Non è facile prendere delle decisioni razionali
quando ci si trova nel luogo, nel momento e con la persona, sbagliati. È
proprio ciò che capita a Victor,
scrittore e giornalista madrileno, nell’appartamento di Marta, donna
affascinante conosciuta pochi giorni prima. Dopo aver cenato, durante i
preliminari amorosi, lei viene colta da un malore fatale che la porta alla
morte. Ragionevole gestire tale emergenza chiamando un’ambulanza, ma non nel
caso in questione, mentre il figlio di lei (due anni appena) sta dormendo nella
sua cameretta e il marito, ignaro ovviamente della relazione clandestina, si
trova a Londra per lavoro, a molti chilometri di distanza da Madrid.
Ancora più difficile fare scelte repentine e sensate
in una situazione così tragica e al contempo assurda. Non voglio rivelare altro
della trama assai lineare ed essenziale (non accadono molti fatti),
voglio invece sottolineare ed evidenziare le peculiarità stilistiche
dell’autore, tanto da scoprire pareri assai discordanti tra chi lo adora e chi invece
non lo apprezza.
Io faccio parte del primo gruppo, dopo aver
conosciuto il suo stile con “Gli
innamoramenti”, romanzo altrettanto caratteristico e sorprendente.
«Domani
nella battaglia pensa a me» che dà anche il titolo all’opera, è
una frase tratta dal Riccardo III di W.Shakespeare, che compare per la prima
volta come pensiero di Victor quando si sofferma a osservare gli aeroplanini
appesi al soffitto nella camera del bambino, mentre Marta giace già morta nel
suo letto.
È un romanzo dalla terminologia colta e ricercata,
costituito da lunghi e articolati periodi, ricco di punteggiature, riferimenti letterari, citazioni, un puzzle composto
da infiniti e copiosi tasselli, una lettura non sempre morbida e fluida, ma non
per questo meno stimolante e interessante. La trama riesce con la propria
originalità ad acchiappare il lettore, tanto da spingerlo ad andare avanti per scoprire
cosa si nasconde dietro il non detto ma che sappiamo esistere e che ancora il
narratore non vuole svelarci. È in questa attesa che rimaniamo col fiato
sospeso, desiderosi di sapere la verità, mentre proseguiamo nella lettura e ci
perdiamo in altre storie secondarie meno significative.
La scrittura di Javier
Marias è un fiume in piena di parole,
sempre molto precise, dettagliate,
che irrompono, scivolano nel letto della pagina creando una narrazione mai
banale (anche nel trattare fatti comuni), curata, introspettiva, che sa denudare la
superficie delle cose per mostrarcele nella loro intimità. Così i personaggi,
che attraverso le descrizioni ci appaiono per quello che sono veramente, in
quello che provano, amano, pensano, sognano…
Le descrizioni sono ampie, specificate, arricchite da metafore o similitudini, cito a esempio una parte della descrizione
di Dean, il marito di Marta: «Le sue
labbra erano sottili, visibili anche se prive di colorito, o dello stesso
colorito della pelle solcata da striature e fili che con il tempo sarebbero
diventate rughe o già cominciavano a esserlo, come tagli superficiali sul legno
(il suo volto sarebbe stato un giorno un pulpito). Portava i capelli castani
accuratamente pettinati con la riga a sinistra, molto lisci e forse pettinati
soltanto con acqua come se fossero quelli di un bambino di un tempo… la bocca
fine e tesa dell’orditore instancabile, dell’anticipatore – le labbra come
nastri tesi –, ma a denotare anche lentezza e capacità di sorpresa e infinita
capacità di comprensione; il mento non sottomesso ma ora abbattuto, una spada
senza filo; le orecchie un po’ a punta come se fossero permanentemente allerta,
come se volessero cogliere anche quello che non è pronunciato in lontananza».
Ho apprezzato inoltre la capacità dell’autore nel
saper creare un intreccio organizzato nonostante le innumerevoli digressioni
che all’apparenza sembrano appesantire il romanzo ma che in realtà lo
strutturano, lo rendono stilisticamente più solido invogliando il lettore a
proseguire per ritrovare il filo e la risoluzione della narrazione.
Fil rouge che potremmo ricondurre alla tematica
dell’inganno, citato all’inizio in
riferimento alle persone care che tollerano con difficoltà la mancanza di
verità «che ci credano vivi se siamo
morti», o come spiegato nella parte finale del libro «Vivere nell’inganno è facile, ed è la nostra condizione naturale, e in
realtà questo non dovrebbe dolerci poi tanto», o per finire quando afferma «L’inganno e la sua scoperta ci fanno vedere
che anche il passato è instabile e malsicuro, che neppure ciò che in esso
sembra ormai fermo e assodato lo è per una volta e non per sempre, che ciò che
è stato è composto anche da ciò che non è stato, e che ciò che non è stato può
ancora essere».
E concludo questa mia lunga riflessione sull’autore
e sulla lettura, riportando questa bellissima frase sulla funzione formativa del
romanzo in cui l’autore nell’epilogo afferma: «Un romanzo non soltanto racconta, ma ci permette di assistere a una
storia o ad alcuni eventi o a un pensiero, e nell’assistervi ci permettere di
comprendere», poche e semplici parole,
ma che dicono tutto e di più.
A.C.
“Domani
nella battaglia pensa a me” di Javier Marias ( Einaudi 2014)
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