12 aprile 2023

LA SETTIMANA BIANCA di Emmanuel Carrère

 


Adoro La settimana bianca, ultima proposta del nostro Gruppo di lettura, riletto davvero con piacere, offrendomi l’opportunità di cogliere altri aspetti importanti della storia, che non avevo focalizzato in prima battuta, trasportata più dal “filo misterioso” della trama, che dai preziosi ricami attorno ad essa.

Emmanuel Carrère ci introduce gradualmente nel mondo del piccolo Nicolas, accompagnato dal padre col proprio mezzo allo chalet di montagna per trascorrere la settimana bianca insieme ai compagni di classe, che invece sono arrivati in pullman. Tutto ciò perché dieci giorni prima un camion si è scontrato con uno scuolabus uccidendo parte della scolaresca e il genitore non ha voluto correre rischi. Soltanto ore dopo il suo arrivo, il ragazzino si accorge che lo zaino con tutto l’occorrente per la vacanza è rimasto nel bagagliaio dell’auto, dando il via a una catena di eventi e problematiche.

Nicolas ci viene presentato (punto di vista in terza persona) come un bambino “particolare”, stravagante, timido, con« la testa fra le nuvole», oppresso dal padre, che decide per lui, che cerca attraverso un’ iperprotezione smisurata di salvaguardarlo da ogni pericolo e frustrazione. Si  avverte subito, che c’è ossessione, qualcosa di patologico, di assurdo se vogliamo, nell’ atteggiamento dell’uomo che si impone alle buone e sagge regole del vivere civile comune, non permettendo al figlio di confrontarsi, relazionarsi stabilire amicizie e accordi, di crescere. Il disagio aumenta man mano che l’autore ci svela altri indizi. Singolare è la poca presenza della madre (e le sue capacità decisionali) di cui ritroviamo il fantasma in sottofondo (anche nella battuta finale) che si proietta come un’ombra, senza mai davvero apparire in carne e ossa.

Potremmo definirlo un romanzo di formazione, non in prima ma in terza persona, dove il protagonista non è un adolescente ma un ragazzino di dieci anni circa. Nicolas sembra uno stupido, ma in realtà ha un mondo interiore così ricco, articolato e con una sua logica, un animo così sensibile e suscettibile, da giustificare ogni sua azione, anche quelle all’apparenza più insensate. Ci si innamora subito di questo bambino così fragile e incompreso, che con le sue sventure riesce a conquistare subito Patrick l’animatore, ricambiato con fiducia e ammirazione. Patrick assume forse il ruolo di figura antitetica del padre (rigoroso, ossessivo, misterioso), con la sua indole solare, allegra, anticonformista, leggera e trasparente.

Anche se l’autore non ci mette in guardia su qualcosa di specifico, si avverte fin dall’inizio un senso di catastrofe imminente, qualcosa che deve accadere e che non sarà niente di piacevole.

Viene sfiorato appena il tema del bullismo, mettendo solo in risalto le coalizioni all’interno del gruppo scolastico, le regole del più forte (Hodkann) che sovverte il più fragile, e del gregge che segue il capobanda nelle buone e cattive azioni.

Da un punto di vista strutturale mi ha entusiasmato la modalità di narrazione. La storia si svolge nel presente, con flashback sul passato (in cui si apprendono notizie chiave sulla famiglia del piccolo Nicolas) e proiezioni future, ma la cosa che ho trovato più originale, è l’ipotesi continua che l’autore fa su ciò che può accadere facendo parlare il mondo immaginario di Nicolas, rendendoci partecipi diretti delle sue fantasie, paure, angosce, fantasmi interiori. Non è solo entrare nel suo punto di vista, vedere il mondo attraverso i suoi occhi, ma penetrare nella sua mente tormentata, nei suoi pensieri, nel suo modo di ragionare e interpretare ciò che accade intorno a lui, nella sua modalità, cioè quella di formulare possibili vicende future, da renderle altrettanto vere e tangibili come quelle reali. È come se la storia si aprisse a infinite storie, estese possibilità, ognuna non meno importante dell’altra.

Anche le descrizioni sono mirabili esempi di ottima scrittura, dove l’autore senza catalogare niente ci dice tutto:«Anche il pullman aveva l’aria di un animale addormentato: cucciolo dello chalet, stretto al suo fianco, che dormiva a occhi aperti coi suoi grandi fari spenti».Così quando descrive le sensazioni del protagonista: «Nicolas aveva l’impressione di ansimare, di correre a perdifiato dentro di sé, sbattendo contro le pareti, e al tempo stesso sapeva che dall’esterno niente di tutto ciò era visibile []; sembrava che gli organi di Nicolas, spaventati, cercassero rifugio il più lontano possibile dalla parete che quelle mani calde e sicure palpavano[]; Nei canali del suo cervello ostruiti dal gelo i pensieri non riuscivano più a circolare[];Combattuto tra il desiderio di riavere le sue cose e il timore di veder tornare suo padre[]; Provava la sgradevole sensazione di essere il nuovo arrivato a cui niente è familiare e che gli altri sicuramente prenderanno in giro».

Un passaggio che ho trovato particolarmente avvincente e tenero nel farci conoscere il ragazzino, è quando uscendo nella notte nevosa, preoccupato per ciò che è accaduto fra le lenzuola, Nicolas si fa coraggio, nell’abitacolo dell’auto di Patrick, paragonandosi alla Sirenetta, che per divenire donna dovrà in cambio perdere la sua meravigliosa voce; anche lui perderà la voce, morirà di freddo. Nella descrizione accurata della metamorfosi del corpo della Sirena ho intravisto la stessa trasformazione che ogni fanciullo o fanciulla dovrà affrontare al momento dell’adolescenza, momento di passaggio critico e fondamentale per ciascun essere umano. Un’altra riflessione che come un’eco mi è più volte tornata indietro, è che Nicolas appare “incosciente” sui fatti che riguardano la sua famiglia ma proprio perché è un bambino sveglio, come lo definisce Patrick, in realtà sembra che abbia intuito molto di più di ciò che pare, avvicinandosi a una verità che non gli è mai stata svelata, ma che nel suo intimo sembra custodire.

La maestria dell’autore è nel sapere mantenere sempre presente “il segreto”, sempre alta la tensione, prolungando la suspence, mettendoci alla fine un delitto inaspettato (almeno per me) che ingigantisce e continua ad animare l’attesa.

Tutto si cela tra le righe della narrazione, all’apparenza semplice e chiara, ma assai complessa, ben architettata: ogni parola ha un peso, un valore, non viene menzionata a caso, ma ritorna con puntualità e significato (il trasloco della famiglia, il braccialettino brasiliano e i desideri annessi, il padre che dorme giornate intere quando torna a casa e che rivolge domande senza senso e memoria…), insomma un complicato e affascinante marchingegno narrativo.

