16 novembre 2025

IL VALORE AFFETTIVO di Nicoletta Verna

 

«Non è che fossi triste: quello che sentivo non era il contrario della felicità, era il contrario della vita»

L’esordio letterario di Nicoletta Verna, è stato davvero una piacevole scoperta: un romanzo dalla scrittura matura, intensa e profondamente consapevole.

La storia narra di una famiglia felice, simile a molte altre negli anni del boom industriale. Al centro, due bambine, Bianca e Stella, unite da un sentimento di sorellanza indissolubile, finchè un evento tragico infrange quell’equilibrio e stravolge per sempre il modello familiare. La morte di Stella lascia un vuoto incolmabile: Bianca rimane sola, la sua vita non sarà più la stessa, tormentata dal senso di colpa e dalla convinzione di avere avuto un ruolo significativo, nella tragedia. Anche gli adulti cedono al dolore: la madre si chiude in una depressione autodistruttiva, mentre il padre sceglie di allontanarsi per rifarsi una nuova esistenza.

La bellezza straordinaria di Bianca, diventa l’ elemento vincente per farsi strada nel mondo della televisione, più per compiacere la madre - ipnotizzata dallo schermo - che per convinzione personale. E qui, il romanzo offre interessanti spunti di riflessione sulla televisione spazzatura, pensata per distrarre, per non far pensare, per trasformare gli individui in consumatori passivi, privati del senso critico e pieni di falsi bisogni. «La merce mira al cuore del consumatore, lo spoglia di ogni artificio finchè non è in preda al desiderio più atavico: un onnivoro senso di possesso».

Nella sua ricerca di equilibrio, Bianca incontra Carlo, un cardiochirurgo affascinante, ammirato da tutte le studentesse dell’Università in cui insegna. Tra i due inizia una relazione di affetto e passione. Lui la adora e Bianca sembra ricambiare con gentilezza e docilità. Ma Bianca ama davvero Carlo? O dietro quel legame si nasconde qualcos’altro? In ogni caso non è la vicenda romantica il cuore pulsante del romanzo: il fulcro è il senso di colpa di Bianca che attraversa ogni sua scelta dando inizio a un percorso di crescita, consapevolezza e accettazione di sé.

 «Qual è il prezzo esatto del senso di colpa? Il valore monetario del valore affettivo?»

La potenza del libro risiede tutta in Bianca, un personaggio di grande spessore, capace di precipitare nell’abisso più cupo, e al tempo stesso, di riemergere con dignità e forza, in un continuo alternarsi di cadute e risalite.

Lo stile dell’autrice è nitido e controllato, ogni frase scelta con cura, il registro sobrio ma emotivamente denso, in cu isi alternano sequenze riflessive a quelle narrative. Il ritmo è vario anche se serrato.

La trama, costruita in prima persona, non segue un ordine cronologico lineare, ma con salti temporali, di scene che, come scatti fotografici, rivelano la storia a poco a poco, lasciando emergere conflitti e interrogativi, spesso senza risposta.

Ho letto Il valore affettivo tutto di un fiato, catturata dalla capacità dell’autrice di “agganciare” il lettore fino alle ultime pagine, soprattutto riguardo la disgrazia che avvolge gran parte della vicenda, svelata solo quasi al termine del romanzo.

La scrittura di Nicoletta Verna dà voce alle emozioni, anche quelle scomode e meno nobili, che fanno comunque parte di noi. Alla fine, ciò che resta è la certezza che il valore affettivo non si misura in colpe, ma nel coraggio di riconoscersi per ciò che si è davvero. 

“Il valore affettivo” di Nicoletta Verna ( ed.Einaudi 2021)


05 novembre 2025

DEI BAMBINI NON SI SA NIENTE di Simona Vinci

 



Ho scelto Dei bambini non si sa niente dopo aver conosciuto l’autrice con Parla, mia paura, apprezzandone le qualità stilistiche e la capacità  introspettiva.

Anche in questo romanzo Simona Vinci non mi ha deluso per questi aspetti, mentre ho fatto fatica a digerire la trama e un tema tanto forte, e crudele, come la violenza sui bambini. Avrei voluto interrompere la lettura, ma non è mia abitudine e ho resistito.

La storia è semplice,con pochi personaggi. Estate. Anni Novanta, Granarolo. Intorno campi di grano biondo. Un gruppo di bambini - Martina, Greta, Matteo, Luca e Mirko - giocano nella piazzetta del paese. In un capannone isolato, a pochi chilometri di distanza, scoprono le differenze fra i sessi, pulsioni e piaceri nascosti  che condividono, come se fosse un gioco. Ma il gioco, guidato da Mirko, il più grande, si fa sempre più azzardoso fino a un epilogo sconcertante.

