29 dicembre 2024

INVENTARIO DI QUEL CHE RESTA DOPO CHE LA FORESTA BRUCIA di Michele Ruol

 

« Ci sono cose che non si cureranno mai… tutto quello che fa il tempo è concedere di assistere a nuove fioriture a chi ha la pazienza di aspettare»

Un libro bellissimo e coraggioso - per il contenuto poco commerciale - per tutti, ma destinato solo a coloro che cercano nella lettura occasione di intimità e dialogo con sé stessi.

Un libro dalla struttura piuttosto originale, in cui sono gli oggetti a narrare la storia, novantanove oggetti nell’appartamento di una famiglia sconvolta da un tragico evento: la morte dei due figli.

E proprio come una sorta di inventario di ciò che resta dopo l’incendio che coincide con l’incidente stradale dei ragazzi, l’autore ci presenta in maniera dettagliata ogni cosa – il pentolino da latte, la penna stilografica Pelikan MK10, lo stradario, cartellina in pelle, rasoio elettrico a testine rotanti, scatole di cartone (IM.) e (IN.)… – raccontando attraverso le stesse, tappe dell’esistenza di Padre e Madre, il loro incontro, il matrimonio, la nascita di Maggiore e Minore, la loro crescita, i successi e i fallimenti, i momenti di gioia o di difficoltà, la routine familiare… muovendosi nello spazio e nel tempo con abilità sorprendente, in uno stile narrativo diretto e fluente.

Presenze nell’assenza, che rievocano ciascuna un ricordo, un tassello di vita per chi resta e che nonostante tutto deve continuare a vivere.

Come possono due genitori andare avanti dopo una sciagura così invalidante? Dove possono trovare la forza per non crollare? Quale motivazione che non sia la fede può tenerli ancora legati alla vita? Il libro ci offre una delle tante soluzioni possibili, perché anche nel peggior dolore e sofferenza insieme alla consapevolezza e all’irreversibilità della perdita, esiste sempre una via di uscita. In questo, il tempo può essere un grande alleato.

Una lettura che affronta il tema del lutto, senza autocommiserazione, ma con grande lucidità e forza, spalancando le porte alla speranza.

Grazie a questo spiraglio di luce si assiste alla rinascita, proprio come fanno i corbezzoli, i primi a germogliare dopo un incendio, stimolati dall’acidità del terreno «piante speciali, capaci di fare contemporaneamente fiori e frutti: grappoli di campanelle bianche e bellissime bacche rosse e arancioni».

Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia” di Michele Ruol (Terrarossa edizioni 2024)

15 dicembre 2024

IL TEMPO DI BLANCA di Marcela Serrano

 

“Affinchè tu non mi dimentichi” – titolo originale– ci fa già intuire che è il ricordo la ruota trainante del libro, la memoria col suo potere di mantenere sempre vivo ciò che davvero ha significato, ciò che non dobbiamo scordare, mai.

Blanca, quarantenne attraente dal carattere candido come il suo nome, moglie, madre e figlia, conduce una vita agiata, estranea alla realtà socio politica culturale di un Cile, appena uscito dalla dittatura di Pinochet. Sarà la conoscenza e l’amicizia con Victoria e con Gringo ex perseguitati politici, a determinare la sua sostanziale trasformazione, oltre all’ictus che le toglierà parte della capacità di movimento ma soprattutto la parola. Afasia, il termine clinico. Sceglierà un nuovo linguaggio per comunicare: «Da oggi i miei occhi parleranno per me. E con questi occhi voglio narrare la mia storia».

Un romanzo che si sviluppa come un flusso di coscienza, con la voce e il punto di vista della protagonista Blanca, in un susseguirsi continuo di flashback e flashforward, intercalati anche dalla narrazione in seconda persona di Sofia amica di Blanca.

Una storia senza dubbio ben strutturata dove non mancano gli elementi necessari a una buona narrazione – emozioni, suspence, colpi di scena, cambi di punti di vista, finale aperto, ecc… – e tutte le tematiche esistenziali per definirlo un libro davvero ricco.