Il capitolo 26 che inizialmente non avevo compreso, trovandolo fuori contesto ai fini narrativi, è quello invece di maggiore spessore a un’analisi più attenta. Nicolas e Hodkann, si incontrano trentenni, quindi nel futuro, dove l’amico non se la passa granché bene e forse col rancore della menzogna e della beffa subita dal piccolo Nicolas, gli si scaglia contro con un coltello affilato. In queste poche righe l’autore ci ha ridato tutta la speranza che sembrava averci tolto nel finale con l’affermazione dell’animatrice sul destino del ragazzino: «Che vita potrà mai avere?» Ecco, qui si ha la rivelazione della redenzione di Nicolas. La sua salvezza è proprio in questa visione futura dove noi lettori possiamo intravedere che il dramma familiare, non ha creato “un diverso”, ma un adulto che riuscirà a condurre una vita ordinaria (la cartella sottobraccio ne rappresenta il simbolo).

Una lettura davvero sorprendente capace di mantenere alta l’attenzione e l’empatia verso il protagonista e i personaggi molto realistici, fino all’ultima pagina. Da leggere assolutamente.

A.C.

La settimana bianca di Emmanuel Carrère (Gli Adelphi 2014)

07 aprile 2023

CANTO DI NATALE di Charles Dickens

 

Davvero un piccolo cammeo questo breve romanzo di Charles Dickens, un prezioso gioiello narrativo che si ammira e apprezza dalla prima all’ultima pagina, un’incisione sottile e profonda che fa emergere la verità sui valori umani, i soli per cui vale la pena di vivere e morire.

 Scrooge è un uomo d’affari, cinico, egoista, animato soltanto dal desiderio di accumulare denaro, indurito dalla sua stessa avidità, ma anche profondamente solo, senza amici, colleghi, familiari al fianco, allontanati nel corso della sua esistenza. Sarà proprio la notte di Natale, come una folgorazione, a cambiare la sua sorte, a redimerlo, a dargli quell’opportunità e speranza di sfuggire a un destino di dimenticanza e oblio. Quale momento migliore del Natale - in cui tutti si vogliono bene, abbandonati antichi odi e rancori, uniti davanti a tavole imbandite più del solito, giocando, ballando, scherzando attorno al focolare insieme ai propri cari - per farlo?

Scrooge «duro e acuto come una selce […]chiuso, controllato solitario come un’ostrica» farà un viaggio fuori e dentro la sua anima, accompagnato da tre spiriti diversi, attraversando i Natali del passato, del presente e del futuro, arrivando finalmente a comprendere ciò che veramente conta nella vita, ovvero i sentimenti di amore, rispetto, solidarietà, carità, clemenza, pazienza, benevolenza verso gli altri. E qui, sta tutta la sua forza di scrittore, ritenuto il fondatore del romanzo sociale, proprio per l’attenzione e la denuncia delle condizioni sociali delle classi più disagiate, abiette, povere del suo tempo, mettendone a nudo la sofferenza, la fame, le difficoltà economiche e di salute.

Non è solo il Natale a regalarci l’incanto fiabesco, ma le atmosfere che fanno da sfondo al racconto, perlopiù cupe, tenebrose, oscure, come a voler mettere ancor più in risalto l’animo privo di luce del protagonista, sempre più solo e distante dalla felicità.

Narrazione ricca di affascinanti e originali descrizioni «Non è facile dire se fossero loro a entrare nella città o se fosse la città a sorgere dal suolo e a circondarli con il suo traffico»; «Vi erano mannelli di grappoli d’uva che, per la delicata attenzione del negoziante, dondolavano dai grossi ganci perché la gente che passava potesse avere gratis l’acquolina in bocca»;  «Gli occhi avevano un che di ansioso, di avido, di inquieto e svelavano la passione che avrebbe preso radici in lui, facevano intuire dove sarebbero cadute le ombre dell’albero che stava crescendo»; «La vecchia campana… battè fra le nuvole le ore e i quarti con rintocchi prolungati e tremuli, come se lassù le crocchiassero i denti nella testa gelata». Altrettanto azzeccate e divertenti le metafore e le similitudini: «Il vecchio Marley era morto come il chiodo di un uscio»; «Nebbia e brina assediavano l’androne della casa in maniera tale da far pensare che il genio stesso del freddo sedesse sulla soglia in cupa meditazione» e quante altre, arricchite da una vena umoristica come se la vita non andasse presa troppo sul serio.

Una lettura davvero amabile, che ci impone con la leggerezza di una favola, a far chiarezza anche dentro noi stessi, a porre ascolto ai nostri fantasmi, a ciò che hanno da dirci, perché non è mai tardi per cambiare strada e rimettersi sul sentiero giusto, quello dell’empatia, condivisione e partecipazione, unica soluzione per essere davvero felici e in pace con sé stessi.

 A.C.

Il Canto di Natale di Charles Dickens (Feltrinelli 2016)

02 aprile 2023

LA SCRITTRICE OBESA di Marisa Salabelle

 

La Scrittrice obesa, è il primo libro che leggo dell’autrice, Marisa Salabelle, consigliata da un’amica. Non poteva che intrigarmi un simile testo, dal momento che anche per me scrivere è una grande passione, unita alla lettura. Copertina e titolo sono assai invitanti: l’immagine della signora piena e abbondante di Tiziano Vercellio nel suntuoso abito porpora è senz’altro un punto a favore del libro, oltre al tema della scrittura, al fascino della letteratura e dell’arte dello “scrivere”.

Susanna Rosso è una giovane donna che ama la scrittura più di ogni altra cosa al mondo, parimenti solo al cibo di cui si nutre in maniera eccessiva e sregolata, tanto da diventare obesa. Orfana di padre, e poi anche della madre, rimane sola nell’appartamento di famiglia, dedicandosi soltanto alla scrittura, producendo racconti, romanzi, riflessioni, lettere a personaggi famosi e case editrici (Mondadori, Woody Allen, Ginzburg, Guccini, Tolkien, Roth, perfino Dio…) senza averne mai una risposta. In quelle lettere si avverte tutta la sua rabbia, l’odio ma anche la presunzione di non essere riconosciuta per quello che invece crede e sente di valere.

Colpisce subito la personalità di Susanna, (di cui seguiamo l’intero percorso di vita, giovane trentenne, donna matura e infine anziana), quel suo modo arrogante e presuntuoso di divorare il mondo (insieme al cibo), mondo che non l’ascolta, che continua a ignorarla nonostante le ripetute sollecitazioni. Ciò fa aumentare tutto il suo rancore, la frustrazione, l’insoddisfazione, che sublima sì scrivendo, ma riempiendosi fino all’ inverosimile di cibo malsano. Nemmeno Lorella, sua amica di infanzia, e suor Consolazione, che cercano di aiutarla, riusciranno a parte sporadici momenti, a farla deviare dalla sua folle discesa verso l’autodistruzione.

