TROPPA MEDICINA - Un
uso eccessivo può nuocere alla salute di Marco Bobbio
Fare di più non
significa fare meglio
La medicina ha migliorato di gran lunga la nostra vita,
grazie ai progressi della tecnologia, dell’informatica, della ricerca clinica e
scientifica ma di pari passo non c’è stato sempre in maniera proporzionale,
altrettanto beneficio e benessere in termini di qualità e dignità di vita. Infatti il progresso può rivelarsi anche
un vincolo, una catena che ci lega ancor di più mani e piedi, che immobilizza
il corpo oltrepassando il suo naturale e fisiologico processo, se non usata con
sapienza e intelligenza. Come dice Bobbio, troppa medicina può danneggiarci
anziché farci star bene, «può provocare
effetti peggiori di quelli che si sarebbe voluto evitare».
Il problema è che la medicina è nata per guarire, e là dove questa
attribuzione gli è impossibile, si defila dall’incarico. Dice Bobbio, citando
le parole di Richard Smith direttore di una importante rivista americana: «Non fa male ricordare che la morte è
inevitabile, che la maggior parte delle malattie non può essere guarita».
Fare sempre qualcosa è davvero la miglior cosa da fare? Il
nuovo, le procedure più sofisticate sono sempre le migliori? Risolveranno
davvero ogni problema di salute? Anticipare la diagnosi può essere sempre utile?
I rischi potenziali vanno sempre trattati con farmaci? Dobbiamo sempre
ostinarci al trattamento o c’è un momento in cui dobbiamo fermarci? Questi e
altri quesiti popolano il libro, esortandoci a riflettere sulle nostre
insicurezze e paure, a ponderare la cura e l’assistenza, a confrontarci in una
visione sempre più centrata sui reali bisogni della persona.
La Slow Medicine,
di cui Marco Bobbio fa parte (membro del Gruppo direttivo), risponde molto bene
a questi interrogativi, e lo fa con tre parole, aggettivi chiave: medicina sobria, rispettosa, giusta.
Una medicina
contenuta, misurata senza eccessi inutili (oltretutto sfavorevoli alla
persona).
Una medicina
rispettosa, che considera la volontà della persona, in linea con le risorse
disponibili, di buona qualità.
Una medicina giusta,
appropriata, su misura della persona, che riduca gli sprechi per garantire
equità delle cure e sostenibilità.
Purtroppo non sempre è facile adottare il sobrio, rispettoso
e giusto atteggiamento, anche se condiviso dal medico, perché subentra la paura
di eventuali sanzioni e provvedimenti disciplinari, se il medico incorre in
errori per omissione di esami a conferma di diagnosi, per esempio. La medicina difensiva è proprio questo,
prescrivere esami, farmaci, trattamenti inutili per evitare contenziosi più che
per reale necessità, senza un effettivo vantaggio per la persona. «La medicina difensiva peggiora la qualità
dell’assistenza sanitaria, incoraggiando procedure inutili e un crescendo
difficilmente controllabile di risultati ambigui o falsamente positivi».
La ricerca della certezza, al quale viene dedicato un intero
capitolo, dice Bobbio, può essere
deleteria, non solo in termini di costi e sprechi, ma soprattutto per integrità
della persona, che non “si dà pace” senza una diagnosi, o una cura a
risoluzione del suo problema. Su questo mi viene da riflettere su quanto la
certezza sia un valore fluttuante e mai assoluto nella durata della vita
stessa, di certo non esiste niente, ciò che è vitale è mutabile per sua natura,
trasformabile e quindi in antitesi con la certezza, stabile, sicura, ferma.
Purtroppo il sistema consumistico ci ha portato a un
apprezzamento della quantità a scapito della qualità: siamo progettati per
fare, sempre di più, sono i numeri che contano, più dei contenuti del messaggio
da dare.
C’è una mancanza di
formazione inerente alla comunicazione tra medico e paziente nello
stimolare le sue capacità decisionali. Non solo, il medico è impreparato a
gestire l’emotività dell’altro.
«I medici farebbero
meglio ad accompagnarli (i pazienti) nella
decisione, aiutandoli a mettere insieme le numerose tessere, spesso molto
personali, che caratterizzano sempre una scelta complessa».
«È più facile fare
che non fare. La rinuncia è sinonimo di
abbandono, abdicazione, astensione, cedimento, cessione, digiuno, distacco,
forfait, mortificazione, privazione, resa, rifiuto, ritirata, sacrificio,
vendita».