Una scrittura fluida, dove la componente riflessiva e interiore – che tanto apprezzo nella letteratura –  predonima e portando di conseguenza il lettore a soffermarsi e meditare sui grandi quesiti o situazioni che la vita ci propone o impone, costringendoci alla trasformazione.

È anche la storia del Cile, post Pinochet. Senza parlarcene in maniera diretta, l’autrice ne coglie gli aspetti più inquietanti e crudeli, descrivendoci appunto le conseguenze, le cicatrici che tale dittatura lasciò in coloro che sopravvissero e “non sparirono”al regime. Attraverso un’espediente assai efficace – narrandolo dal punto di vista di Blanca, una donna che non ha vissuto dentro quella realtà perché appartenente a un ceto diverso – ce lo restituisce con un effetto ancora più stridente. Lo si coglie bene nelle parole del Gringo: «Il dolore è rimasto chiuso nel mio mondo interiore. Questo fa la tortura, Blanca: la morte o l’estraniazione».

Non mancano valori che animano la Storia, le storie…

L’amicizia, soprattutto quella femminile, la solidarietà fra tre donne, Blanca, Victoria e Sofia, così diverse tra loro per estrazione sociale e vissuto, ma unite da una sensibilità e umanità comuni.

 L’emancipazione femminile, frutto di maturità individuale e di evoluzione sociale.

L’amore in tutte le sue sfaccettature: l’amore coniugale, che il tempo deteriora se non sapientemente alimentato; l’amore passionale, quello di Blanca per il suo Gringo, sostenuto da un profondo malcontento e dal suo bisogno di sentirsi ancora amata, desiderata, considerata; l’amore filiale, sentimento primordiale in cui si insinua il conflitto della scelta tra un figlio o l’altro; l’amore universale, quello verso l’umanità tutta, animali e cose, forte peculiarità di Blanca, che costituisce il motore della sua carità verso i deboli, gli svantaggiati, i meno fortunati (motivo per cui conoscerà Victoria e il Gringo).

La famiglia, come radice e struttura di ancoraggio e stabilità che può rappresentare allo stesso tempo un ostacolo alla crescita e all’evoluzione. Apprezzabile il sostegno a Blanca da parte dei fratelli al momento della separazione dal marito. L’infedeltà, interpretata come risposta a una mancanza emozionale di cui una giovane donna sente necessità e urgenza.

La malattia di Blanca è solo una svolta della sua vita, l’imprevisto che cambia e rivoluziona all’improvviso le carte nel gioco, i progetti che perdono il proprio connotato e rimettono in discussione ogni cosa, bloccando la strada a suo tempo pianificata.

E infine a conclusione, il senso della morte , come liberazione da un dolore fisico quanto spirituale ancora più difficile da contenere. La conosce bene Victoria questa sofferenza, tanto da confidare il suo segreto a Blanca, offrendole un’ulteriore percorso, una possibilità che dovrà essere lei stessa a scegliere e intraprendere.

Un romanzo davvero completo.Com’è possibile trattare tante tematiche, tante sfumature emozionali in un una sola trama? mi sono chiesta. Marcela Serrano ci è riuscita, con maestria, senza stancare il lettore, senza impartire lezioni morali, senza condannare o assolvere. In questo, a mio parere sta lo spessore di questa lettura.

Il tempo di Blanca” di Marcela Serrano ( Ed Feltrinelli 1998)

09 dicembre 2024

IL RACCONTO DELL’ANCELLA di Margaret Atwood

 

“Per istituire un sistema totalitario efficace o invero un qualsiasi sistema, è necessario offrire qualche beneficio e qualche libertà, almeno a pochi privilegiati, in cambio di ciò che viene loro tolto”

Il racconto dell’ancella è un romanzo distopico, scritto nel 1985, ambientato negli USA,  proiettato negli attuali anni.  Anche se non rientra nei mie gusti di genere letterario, l’ho scelto intenzionalmente (ogni tanto occorre uscire dalla propria zona di comfort) e in effetti, la lettura mi ha ampiamente soddisfatta nonostante le tematiche assai inquietanti, se interpretate nell’ottica realistica in cui l’autrice le rappresenta.