Nonostante sia una perdente, vittima di un destino che le rema contro (e quindi soggetto facile all’empatia del lettore), mi è stato difficile simpatizzare con lei, stare dalla sua parte, forse per questo atteggiamento troppo rabbioso, egocentrico, superbo e ostinato che non lascia spazio agli altri. Il suo continuo piangersi addosso e rimpinzarsi di cibo per colmare il vuoto dell’insuccesso, senza prestare ascolto a ciò che accade intorno, rifiutando il rapporto e il confronto diretto con gli altri, non me l’ha fatta amare.

Certo, ciò che Susanna afferma sull’editoria è molto vero, e spesso non basta il talento da solo a dar vita a uno scrittore apprezzato, occorre anche una buona dose di fortuna e conoscenze. Susanna può esserne l’esempio, ma non è certo l’autodistruzione, far terra bruciata intorno a sé, la modalità corretta per risolvere il problema.

In tutta sincerità, il personaggio di Susanna, non mi ha entusiasmato granché. Avrei voluto sentire e capire meglio le motivazioni, i pensieri, i veri sentimenti che ribollivano sotto tutto quel panno di grasso, oltre la rabbia e la frustrazione (sono le uniche emozioni che sono riuscita a percepire) di non riuscire a sfondare in quel talento che solo lei, Lorella e la suora riconoscono. L’ho trovata insomma un personaggio un po’ piatto, e anche la storia, la trama (che per me non è elemento fondamentale) piuttosto uniforme  (in cui si ripetono le continue abbuffate, le ordinazioni del cibo a domicilio, le liti con la vicina di casa…) senza consistenti alti e bassi da creare un ritmo più brioso e coinvolgente. Sicuramente è un mio gusto personale la scrittura più intimistica, quella che approfondisce più la psicologia del personaggio, le emozioni, i tormenti interiori, le paure, i dubbi, le sicurezze… e forse qui non ne ho trovata abbastanza.

La struttura del romanzo è sicuramente interessante e ben impostata, con l’alternanza dei punti di vista (in terza persona onnisciente e in prima persona quando parla Lorella, l’amica), altrettanto l’idea delle epistole o mail ai grandi personaggi (coloro che ce l’hanno fatta) in cui la protagonista esprime tutto il suo risentimento. Assai suggestivi sono i passi in cui Susanna, ormai chiusa nel proprio mondo, isolata da troppo tempo, immersa completamente nella scrittura, comincia a confondere la realtà con la finzione: i due mondi (realtà e immaginario) si fondono, formandone uno solo, unico e vero, ma soltanto per lei. Gli incontri tra Susanna e i suoi personaggi, i quali molto spesso si lamentano con lei per la sorte che ha destinato loro, sono davvero ben costruiti e memorabili. «Perché mi hai fatto i piedi palmati? Si può sapere  cosa ti è saltato in mente?» ,«Il cancro mi sta divorando, ho dolore indescrivibili!»,«Già mi ha dato un cognome assurdo, c’era bisogno che mi facessi venire pure la sclerosi multipla?»,«Sadica!», «Pervertita!», «Assassina!»

La scrittura è fluida, nitida, competente, sicuramente una piacevole lettura, anche se alla fine, per tutte le ragioni anzidette, mi ha lasciato una sensazione di mancanza, quel  vuoto che la protagonista avrebbe senz’altro riempito, con un bel bignè alla crema, o forse due.

 A.C.

La scrittrice obesa di Marisa Salabelle (Arkadia2022)


23 marzo 2023

TRE PIANI di Eshkol Nevo

 

Tre piani, tre storie, tre drammi familiari distinti ma collegati fra loro in un unico romanzo che li raccoglie tutti, completandoli. Un romanzo avvincente, che cattura e coinvolge subito fin dalle prime pagine, per la capacità dell’autore — che conosce e sa ben usare il cliffhanger — di tenerci continuamente agganciati alla storia. In tutte e tre i racconti infatti, siamo informati fin da subito che è successo qualcosa di piuttosto importante e grave, e tutta l’attenzione di noi lettori procede in quella direzione. 

La voce narrante, nei tre capitoli, è sempre la prima persona, che dal suo punto di vista si rivolge a un interlocutore ogni volta diverso, attraverso un dialogo aperto (nel primo caso è un amico dell’adolescenza, uno scrittore; nel secondo è un’amica d’infanzia; nel terzo, è il marito defunto della protagonista).

È proprio la struttura, l’architettura, il modo agile e ben costruito della trama, la capacità tecnica dello scrittore israeliano (finora a me sconosciuto) che riesce a creare questo complesso trittico, ciò che più ho apprezzato.

I tre piani possono rappresentare la coscienza dell’uomo, come l’autore suggerisce in riferimento a L’Enciclopedia delle idee di Freud, dove «al primo piano risiedono tutte le nostre pulsioni e istinti, l’Es. Al piano di mezzo abita l’Io, che cerca di conciliare i nostri desideri e la realtà. E al piano più alto, il terzo abita sua altezza il Super-Io» e ogni protagonista del rispettivo piano sembra rappresentare proprio queste peculiarità.

Il piano rappresenta anche la famiglia, come istituzione, nello specifico il modello familiare medio-borghese, con tutti i pregi e difetti, vizi e virtù, verità nascoste o dichiarate, sullo sfondo di una cittadina alla periferia di una Tel Aviv contemporanea. «Ogni famiglia è un pianeta a sé, e a volte serve la presenza di qualcuno atterrato lì da un altro posto per rendersi conto».

Al primo piano la vicenda si muove attorno alle congetture di Arnon, su un ipotetico abuso sessuale da parte del vicino di casa anziano, affetto da Alzheimer, sulla figlioletta Ofri di otto anni. L’ostinata supposizione e la ricerca morbosa della verità da parte di Arnon, porteranno conseguenze tali, che a causa di mosse azzardate e passi falsi, comprometteranno seriamente l’equilibrio familiare.

Al secondo piano vive Hani, una giovane donna, madre di due figlie piccole, costretta a crescerle da sola, perché il marito è fuori per lavoro anche per lunghi periodi. Le confessioni all’amica ce la rivelano come una donna fragile, ma lucida e intelligente: «Da otto anni mi trovo intrappolata — sì è questa la parola  — intrappolata nel mio desiderio di riuscire nella missione in cui mia madre ha fallito, e intanto la polvere del tempo mi ricopre, Neta. E io mi lascio ricoprire. Lo so che è un’immagine ormai logora, ma sono logorata anch’io. Non ho la forza di fingere un’allegria che non provo più». Una donna profondamente delusa, abbandonata, sola, che vede e sente parlare il barbagianni (il fantasma della sua coscienza, che poi diventano due) risvegliandole la paura di impazzire, di perdere il senno come già è accaduto alla madre. C’è in lei però tutta la volontà di resistere, di approfondire il dolore dell’anima, di scavare dentro sé per ritrovarsi, e la lettera sincera e appassionata all’amica lo testimonia. Anche qui c’è una tensione, quel detto all’inizio ma non detto chiaramente, che rivela fin da subito l’evento che ha spinto Hani a scrivere all’amica, quel segreto che solo a lei può raccontare, con la speranza di non essere giudicata. Anche qui l’espediente narrativo dello show don’t tell non manca: raccontare e far vedere Hani attraverso i sentimenti e le emozioni, la gioventù, le passioni, il servizio militare, il matrimonio, le maternità usando la formula del ricordo.