Una lettura che mi ha toccato per la crudeltà che emerge ferocemente, anche se mitigata dalla leggerezza e innocenza del mondo infantile. Apprezzo il fatto che l’ autrice ha affrontato un tema insolito, come la sessualità e le pulsioni dei bambini, ma portarlo all’estremo, fino a tale violenza mi è sembrato eccessivo. Lo comprendo, nel contesto di una letteratura dark (mi viene in mente la letteratura di Ian McEwan), non a caso il libro ha suscitato pareri contrastanti.

Concludo, con la promessa che leggerò ancora Simona Vinci, autrice di indubbio talento, leggendone però prima la sinossi.

“Dei bambini non si sa niente” di Simona Vinci ( ed Einaudi 1997)

04 novembre 2025

CHIEDI ALLA POLVERE di John Fante

 


CHIEDI ALLA POLVERE di John Fante

«Ho un consiglio molto semplice da dare a tutti i giovani scrittori. Non tiratevi mai indietro di fronte a una nuova esperienza. Vivete la vita fino in fondo, prendetela di petto, non lasciatevi sfuggire nulla».

È la quarta volta che rileggo Chiedi alla polvere, e ogni volta scopro nuove sfumature, dettagli un tempo sfuggiti, capaci di suscitare pensieri e riflessioni inedite. E la cosa più sorprendente è che, al termine della lettura, non rimango mai delusa.

Siamo negli anni Quaranta. Arturo Bandini, un giovane ragazzo di origini italiane, si trasferisce dal Colorado a Los Angeles con il sogno di diventare uno scrittore di successo. Nella polverosa metropoli coltiva la sua ambizione, facendo esperienze nuove, intrecciando relazioni con prostitute - per poi pentirsene subito dopo - conoscendo i coinquilini dell’albergo dove vive, uomini e donne segnati da storie di fallimento, di alcolismo e degrado.

L’incontro con Camilla Lopez, la cameriera messicana del pub che frequenta quando non scrive, segnerà la svolta. Arturo sente di amarla, anche se lei è innamorata di Sammy, il cameriere che invece la disprezza per la sua etnia. Un amore tormentato, un’altalena di sentimenti e passioni dove i ruoli spesso si invertono. Una trama apparentemente comune, una storia di amore non corrisposto, ma che in realtà nasconde molto di più. Non a caso la letteratura di Fante è stata riscoperta e apprezzata, anche grazie a Bukowski, che lo considerava un maestro.

Arturo Bandini è l’ alter ego dell’autore, tanto che potremmo definirlo in gran parte un romanzo autobiografico. Cambiano i nomi, ma nella sostanza c’è lui, John Fante. La vicenda si svolge durante le due Guerre Mondiali, con riferimenti fugaci all’ Europa e a Hitler, ma senza che l’autore insista sugli eventi storici e la loro tragicità. Il suo sguardo è rivolto al conflitto interiore del protagonista, un giovane alle prese con le sue aspirazioni letterarie e le proprie fragilità.

Dietro l’ambizione e l’ arroganza di Bandini, si nasconde una grande umiltà, un animo gentile e comprensivo. Bandini/ Fante è l’ «amico degli uomini  come degli animali», perché conosce la condizione degli emarginati, di coloro che per conquistarsi dignità e reputazione devono lottare con le proprie forze. Lui fa parte di questo popolo. La redenzione degli ultimi, attraverso la tenacia, il sacrificio e anche un po’ di fortuna è la lezione che Fante vuole dimostrare con questa sua grande opera.

Nel romanzo emerge anche una profonda ricerca di spiritualità, radicata nella tradizione familiare dell’autore, spesso incapace di dare risposte ai suoi interrogativi. Bandini patteggia con Dio, lo invoca e lo respinge, combattuto tra fede e scetticismo: « Quale Dio? Quale Cristo? Erano miti in cui avevo creduto un tempo ma ora era fede che mi sembrava mito […] Scendi giù dal tuo paradiso, Dio, scendi che ti spacco la faccia, maledetto buffone […] La Chiesa deve sparire; è il ricettacolo degli stolti, delle canaglie e delle mezze cartucce».

A mio parere, non è la trama, ma lo stile il vero punto di forza del romanzo. La narrazione in prima persona è scorrevole e intimistica, come se fosse il lettore a dialogare con sé stesso. Ma l’alternanza con la terza persona, in alcuni passaggi, rende il ritmo ancora più dinamico consentendo all’autore di osservare il suo protagonista da una certa distanza, restituendolo come un’entità indipendente.

Le descrizioni sono poesia, senza effetti speciali, ma di una bellezza sobria e naturale.

«Quando varcò le porte girevoli, fu come una musica […] La città che si stendeva ai miei piedi sembrava un albero di Natale […] la nebbia si era insinuata ovunque come un grande animale bianco […] I suoi capelli sparsi sul cuscino sembravano inchiostro uscito da una boccetta […] Il suo viso giallastro, in cui solo gli occhi sembravano vivi, mi ricordava una rosa dimenticata tra le pagine di un libro […] Facce sbiadite come fiori strappati alla radice e ficcati in un vaso…», il libro ne è pieno.

