechi, ma soprattutto per integrità della persona, che non “si dà pace” senza una diagnosi, o una cura a risoluzione del suo problema. Su questo mi viene da riflettere su quanto la certezza sia un valore fluttuante e mai assoluto nella durata della vita stessa, di certo non esiste niente, ciò che è vitale è mutabile per sua natura, trasformabile e quindi in antitesi con la certezza, stabile, sicura, ferma.

Purtroppo il sistema consumistico ci ha portato a un apprezzamento della quantità a scapito della qualità: siamo progettati per fare, sempre di più, sono i numeri che contano, più dei contenuti del messaggio da dare.

C’è una mancanza di formazione inerente alla comunicazione tra medico e paziente nello stimolare le sue capacità decisionali. Non solo, il medico è impreparato a gestire l’emotività dell’altro.

«I medici farebbero meglio ad accompagnarli (i pazienti) nella decisione, aiutandoli a mettere insieme le numerose tessere, spesso molto personali, che caratterizzano sempre una scelta complessa».

«È più facile fare che non fare.  La rinuncia è sinonimo di abbandono, abdicazione, astensione, cedimento, cessione, digiuno, distacco, forfait, mortificazione, privazione, resa, rifiuto, ritirata, sacrificio, vendita». Tutti questi aggettivi parlano da soli, e ce la dicono lunga sull’accezione negativa del termine.

Eppure a volte è bene arrendersi, accettare, constatare che è il momento di fermarsi; il che non significa che dobbiamo lasciare il campo, interrompere e terminare il gioco, anzi, è questo il momento giusto per cominciare a fare qualcos’altro. E il gioco cambia prospettiva e direttiva, non più nell’ottica della guarigione ma in quella della presa di coscienza dei propri limiti, della consapevolezza del proprio essere, nel contenimento dei sintomi invalidanti e scomodi, quali il dolore cronico, in una visione realistica e oggettiva. Le cure palliative rientrano in questo raggio d’azione.

Mi piace la frase: «L’equilibrio tra accanimento e abbandono è delicato, i medici dovrebbero assimilare il concetto che “rinunciare non è sempre un male”; in molti casi può essere una scelta conveniente per quella persona […] una rinuncia può essere una scelta positiva, consapevole e rispettabile. Magari, l’unica accettabile per quel paziente».

Sugli screening di prevenzione non mi trovo invece molto d’accordo. Sono una persona che cerca di condurre uno stile di vita sano ed equilibrato, di fare tutto quello che è nelle mie facoltà per mantenere l’equilibrio del  corpo, in uno stato di benessere fisico, psichico e sociale che so bene non essere completa assenza di malattia. Insomma, credo che dobbiamo volerci bene, e fare il possibile per onorare questa impalcatura che ci è stato offerta, proprio come un dono. So bene che questo non mi esonererà da problemi futuri, che potrò ammalarmi anch’io di patologie i cui fattori favorenti ho cercato di scansarli n tutti i modi, ma almeno potrò dire alla fine della storia di aver fatto del mio meglio, cercando e scegliendo la strada dell’amore e del rispetto. Per questo mi sottopongo volentieri agli screening, forse come testimonianza e valutazione del mio impegno. Ovviamente pagandoli non tolgo spazio e tempo a nessun altro che può avere più bisogno di me.

Ma condivido l’ osservazione dell’autore: «Uno screening è utile quando all’aumento del numero di diagnosi corrisponde una riduzione della mortalità per quella patologia[…] lo screening è invece inutile quando svela patologie irrilevanti. La mortalità non varia anche se i tumori vengono scoperti e trattati. Lo screening è addirittura dannoso, quando all’aumento della diagnosi, non corrisponde una mortalità specifica».Il problema a questo punto è: «Ma come facciamo a sapere a quale delle tre categorie apparteniamo?»

Concordo sull’idea che ci sono davvero troppi conflitti d’interesse e ritorni economici che fanno muovere il mercato della sanità, ambito in cui non dovrebbero proprio mettere il naso.

Sul tema degli sprechi quanta verità, e non solo nell’ambito della sovraprescrizione e sovratrattamento!

Insomma per concludere anch’io la mia analisi, più che una recensione, sottolineo di nuovo i punti di forza di questa nuova concezione di approccio alla medicina e termino con questa citazione a parer mio riassuntiva ed esauriente: « Il compito del medico, che dispone di un numero sempre crescente di strumenti, è anche quello di capire quando è meglio attenersi alle regole generali, quando deviare e addirittura quando consigliare di non procedere […] la non- cura è tanto efficace quanto la cura». E ancora:« non ci possiamo illudere che la medicina garantisca lo stato di perfetta salute, ma aspettarci che riduca il più possibile lo stato di malattia senza provocarci altri problemi».

Da questa riflessione si capisce quanto è importante il rapporto di fiducia tra medico e paziente e il dialogo volto a captare i desideri, valori, la volontà della persona, ciò che è giusto per lei.

Un libro ben scritto, dettagliato, corredato di casi e studi clinici a supporto delle teorie dell’autore.

Concludo con le parole appropriate, quelle che vorrei risuonassero come un’ eco per chi è arrivato fino in fondo a queste righe e che sono la sintesi di tutto questo mio lungo discorso:

 Sobrietà, Rispetto e Giustizia, tre parole ma un mondo immenso intorno.

 

 

Troppa medicina - Un uso eccessivo può nuocere alla salute di Marco Bobbio (ed. Einaudi 2017)

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