E infine al terzo piano Dvora, vedova, giudice in pensione, madre e moglie (combattuta tra i due ruoli, logorata dai sensi di colpa per non aver saputo conciliare l’affetto filiale a quello coniugale), donna tormentata dal senso di fallimento e inferiorità, nell’essere stata perenne appendice del marito. Si avverte forte il conflitto generazionale che crea a sua volta il difficile rapporto figlio - genitore, soprattutto in una società borghese dove le imposizioni culturali, sociali, ideologiche sono più sentite ed estremizzate. Ancora una volta sappiamo fin da subito che il figlio Adar ha abbandonato la famiglia ma non conosciamo la motivazione e la tensione è tutta lì, in questo mistero, che l’autore sa mantenere e destreggiare sapientemente. Qui colpisce più che mai la modalità di narrazione: Dvora racconta al marito tutto ciò che sta vivendo, attraverso messaggi lasciati alla segreteria telefonica dov’è registrata la voce del marito defunto, trovata per caso durante le operazioni di trasloco (anche qui perché il trasloco? L’autore ce lo dirà solo alla fine) trasformandola in una sorta di diario sonoro. In questa storia più che nelle altre due, si intuisce la realtà politica israeliana, il fermento delle rivolte giovanili contro ogni forma di potere, qualche accenno alla Shoah.

L’aspetto sorprendente e a parer mio più rilevante è che in tutte e tre le storie nonostante la tragicità degli eventi, si avverte sempre lo spiraglio di speranza, di un cambiamento possibile, di un rinnovamento inevitabile, che può essere interpretato a livello sociale «Qui sta succedendo qualcosa di straordinario: un’infinità di persone non più disposte ad accettare le cose come sono, credono ci sia una possibilità di riparare e per farlo si riuniscono in un unico luogo. È proprio una congiuntura speciale» e individuale nella frase finale di Dvora in cui spezzando la catena che la lega al marito asserisce:« D’ora in poi non si tratta più della nostra strada, amore mio, fiore mio, mia sventura. D’ora in poi è la mia strada».

La fugacità del tempo, della vita che scorre implacabile è meravigliosamente rappresentata con questa metafora: «La sabbia della mia vita sta per terminare, e quello che non chiedo oggi, chissà, potrei non aver modo di chiederlo domani». Così la riflessione sulla solitudine, come isolamento, che non ci permette di vedere la realtà: «Tutti soli non sappiamo nemmeno a che piano ci troviamo, siamo condannati a brancolare disperatamente nel buio, nell’atrio, in cerca del pulsante della luce».

Ben felice di aver scoperto l’autore, la sua scrittura  fluida, brillante, avvincente, ricca di originali metafore, una lettura piacevole, stimolante, intimistica che mi ha davvero entusiasmata.

Forse il tecnicismo può far perdere un po’ dell’ emozione, ma il risultato è senz’altro notevole.

 A.C.

Tre piani di Eshkol Nevo(  Neri Pozza 2017)

20 marzo 2023


Nasce l'idea, un'amica ti chiama: "Sto organizzando uno spettacolo con alcuni testi che ho scritto, mi farebbe felice averti nel gruppo". Ti fa piacere aderire al progetto, ma non ti senti all'altezza, le tue esperienze teatrali non sono così salde da affrontare il palco, esibirti nella maniera giusta, competente, e poi hai tanti altri impegni... "Devi solo leggere un brano". Quello si, lo puoi fare. Il testo ti piace, sembra creato apposta per te, aderisce alle tue forme senza una piega "Istruzioni per invecchiare bene", proprio il pezzo che avresti potuto scrivere tu, una riflessione sull'avanzare dell'età e come viverla nel modo più saggio. Le competenze di un amico ti guidano a impostare la voce, a darle spessore, calore. "Sarebbe meglio impararlo a memoria". Ci provi, sei scettica ma superate le prime difficoltà ci riesci.

Il tempo dall'idea al palco è breve, un respiro ritrovarsi tutte insieme in teatro il giorno della prima, ognuna fiera nella sua parte, forte del proprio carattere, peculiarità, esperienza, ognuna animata dal desiderio di dare il meglio di se. L'emozione è travolgente dietro le quinte, la stessa che riuscirà a creare la magia inaspettata dello scroscio di applausi, sorrisi, risate di un pubblico attento e accogliente.
In un attimo realizzi che quegli attimi, pensieri, impegni rubati alla routine della tua vita quotidiana, non sono stati vani.
Eva... e le altre regia Alberto Cavallaro, testi Barbara Carraresi

17 e 18 marzo 2023

11 marzo 2023

AGE PRIDE di Lidia Ravera

 

Inizio dal titolo per introdurre l’ultima lettura, Age pride, che potremmo tradurre “orgoglio dell’età”, ovvero una maggiore considerazione di un periodo di vita, l’ultimo, non vissuto quasi mai con fierezza. Il focus del libro di Livia Ravera è centrato sulla Terza Età o l’Età dei Grandi Adulti - come preferisce definirla - (forse prendendo spunto dalla lingua anglosassone), anche se non mancano argomentazioni sulle altre fasi della vita, i Paesi Stranieri, come li definisce l’autrice stessa. «Infanzia, adolescenza, giovinezza, maturità, vecchiaia. Sono paesi separati. Se si odiano l’uno con l’altro la colpa è degli stereotipi che li ingabbiano. Odiarsi tra vicini, è pericoloso, è così che scoppiano le guerre».

Ogni periodo della vita ha i suoi vantaggi e svantaggi e in questo libro Ravera ce lo spiega in maniera eccellente ed esaustiva andando oltre i pregiudizi e luoghi comuni. Credo che sia proprio qui l’innovazione di questa opera, superare ogni preconcetto e azzardare nuove teorie.

Sono solita riportare e commentare nelle mie recensioni le frasi per me più significative, ma devo dire che in questa occasione mi è assai difficile farlo, a meno che non voglia riscriverlo per intero. Ci proverò comunque.

La prima piacevole sorpresa è stato scoprire che non si trattava di un saggio, come viene pubblicizzato (non ci sono capitoli a separare gli argomenti, tutti fluisce come pensiero unico e collegato). Più che un saggio, anche se pone l’attenzione su principi, modi, regole che muovono il sentire umano, infatti sembra il flusso di pensiero ben strutturato dell’autrice, che avvalendosi delle sue conoscenze (non mancano interessanti citazioni letterarie, storiche, sociologiche), ci racconta in forma romanzata (attingendo anche dall’autobiografia) il mondo della Terza Età, reale e utopico.