Tutti questi aggettivi parlano da soli, e ce la dicono lunga sull’accezione
negativa del termine.
Eppure a volte è bene arrendersi, accettare, constatare che
è il momento di fermarsi; il che non significa che dobbiamo lasciare il campo,
interrompere e terminare il gioco, anzi, è questo il momento giusto per
cominciare a fare qualcos’altro. E il gioco cambia prospettiva e direttiva, non
più nell’ottica della guarigione ma in quella della presa di coscienza dei
propri limiti, della consapevolezza del proprio essere, nel contenimento dei
sintomi invalidanti e scomodi, quali il dolore cronico, in una visione
realistica e oggettiva. Le cure palliative
rientrano in questo raggio d’azione.
Mi piace la frase: «L’equilibrio
tra accanimento e abbandono è delicato, i medici dovrebbero assimilare il
concetto che “rinunciare non è sempre un male”; in molti casi può essere una
scelta conveniente per quella persona […] una rinuncia può essere una scelta
positiva, consapevole e rispettabile. Magari, l’unica accettabile per quel
paziente».
Sugli screening di prevenzione non mi trovo invece molto
d’accordo. Sono una persona che cerca di condurre uno stile di vita sano ed
equilibrato, di fare tutto quello che è nelle mie facoltà per mantenere
l’equilibrio del corpo, in uno stato di
benessere fisico, psichico e sociale che so bene non essere completa assenza di
malattia. Insomma, credo che dobbiamo volerci bene, e fare il possibile per
onorare questa impalcatura che ci è stato offerta, proprio come un dono. So
bene che questo non mi esonererà da problemi futuri, che potrò ammalarmi
anch’io di patologie i cui fattori favorenti ho cercato di scansarli n tutti i
modi, ma almeno potrò dire alla fine della storia di aver fatto del mio meglio,
cercando e scegliendo la strada dell’amore e del rispetto. Per questo mi
sottopongo volentieri agli screening, forse come testimonianza e valutazione del
mio impegno. Ovviamente pagandoli non tolgo spazio e tempo a nessun altro che
può avere più bisogno di me.
Ma condivido l’ osservazione dell’autore: «Uno screening è utile quando all’aumento del
numero di diagnosi corrisponde una riduzione della mortalità per quella
patologia[…]
lo screening è invece inutile quando svela patologie irrilevanti. La mortalità
non varia anche se i tumori vengono scoperti e trattati. Lo screening è
addirittura dannoso, quando all’aumento della diagnosi, non corrisponde una
mortalità specifica».Il problema a questo punto è: «Ma come facciamo a sapere a
quale delle tre categorie apparteniamo?»
Concordo sull’idea che ci sono davvero troppi conflitti
d’interesse e ritorni economici che fanno muovere il mercato della sanità, ambito
in cui non dovrebbero proprio mettere il naso.
Sul tema degli sprechi quanta verità, e non solo nell’ambito
della sovraprescrizione e sovratrattamento!
Insomma per concludere anch’io la mia analisi, più che una
recensione, sottolineo di nuovo i punti di forza di questa nuova concezione di
approccio alla medicina e termino con questa citazione a parer mio riassuntiva
ed esauriente: « Il compito del
medico, che dispone di un numero sempre crescente di strumenti, è anche quello
di capire quando è meglio attenersi alle regole generali, quando deviare e
addirittura quando consigliare di non procedere […] la non- cura è tanto efficace quanto la cura».
E ancora:«
non ci possiamo illudere che la medicina garantisca lo stato di perfetta
salute, ma aspettarci che riduca il più possibile lo stato di malattia senza
provocarci altri problemi».
Da questa riflessione si capisce quanto è importante il rapporto di fiducia tra medico e
paziente e il dialogo volto a
captare i desideri, valori, la volontà della persona, ciò che è giusto per lei.
Un libro ben scritto, dettagliato, corredato di casi e studi
clinici a supporto delle teorie dell’autore.
Concludo con le parole appropriate, quelle che vorrei
risuonassero come un’ eco per chi è arrivato fino in fondo a queste righe e che
sono la sintesi di tutto questo mio lungo discorso:
Sobrietà, Rispetto e Giustizia, tre parole ma un mondo immenso intorno.
“Troppa medicina - Un
uso eccessivo può nuocere alla salute”
di Marco Bobbio (ed. Einaudi 2017)