Altrettanto interessante è stata la scoperta del suo stile narrativo, una scrittura sobria, essenziale, diretta, anche se non priva a tratti di dettagli e particolari. La struttura del romanzo invece è assai complessa e articolata, nella riproduzione di una nuova realtà politica, religiosa, culturale e sociale, che l’autrice gestisce con maestria e competenza.

Anni Duemila. USA. Un colpo di stato, instaura la Repubblica di Galaad, un regime totalitario, teocratico e maschilista in cui vengono sovvertite molte precedenti leggi e regole. Al vertice del potere sono i Comandanti, aiutati da altri esponenti maschili, i Custodi, gli Occhi, ognuno con un preciso compito di sorveglianza e controllo. A fianco c’è il mondo femminile le Ancelle, donne in età fertile destinate esclusivamente alla procreazione, le Mogli dei Comandanti, donne sterili che assistono al coito tenendo in grembo l’ancella (come citato in un passo dell’antico Testamento), le Zie addette all’indottrinamento, le Marte le inservienti, le Nondonne, scarto della società, esseri inutili destinati  perciò alle Colonie, ai lavori più sporchi, come la pulizia dai rifiuti, sostanze tossiche e radioattive. Ogni donna ha perciò il proprio ruolo, sottomessa alla volontà e al potere dei Comandanti che dirigono il gioco politico, in nome del regime e della religione. Ogni forma di libertà individuale è soppressa se non a pochi eletti. Alle Ancelle, ruolo della protagonista  Difred, è proibito leggere, fumare, parlare, esprimere opinioni, ragionare, tutto ciò che esula dalla sua funzione, quella di fare figli da donare ai Comandanti e alla società, per contrastare il fenomeno di denatalità, osteggiato dal nuovo governo.

L’autrice ci inserisce gradualmente in questo mondo apocalittico ma verosimile, narrato dalla protagonista stessa come testimonianza autobiografica (che giustifica e corona l’epilogo) alternando i flashback della precedente esistenza - arricchita dall’affetto della figlia, dell’ amante e della madre - con l’ attuale condizione che al confronto stride e angoscia ancor di più.

Senza aggiungere altro della trama, ricca di sottotrame e colpi di scena, posso concludere che Il racconto dell’ancella dal quale hanno tratto anche una famosa serie televisiva e un film, è un libro che deve essere senz’altro letto e conosciuto, oltre che per un arricchimento personale letterario, soprattutto come spunto di attenzione e riflessione sul pericolo della dittatura, del potere di massa (alimentato a sua volta da concetti e distorsioni di carattere religioso e dogmatico) che cancella ogni principio democratico, etico e di libertà individuale.

Rimane per me comunque una lettura inquietante ed emotivamente grave, nonostante lo spiraglio finale di risoluzione, forse per il pensiero che tutto ciò potrebbe anche accadere un giorno (la Storia nemmeno cento anni fa ce l’ha dimostrato).

Ma forse sono proprio i libri come questi che devono continuare a far eco nelle nostri menti, affinchè temiamo ogni tipo di regressione (e anche di progresso mal gestito), tenendo  gli occhi sempre bene aperti sul futuro, consapevoli, fiduciosi e umani nel rispetto reciproco, senza dimenticare ciò che la Storia ci ha insegnato,proprio  per non ripetere e non compiere gli stessi e nuovi errori.

Il  racconto dell’ancella” di Margaret Atwood (ed. Ponte alle Grazie 2004)

13 novembre 2024

L’ORA DI GRECO di Han Kang

 

Dopo La vegetariana, sapevo che sarei andata incontro a una lettura non facile, ma non avrei mai immaginato di ritrovarmi un testo così articolato, da leggere un po’ alla volta, a piccoli sorsi come una bevanda troppo calda che rischia di bruciarti la gola. Sì, perché ho trovato L’ora di greco un libro assai complesso, almeno nella struttura anche se si deve forse a questa peculiarità parte del merito e della bellezza.