Interessante come la scrittrice riesca a spiegarcelo e a renderlo come un privilegio, un’ opportunità, una possibilità di conquista, alleggerendolo dal manto negativo che da sempre e ancor oggi, si è portato addosso. Grazie al progresso della scienza, della medicina e chirurgia, è migliorato il tenore e lunghezza di vita, di conseguenza la popolazione anziana (che fino al secolo scorso non esisteva) oggi è presente e rappresenta una novità assoluta, una nuova generazione sperimentale, condizione che permette agli anziani di potersi inventare il proprio tempo, di proporsi senza modelli precedenti, e, aggiungo io, se la salute li accompagna. Con le parole dell’autrice: «Possiamo essere vecchi come ci pare. Questo che stiamo per attraversare è uno spazio vuoto, che prima non esisteva e adesso c’è. Ma bisogna avere il coraggio di arredarlo. Arredarlo, renderlo abitabile, perfino accogliente[…] Non c’è un modello da eguagliare o contestare. Dobbiamo crearlo noi il modello, mentre a tutti gli altri, i giovani, i maturi, gli adolescenti,tocca a fare i conti con il già dato, già stabilito. Già corrotto dalla ripetizione. Noi possiamo inventare. Anzi “dobbiamo” inventare, inventarci. Scrivere nuovi copioni. Ridisegnare i costumi».

Non è una bellissima prospettiva anche per chi come me non è ancora nel Terzo tempo, ma ci sarà fra non molto, se avrò fortuna?

Per le donne è più difficile accettare la decadenza del proprio fisico e ancora di più se si è concentrata tutta la vita sulla bellezza del proprio corpo, oggetto di desiderio sessuale. Venendo a mancare la bellezza, la donna può cadere in depressione, non assolvendo neanche più alla funzione che la distingue dall’uomo, la procreazione. L’uomo non ha questo problema, si può permettere le rughe senza essere disprezzato, può riprodurre fino alla fine dei i suoi giorni.« Le donne odiano invecchiare perché non riescono più a immaginarsi oggetti di desiderio e non hanno ancora imparato a immaginarsi soggetti di desiderio[… ]Non hanno ancora imparato a vivere da soggetti, le donne, invece di pomparsi il seno, spianarsi la pelle o mettersi il vestito della festa, sperando di rassomigliare a qualcun’altra, fosse pure la ragazza che sono state. Aspettano le donne, anche se spesso non se ne rendono conto, di essere scelte. Si comportano da ninnoli, non sembrano capaci di portare a termine questa piccola grande rivoluzione individuale e universale: imparare a vivere da soggetti».

“Scegliere, non essere scelte, essere soggetto e non oggetto di desiderio” è un concetto davvero illuminante, dovremmo scriverlo sulla porta a caratteri cubitali quando usciamo di casa ogni mattina. In un periodo come il Terzo Tempo della Vita, dove ancora non sono state scritte e vissute le modalità di comportamento, dove tutto è ancora da sperimentare, quale occasione migliore per fare ciò che ci piace, ci gratifica, arricchisce, completa, realizza? Certo dobbiamo fare i conti con un fisico che non sarà prestante come un tempo, ma salvo malattie, possiamo lavorare su noi stesse, attuando quel cambiamento, che come dice Ravera, riferendosi in particolare alle donne, ci trasformi da Oggetto (quali siamo sempre state) a Soggetto.

E qui faccio un inciso. La donna è un oggetto anche se non vuole esserlo. Io stessa ricordo lo sguardo addosso degli uomini nella mia adolescenza e maturità, le esclamazioni di apprezzamento di una parte del mio corpo, a conferma. Avrei voluto sottrarmi volentieri a quegli sguardi, passare inosservata, privilegio che invece oggi mi è concesso.

Divertente la stesura della carta dei Desideri, un decalogo di regole e comportamenti atti a vivere il Terzo Tempo nel migliore e più fruttuoso dei modi, facendo nuove conquiste (non quelle amorose e passionali di un tempo) indirizzate a riappropriarsi del proprio sé, della propria identità, autenticità.

Condivido e lo sperimento ogni giorno, lavorando per un’utenza che abbraccia tale periodo, il fatto che non è assolutamente vero che la vecchiaia abbrutisce, rende la persona sofferente, lamentosa, indisponente; tutto dipende dal carattere, «così come il carattere guida l’invecchiamento, l’invecchiamento disvela il carattere». Ci sono anziani che hanno davvero molto da dire, raccontare, insegnare.

La solitudine, frequente negli anziani rappresenta una piaga sociale di rilievo, associata spesso alle difficoltà economiche e alle patologie. Ecco un altro obiettivo prioritario di cui la politica dovrebbe farsi carico, ma di cui si parla invece ben poco. Si potrebbe in tal senso, come dice Ravera «smettere di rottamare l’intelligenza dei vecchi e di sprecare l’intelligenza dei giovani», in un ottica di collaborazione si potrebbero creare meravigliosi progetti.

Non mancano riflessioni sul fine vita: «la morte è sempre un ospite di riguardo. Ci fa abbassare la voce», una grande verità in una semplice e palese constatazione. Oppure «Abbiamo bisogno di imparare a morire. Di parlarne. Di immaginare anche l’ultimo dei paesi stranieri, il più straniero di tutti. Se ne parliamo, fra giovani e vecchi, fra adulti e bambini, fra donne e uomini, avremo meno paura di vivere. Tutti». E infine questa che mi risuona particolarmente: «Se gli eventi di vera discontinuità sono la nascita e la morte, la fine dovrebbe essere celebrata con la stessa commossa allegria con cui si accoglie l’inizio».

E non posso fare a meno di riportare anche la citazione sulla quarta di copertina, e concludo davvero: «La vita finisce quando tutto si ferma […]Bisogna restare agili. Non giovani, agili. Flessibili. Bisogna imparare a muoversi a tempo nel Tempo. senza ostinarsi all’imitazione di modelli scaduti. Ma senza nascondersi. Soprattutto senza nascondersi».

Una lettura davvero arricchente per i concetti e i valori che l’autrice rivela con una capacità espressiva semplice ma sorprendente (sembra dar voce ai propri pensieri), per la scrittura coinvolgente, fluida, dallo stile raffinato e conciso, colto, in cui fanno da cornice stimolanti citazioni di grandi personaggi, come Beauvoir, Montaigne, Freud, Jung, Cicerone…

Un saggio che si legge come un romanzo, che nonostante il tema all’apparenza poco stimolante per gli stereotipi, i pregiudizi insiti, consiglio con grande convinzione a tutti, se non altro per l’infinito messaggio di speranza che l’autrice riesce a trasmettere e a dimostrare, grazie alla sua penna, intelligenza ed esperienza sicuramente legate all’età.        