Nei dialoghi Fante è un maestro: sono essenziali, vivi, perfetti. Nascondono bene la loro finzione.

È pure evidente nel racconto, la difficoltà - così attuale - di affermarsi come scrittori, di rendersi credibili al mondo e all’editoria, nonostante il talento.

In Arturo si avverte una profonda solitudine, condizione quasi necessaria alla creazione artistica, che lo porta a preferire l’immaginazione all’esperienza diretta dell’amore per Camilla.

La Morte e la malattia, attraversano spesso questo romanzo, argomenti scomodi per un giovane come Bandini, ma che diventano occasione di  consapevolezza e di trasformazione artistica. «Fui sopraffatto dalla consapevolezza del patetico destino dell’uomo […] il male del mondo non era più tale, ma diventava ai miei occhi un mezzo indispensabile per tener lontano il deserto».

Lo stesso deserto da cui arriva la polvere che dà il titolo al libro, riempie ogni scena, ogni passaggio, le strade di L.A, la stanza di Arturo. È  la polvere del Mojave, quel velo dietro cui si cela la verità delle cose, oppure come scrive Fante nell’epilogo, «è una polvere da cui non cresce nulla, una cultura senza radici, una frenetica ricerca di un riparo, la furia cieca di un popolo perso e senza speranza alle prese con la ricerca affannosa di una pace che non potrà mai raggiungere». Parole di grande attualità, che sembrano raccontare la storia odierna, di quelle popolazioni perseguitate in cerca di asilo o di una patria.               

Chiedi alla polvere è un grande libro, un desiderio di appartenenza, un respiro di speranza, di possibilità di sogni che possono realizzarsi.

Una lezione di vita, nella voce di un ventenne: «Diventare un uomo migliore: sempre quella era l’idea di Arturo Bandini, di diventare un grand’uomo, di scrollarsi la polvere della strada, di amare uomini e bestie nello stesso modo»

“Chiedi alla polvere” di John Fante ( ed Einaudi 1982)

01 novembre 2025

MI RICONOSCI di Andrea Bajani

 

«Comunque, per quanto poche, la vita lascia anche altre opzioni»

Un libro che nasce come omaggio ad Antonio Tabucchi – al suo valore di scrittore e di uomo – emigrato in Portogallo senza però recidere il legame col suo paese d’origine, in particolare con Vecchiano, in Toscana.

È la storia di un’amicizia tra due scrittori: stessa origine, stessa passione per la letteratura, stesso amore per le parole. Scritto in prima persona (dall’autore stesso) e rivolto direttamente all’amico, come una lettera a senso unico, il racconto inizia dalla fine – dal funerale di Tabucchi – per ripercorrere a ritroso la storia della loro amicizia, il vissuto e le esperienze condivise, i momenti salienti e incisivi della loro  relazione intellettuale, fino alla malattia e alla morte, il 25 marzo 2012.

La malattia diviene uno spartiacque, un confine tra un prima e un dopo. Trasforma il corpo ma non l’anima, lo trasforma senza chiedere il permesso, senza possibilità di scelta. Bajani la descrive con una lucidità disarmante: «Non eri tu che la sceglievi, era la morte che ti metteva addosso la sua maschera di carnevale. Ti obbligava a una vestizione che non avevi chiesto».

Una frase che esclude ogni pietismo , restituendo alla morte un valore oggettivo, quasi naturale.

La storia di un’amicizia autentica, in cui si può essere sé stessi, dire ciò si pensa senza filtri, telefonarsi a notte fonda per parlare ore e poi riagganciare senza neppure un saluto formale.

Le frasi scorrono come versi, una prosa che ha il respiro della poesia, mai melensa, sempre essenziale. Dolore, malattia, sofferenza e morte pervadono il testo, restituite dall’autore come un omaggio alla vita, al valore degli affetti, dell’amicizia e dei legami veri.

In un passaggio, Tabucchi dialoga con la Morte, quasi a patteggiare con lei: prima con spavalderia, poi con rabbia, infine con accettazione.

Le descrizioni sono minuziose e singolari: non spiegano, mostrano

Ottime le metafore e similitudini che colpiscono per precisione e concretezza. Ogni emozione viene restituita attraverso un suono, un colore, un odore o una forma. È come se Bajani scavasse nelle parole per trovare alla fine, il “ tesoro” nascosto.

Mi riconosci è un libro per chi ama la buona letteratura, per chi non si accontenta di una trama ma cerca qualcosa di più: un’esperienza di stile e di verità, dove la scrittura diviene un modo per riconoscere se stessi e gli altri.

“Mi riconosci” di Andrea Bajani (ed Feltrinelli 2013)