A differenza del libro precedente (dal quale non posso separarmi) che aveva una forma più definita e chiara – perché diviso in tre parti, di cui ciascuna descriveva il punto di vista di un personaggio – qui la struttura invece appare stravolta, perché l’autrice sembra avanzare più per sensazioni che per logica, creando un puzzle di immagini, suoni, profumi, odori e sensazioni tattili legate alle vicende, che il lettore stesso deve essere abile a ricomporre, per seguire la trama delle storie in una Seoul indistinta.

Lo stile è caratteristico e audace. L’autrice si destreggia con maestria passando velocemente dalla terza alla prima persona, per infine inserire anche la seconda persona (nei monologhi del professore con l’amico Joachim Gründel e con la sorella Ran) mantenendo però sempre fermi i punti di vista dei protagonisti.

Due sono i personaggi principali, semplicemente la “donna”e l’“uomo”, due esseri umani senza l’ importanza del nome – nonostante la loro forte individualità – due esistenze simili che incrociano i loro destini segnati dalle loro specifiche mancanze: la vista per lui, la parola per lei.

E nell’ aula – dove lui, il professore, insegna greco mentre lei segue le sue lezioni – tra le strade di Seoul, nell’appartamento senza luce e vuoto di lei, si muovono le loro storie, frammentate dai ricordi di un passato, ora dell’uno ora dell’altra, che ricompongono lentamente il quadro complesso delle loro esistenze.

Ognuno di loro porta con sé il peso del proprio dramma, che la scrittrice sa svelarci con maestria, riproponendo quelli che sono i temi a lei più cari: la famiglia – i rapporti fraterni, coniugali, filiali – l’amore, la solitudine e l’impossibilità di entrare in relazione con l’altro, la diversità o meglio l’unicità, la malattia, la fragilità

Nei personaggi di Han Kang è profondamente radicato “il male di esistere”, come un sintomo che necessita di una cura da ricercare per essere gestito e placato; oppure si va oltre, dove c’è una completa separazione tra il corpo e lo spirito, fino al paradosso di una completa fusione senza più un confine: «A volte, più che una persona, ha l’impressione di essere una sostanza di qualche tipo, un solido o un liquido in movimento. Se sta mangiando del riso caldo, le sembra di essere riso caldo. Se si sta lavando la faccia con acqua fredda, le sembra di essere acqua fredda. Allo stesso tempo, sa benissimo di non essere né riso, né acqua, bensì una materia resistente, spietata, che si rifiuta di mescolarsi con qualunque altra forma di esistenza».

Han Kang sa regalare al lettore (se la sa cogliere) una chiave di lettura nuova, spalancando la porta su un mondo dove le angosce, le paure, le sofferenze diventano immagini, suoni, profumi, trasformando l’emozione in materia e la materia stessa in emozione. Una prosa che in molti tratti si fa poesia.

A testimonianza può bastare questo passaggio nella caratterizzazione della “donna”: «Da quando ha perso l’uso della parola, a volte ha l’impressione che le sue inspirazioni ed espirazioni siano un po’ come il linguaggio. Intaccano il silenzio con altrettanta audacia della voce». Oppure nel parlare del suo mutismo: «Non era un problema di corde vocali o di capacità polmonare. Semplicemente non le piaceva appropriarsi dello spazio» dove si legge tutta la sua ostinazione a non volersi relazionare col mondo; e ancora «Ognuno occupa un certo spazio fisico che corrisponde esattamente al volume del proprio corpo, ma la voce si propaga molto oltre. Lei non voleva espandere la propria presenza».