A.C

Age Pride -Per liberarci dai pregiudizi sull’età di Lidia Ravera (Einaudi 2023)

05 marzo 2023

TURCHINA di Elena Triolo

 

Incuriosita dal personaggio della famosa fata di Pinocchio (sulla quale ho scritto un racconto di prossima pubblicazione), ho partecipato proprio ieri alla presentazione di Turchina, una graphic novel di Elena Triolo, sebbene non conoscessi l’autrice e il genere narrativo. Ebbene, mi si è aperto un mondo. Ho iniziato la lettura subito dopo l’acquisto e non mi sono più fermata, apprezzando ogni singola frase, immagine, fumetto, perfino il logo di Bao, rivisitato dall’autrice e il salto finale del grillo. Credo che dovrò rileggerlo, con la lentezza utile e necessaria se vorrò apprezzarne ogni singolo dettaglio (e ce ne sono davvero tanti).

Non so davvero da che parte cominciare per esprimere il mio alto gradimento indirizzato alla rappresentazione grafica, espressività dei personaggi, cura dei particolari, ricostruzione storica, ambientale e sociale di Sesto Fiorentino nel secolo scorso, curiosità e aneddoti legati al personaggio di Carlo Lorenzini, Collodi, autore di Pinocchio romanzo uscito a puntate, dal felice successo.

L’aspetto interessante di questo libro, oltre al disegno che trovo delizioso e godibile da un punto di vista visivo, è la storia di un personaggio secondario (ma non più di tanto), ovvero di colei che ispirò il personaggio della fata turchina, Giovanna Ragionieri, cameriera presso la residenza di Villa il Bel Riposo, a Castello dove Carlo Lorenzini  trascorreva le vacanze estive. Carlo conobbe Giovanna quando era piccola, e giocava nella villa dove il padre era giardiniere. Fra i due nacque una forte e solida amicizia (e su questo sono d’accordo con l’autrice) che andava al di là di ogni convenzione e impedimento sociale, tanto che lo scrittore volle immortalarla nel suo romazo nelle sembianze della fata turchina, figura, come tutti sappiamo, che ammaliò e condusse sulla buona strada il burattino di legno.

Azzardo la definizione di opera autobiografica (perché l’autrice narra la vita di Giovanna Ragionieri dall’infanzia alla morte), anche se non mancano elementi di finzione, in cui Elena mette in atto la fantasia (in maniera eccellente) compensando perciò le mancanze dovute alla scarsa documentazione in merito. Tra le righe della storia, si intuisce il grande lavoro di ricerca e documentazione che ha impegnato l’autrice nella ricostruzione di un periodo storico, sociale (non facile per una piccola realtà come quella sestese), per restituircelo vero e plausibile.

Altro aspetto che ho apprezzato molto è la struttura della narrazione, ovvero l’impostazione della storia, sempre ben datata, che si svolge come un dialogo continuo, una corrispondenza aperta tra Giovanna e lo scrittore, in cui entrambi si rivelano al lettore, esprimendo emozioni, pensieri, sentimenti trasportandoci e coinvolgendoci nel loro complice e meraviglioso rapporto. Rilevante  anche (e qui ci sarebbe da aprire una lunga parentesi) l’aspetto del femminile di Giovanna – la prima mestruazione, il matrimonio, il rapporto coniugale, la maternità, la maturità e la vecchiaia – trattato dall’autrice con una sensibilità dolce e rassicurante, unica, direi.

Anche la tematica della morte, l’immagine dantesca di una barca a traghettare le anime sull’altra sponda, è rappresentata e vissuta (termine non proprio appropriato per un defunto) con leggerezza e ironia.

Altro merito del libro è la rappresentazione di alcuni avvenimenti e riferimenti storici che hanno caratterizzato la storia di Sesto Fiorentino, come la strage del Collegino di Colonnata, il bombardamento dell’8 febbraio 1944 in via delle Porcellane, in cui persero la vita 23 bambini insieme al parroco, scambiati dagli alleati per soldati; l’importante e florida Manifattura di porcellane  Richard Ginori; l’esistenza del Teatro Niccolini nel centro di Sesto, demolito negli anni sessanta; l’isola di Santa Croce e del “mare sestese”, insomma, un modo originale e affascinante di ripercorre e mantenere viva la memoria di un paese se non altro per non ripetere gli stessi errori.

Gradevole e non trascurabile (e qui concludo) è il buon odore, fresco di stampa del libro, anch’esso parte integrante nella lettura, che alimenta altrettanta magia e incanto.

Insomma un libro davvero delizioso in tutti i sensi, che consiglio a grandi e piccini, con l’augurio sincero che superi i confini geografici e come la storia di Pinocchio, faccia ingresso in tutte le case del mondo. 

A.C.

Turchina di Elena Triolo ( Bao Publishing 2023)


27 febbraio 2023

QUADERNO PROIBITO di Alba De Cespedes

 

Sono davvero entusiasta della lettura di un’autrice di cui avevo sentito solo parlare senza riuscire a trovare un suo romanzo. La curiosità mi ha premiata, scovandola tra un mucchio di libri su una bancarella dell’usato.

Valeria è una donna quarantatreenne, sposata con due figli, Riccardo e Mirella, che vivono ancora in casa, laureandi. Siamo nel 1950, la guerra è finita da poco, mentre si avverte tutta la tensione e il desiderio di rinascita e speranza, oscurate a tratti dall’incertezza di una nuova guerra. Valeria proviene da una famiglia benestante, che per investimenti sbagliati, per gestioni familiari non corrette, ha dissipato il patrimonio e ora per far quadrare il bilancio familiare, è costretta anche lei a lavorare. Lavora come impiegata in un ufficio, ma oltre questo ha tutto il carico della famiglia sulle spalle. Il quaderno è il rifugio, “la stanza tutta per sé” che le permette di resistere, di avere un dialogo sincero con qualcuno (chi meglio di sé stessa?), il luogo fisico e mentale dove ritrovarsi, mettersi in discussione, fare ipotesi, darsi delle risposte, illudersi, perché no? Sognare.

Nel diario sviscera i suoi pensieri, li seziona, cerca di trovare soluzioni alle difficoltà dei rapporti familiari, tra lei e suo marito Michele, unico uomo della sua vita, tra lei e i figli, così diversi, così distanti, e irraggiungibili.

Quaderno proibito è un romanzo sottoforma di diario, in cui l’autrice dialoga con sé stessa e al contempo col lettore, rendendolo partecipe e complice dei pensieri più intimi, delle sue paure, incertezze, sensi di colpa, progetti, desideri…

L’aspetto della illegalità del quaderno va oltre al contenuto che Valeria gelosamente custodisce, ampliandosi all’atto dell’acquisto quando di domenica mattina è possibile solo la vendita dei tabacchi. Lo stesso tabaccaio ribadisce: Non si può, è proibito, quando Valeria chiede insistentemente di venderglielo.

Un romanzo che si legge tutto d’un fiato, sorprendente e intimo, con la sensazione di rubare qualcosa alla protagonista, i suoi pensieri più segreti, con la premura di conservarli e mantenerli al sicuro nella nostra mente.

Quaderno proibito di Alba Cespedes (Oscar Mondadori 1970)

12 febbraio 2023

UNA DONNA SPEZZATA di Simone De Beauvoir

 


Una raccolta di tre racconti, Una donna spezzata,  L’età della discrezione, Monologo, pubblicata nel 1967.

Una donna - tre donne - col proprio calvario, che tenta, attraverso la scrittura, di alleggerire, di giustificarlo, di sublimarlo.

Tre donne diverse ma uguali nel dolore di un’esistenza dapprima favorevole che all’improvviso presenta il conto, troppo alto, esagerato per le loro possibilità.

Monique, donna affascinante, moglie felice e madre soddisfatta di due figlie già adulte, si ritrova ad un tratto, sola, priva del sostegno, amore, dedizione che il marito le aveva riservato in maniera esclusiva fino ad allora, poiché un’altra donna si è insinuata fra i due e alla quale lui non sa rinunciare.

La seconda (non c’è nome) è una donna matura, ultrasessantenne, scrittrice, entusiasta della vita e piena di ideali, felicemente sposata con un ricercatore che entra in conflitto e in crisi per l’allontanamento del figlio, Philippe, deciso a farsi strada nel mondo opponendosi all’ideologia dei genitori.

Infine il monologo tragico, corrosivo, disperato (come il grido di Munch), di Murielle, donna giovane tormentata dai fantasmi del passato, la figlia diciassettenne morta per suicidio (lo si scopre soltanto in chiusura) di cui la madre la incolpa, i mariti che l’hanno abbandonata, il figlio a cui è stato tolto l’affidamento, attraverso una scrittura rabbiosa, vomitata di getto, dove la mancanza di punteggiatura ricalca proprio tutta l’urgenza e angoscia del suo vivere interiore.

Tre donne unite da un destino che le vuole perdenti, ma che attraverso la forza della scrittura cercano di riappropriarsi, nel tentativo di riconquistare il ruolo che il mondo ha tolto loro, alla ricerca di una rinnovata identità.

 

A.C.

Una donna spezzata di Simone de Beauvoir ( ET scrittori 2014)

06 febbraio 2023

IL RAGAZZO di Annie Ernaux

 

Ancora un altro libro della scrittrice francese, qualcuno potrà commentare. Lo so, sono un po’ seriale nelle mie letture. C’è poco da fare, quando uno scrittore, un’autrice nello specifico, mi prendono non posso fare a meno di scoprire ogni sua opera. So bene quindi che non finirà qui.

Il ragazzo è una storia assai accattivante, non autobiografica a differenza delle altre in cui è palese, anche se, come sappiamo, tutto quel che si racconta ci riguarda e ci tocca in prima persona, ma non è questo il punto, l’aspetto  che ci interessa del libro.

Una donna cinquantenne, un’ insegnante, narra la sua relazione con un ragazzo più giovane di lei trent’ anni. Due generazioni a confronto, che si incontrano su un piano, quello sessuale, assai improbabile e poco comune per quella che è la consuetudine, che vuole la donna di una certa età, ormai sfiorita, disinteressata e non più incline a certe pulsioni. La protagonista invece vive il rapporto con tutto lo slancio e la stessa passione di quando era giovane, facendo forza proprio sulla maturità conquistata nel tempo, tanto da uscirne vincitrice in questa relazione impari. Passato e presente si intrecciano, la memoria riveste e adorna il presente, la bellezza fisica della giovinezza perduta viene sostituita da quella interiore, dal fascino di una maggiore esperienza e consapevolezza del mondo, che la fa apparire sublime agli occhi del giovane amante.

Un’analisi profonda, accurata di un rapporto anticonvenzionale, in cui pensieri, azioni, emozioni, sentimenti sono narrati con maestria anche nel minimo dettaglio.

Un racconto, più che un romanzo, che si legge tutto d’un fiato, una scrittura scarna, essenziale - peculiarità dell’autrice - ma comunque intensa e piena di pathos.

Completano l’opera tre riflessioni sulla scrittura, sulla condizione femminile e la memoria di cui voglio condividere questo passaggio: «Spesso il coraggio non è altro che l’impossibilità di vivere senza compiere un dato gesto, e io sentivo con intensità crescente che la scrittura[…] non sarebbe stata necessaria nè avrebbe avuto alcuna giustificazione se non fosse stata, per prima cosa, un’immersione in ciò che avevo dimenticato, nel mio primo mondo, proprio per comprendere come e perché l’avessi dimenticato».

Ancora un altro gioiellino, da non perdere.

A.C.

Il ragazzo di Annie Ernaux (L’orma Editore 2022)

23 gennaio 2023

CONFESSIONI E BATTAGLIE MARIE THERESE e ALBA di Erica Gardenti Cassigoli e Nicoletta Manetti

 


Questo breve romanzo è la storia di due donne, Marie Therese Walter e Alba De Cespedes, che attraverso la voce di Erica Gardenti Cassigoli e Nicoletta Manetti chiedono ascolto, riscatto di un’esistenza vissuta all’ombra di uomo troppo ingombrante e pieno di sé l’una, e nella dimenticanza e superficialità di un’epoca, l’altra.

Un vero gioiellino, una breve opera di prosa carica di poesia, quella che arriva diretta, che fa vibrare le corde dell’anima. Due testimonianze sotto forma di lettera, che raccontano pensieri, sentimenti, emozioni di due donne che hanno lasciato un segno, senza far troppo rumore.

Marie Therese, fotografamodella e amante di Picasso, con le sue confessioni alla figlia Maya (avuta dalla relazione con il pittore) ci regala un ritratto davvero unico e sconosciuto di un uomo pieno di sé, egoista, egocentrico, a volte brutale che percepiva il mondo «disgregato L’aveva così osservato e voleva farlo così suo, che è stato costretto a spezzettarlo per portarlo tutto dentro di sé» Un’osservazione davvero originale e profonda, una fra le tante in questa dichiarazione scritta con uno stile preciso, curato, poetico in cui ogni parola ha il peso e il posto giusto.

Alba de Cespedes, scrittrice e giornalista, si rivolge invece a tutte le donne con un accorato appello a continuare a lottare, a non arrendersi mai di fronte all’ingiustizia, a mantenere le conquiste ottenute con sacrificio, perché il passo indietro è breve, di denunciare attraverso le parole; ci elenca le sue battaglie attraverso le testimonianze dei suoi personaggi – Xenia, Alessandra, Francesca, Valeria – invitandoci a proseguire il cammino femminile (non femminista) ostacolato da secoli di pregiudizi, paure e ipocrisie.

«La libertà è una lotta quotidiana»;  «Le parole erano il mio strumento di giustizia, una battaglia di genere in un periodo in cui si voleva la donna solo riproduttrice, madre, moglie. E muta»; «Una volta dette, le cose non sono più invisibili: si rompe la congiura tra il silenzio e la convenzione. Le parole vivono e fanno vivere»; «Lo scrivere e il parlare hanno il potere di farci cambiare la nostra posizione del mondo, la percezione di noi stessi» e queste sono solo alcune delle numerose gemme di cui questo libriccino è pieno. Mi fermo qui per non svelarvi troppo e epr lasciarvi il piacere della scoperta.

Ve lo consiglio fortemente, perché oltre a far la conoscenza con due personaggi dimenticati dal tempo potrete gustarvi una prosa deliziosa e stimolante, davvero ben scritta. Leggetelo.

A.C.

IL POSTO di Annie Ernaux

 

Il posto è un altro bellissimo libro autobiografico di Annie Ernaux, in cui stavolta l’autrice ci parla del padre, uomo di origine contadina, nato in Normandia agli inizi del secolo scorso, operaio, soldato e poi commerciante nel negozio di proprietà insieme alla moglie. Anche in questa opera l’autrice ci regala un quadro emotivo dettagliato e preciso sul contesto ambientale, sociale , relazionale e sul rapporto che li univa.

I ricordi appaiono in maniera improvvisa, come foto scattate a raffica, immagini forti ed esaurienti, narrate con sapienza, essenzialità, senza orpelli a far da cornice. Ne emerge l’ immagine di un uomo semplice, amante della natura e del giardinaggio, che si è fatto strada da solo, onesto, di sani principi e valori, umile, allegro e a volte goliardico tanto da dire qualche volgarità, un uomo senza ambizioni, senza titolo scolastico, ma che conosce gli uomini e i loro sentimenti, che accetta ciò che ha, «con la certezza che “non si può star meglio di come siamo”», un uomo «non infelice».

Interessante il fatto che l’autrice abbia reso omaggio a entrambi i genitori – in due libri distinti e in modo assai diverso – ripercorrendone le tappe fondamentali dalla nascita (e anche prima) fino alla loro morte, senza un ordine prettamente cronologico, ma trasportata dal vento dei sentimenti.

Annie Ernaux sa scavare nell’animo umano con la perizia e la precisione di un chirurgo, sa usare le parole in modo impeccabile, con una capacità di sintesi rara, sapendo cogliere ogni sfumatura, anche la più sottile come in questo passo, quando parla del padre già morto: «Mi sembrava che quei preparativi non avessero alcun legame con mio padre. Era come una cerimonia alla quale lui, per un motivo qualunque, non avrebbe potuto partecipare».

Mi sono interrogata anche sulla scelta dei titoli.  Il libro Una donna, in cui l’Ernaux omaggia la madre, sembra sottolineare proprio nel titolo l’essenza che la caratterizzava, ovvero la potenza della sua femminilità, da cui trae tutta la forza creatrice, che la fa muovere e affermare nel mondo. Per il padre, invece il titolo è Il posto ( non “Un uomo” come mi sarei aspettata), forse perché il suo ideale, la sua continua ricerca era essere nel posto giusto, oppure «Il timore di essere “fuori posto”, di avere vergogna». Come quando l’autrice afferma che era un uomo che non beveva. Cercava di “tenere il suo posto”. Sembrare più commerciante che operaio».

Altra differenza che emerge con evidenza, è la lontananza emotiva tra padre e figlia, la distanza caratteriale, in cui risaltano ancora più marcati i pochi momenti di condivisione che la scrittrice descrive con semplicità e amore: «Mi portava da casa a scuola sulla sua bicicletta. Traghettatore fra due sponde, con la pioggia e con il sole ». Con la madre, nonostante la conflittualità, sono frequenti le descrizioni e le manifestazioni di complicità, di amore e odio.

Una scrittura che ho trovato ancora più schematica, asciutta della precedente ma non per questo meno analitica e particolareggiata, rivelando una sensibilità unica che è impossibile non apprezzare.

A.C.

“Il posto” di Annie Ernaux (L’orma editore 1983)


21 gennaio 2023

ANGELI DELLA NOTTE di A.J.Cronin

 


Mi sono trovata fra le mani questa vecchia edizione Bompiani del 1950, e incuriosita dal titolo e dall’autore (conosciuto per “La Cittadella”in attesa sul mio comodino), ne ho letto l’incipit con il proposito di farne un piccolo assaggio e nel caso, metterlo sotto la pila dei libri da leggere.

La storia mi ha subito coinvolta, forse perché parla del mio mondo, della mia professione, forse perché scorre immediata e accattivante, forse perché è semplicemente scritta bene.

Protagonista è Anne Lee, infermiera diligente e seria che svolge il suo lavoro con competenza, passione e dedizione. La affianca la sorella Lucy, spavalda e superficiale, che per una grave negligenza sconvolge la vita e i buoni propositi di Anne, costringendola a lasciar l’ospedale dove lavora. Fra le varie vicissitudini delle due donne, si inserisce anche una stupenda storia d’amore, dove il dottor Prescott, uomo tutto d’un pezzo, chirurgo stimato e scrupoloso, la cui unica missione è il lavoro e la carriera, è costretto a cedere ai dardi dell’amore.

Lo si potrebbe definire un romanzo rosa per l’intreccio amoroso che emerge potente e attraente, ma in realtà va oltre questa limitazione in quanto rivela molto di più, come l’aperta denuncia sul ruolo e sulle condizioni delle infermiere, tanto osannate e ricercate nel momento della necessità e poi lasciate morire in solitudine (l’infermiera non doveva sposarsi) e in povertà. Emerge forte anche la differenza sociale tra la figura del medico e dell’infermiera, sua subordinata, aspetto questo per fortuna superato. Un libro datato nel costume e nello scenario – siamo agli inizi del Novecento – ma che riproduce alla perfezione alcuni meccanismi umani, che riguardano sentimento ed emozione, e (purtroppo) anche molte carenze economiche e professionali. È incredibile come una storia di cento anni fa sia quanto mai così attuale, e che ben poco sia cambiato, nonostante il notevole progresso economico e tecnologico, e ne parlo da testimone diretta. Si è vero, oggi i ruoli di medico e infermiera son ben distinti, le malattie sono più curabili, non si muore più per molte patologie infettive (anche se il Covid ha rimesso in discussione molte nostre certezze), ma sostanzialmente tante carenze, come la mancanza di beni e presidi nelle strutture ospedaliere, il deficit di operatori sanitari, le scarse retribuzioni economiche degli stessi, sono e rimangono ancora vive nella realtà attuale dei nostri ospedali.

E qui ci sarebbe tanto da aggiungere, ma mi attengo al libro, e continuo apprezzando la capacità analitica dell’autore, osservatore acuto e sensibile che riesce a regalarci attente e dettagliate descrizioni, come nella frase «il suo orecchio acuto ed esercitato seguiva, attraverso i suoni lontani, il ritmo della vita dell’ospedale», per indicarci la scrupolosità e professionalità della protagonista.

Anche se non sono rimasta folgorata dallo stile, è un libro comunque interessante che consiglio a chi desidera una lettura leggera, nostalgica e sentimentale.

A.C.

Angeli della notte di A.J.Cronin (Bompiani 1950)