Interessante la fusione dei sensi, lo sguardo che si sostituisce alla parola e nel caso dell’uomo, la parola che si sostituisce là dove gli occhi non possono più comunicare. E sarà proprio questa combinazione a creare lo spiraglio di luce nel dramma delle loro vite, una possibile riconciliazione col mondo. Un poetico lieto fine (che nel precedente libro mancava) che apre il cuore alla speranza.

 “L’ora di greco di Han Kang” ( Adelphi 2023)

29 ottobre 2024

IO, BEATRICE CENCI una ragazza romana di Nicoletta Manetti

 



IO, BEATRICE CENCI una ragazza romana di Nicoletta Manetti

«Leggo giusto l’introduzione dell’avvocato Paola Pasquinuzzi  – donna affabile ed empatica che ho avuto il piacere recentemente di ascoltare in una conferenza sulla violenza di genere – e poi chiudo» mi sono detta per rispetto a tutti i libri impilati sul comodino che attendono il proprio turno di lettura. Da quella son passata al sonetto di Marco Vichi «Giusto una pagina e chiudo davvero» ma da lì è stato facile lasciarsi travolgere dalla scrittura magistrale di Nicoletta Manetti, scivolare nella narrazione «Chi è questa Beatrice, dal volto così angelico?». Le pagine si susseguivano una dopo l’altra, difficile arrestare la caduta.

Sì perché non si può fare a meno di rimanere coinvolti nella storia di questa ragazza romana, così indifesa e fragile all’apparenza, ma al contempo forte, determinata e tenace, che a soli venti anni, condusse una battaglia impossibile per il suo tempo.

Pochi ne conoscono la vita  breve e infelice, forse per questo l’autrice ha voluto riportarla in luce, allo sguardo e all’attenzione di una società che continua a commettere gli stessi e assai peggiori errori.

Una storia perciò, che ha bisogno di essere raccontata e in questa, Nicoletta sensibile a ogni ingiustizia, ha voluto prestare voce e cuore. Una vicenda tremendamente attuale che ci fa riflettere e constatare che poco è cambiato in tutti i secoli trascorsi, solo il contesto e le modalità.

Nasce così una testimonianza accorata – narrata in prima persona – in cui si dispiegano gli eventi della vita della protagonista: la nascita nella nobile famiglia Cenci, l’infanzia spensierata dalle suore francescane insieme alla sorella, e poi il baratro nelle fauci del mostro, suo padre; le fughe e le strategie di alleanza con la matrigna Lucrezia – anche lei vittima del marito – e con Marzio e Olimpo uomini al suo servizio e amanti; l’illusione di riscatto e la promessa di amore con l’abate Guerra; la reclusione alla Rocca di Petrella sul Salto; il parricidio, la galera e il lungo processo che la vide colpevole di un atto che era solo risposta di difesa e sopravvivenza.

L’autrice ci propone questa tragica storia con una delicatezza straordinaria, da togliere il peso della violenza e brutalità, valorizzando invece il desiderio di amore e di vita di Beatrice. Il tutto in maniera precisa, dettagliata e documentata, come è suo solito.

Ritrovarsi all’ultima pagina  è un attimo: succede sempre così coi libri di Nicoletta, rimane la nostalgia della lettura terminata insieme all’ eco e all’emozione della storia, come un buon cibo di cui non si è mai sazi e che mantiene vivo il piacere dell’ultimo boccone.  

Una lettura davvero appassionante, un racconto drammatico e struggente che ci rivela tutta la forza e fermezza di una donna che a soli vent’anni, lottò con tutta se stessa per la Giustizia e il riconoscimento di un diritto – quello di vivere – e di un’assoluzione che la stoltezza della sua epoca non vollero riconoscere.

Io , Beatrice Cenci Una ragazza romana” di Nicoletta Manetti ( Angelo Pontecorboli Editore Firenze 2024)

28 ottobre 2024

13 ottobre 2024

GERTRUDE STEIN E ALICE B.TOKLAS A FIRENZE di Nicoletta Manetti

 



Ancora una volta Nicoletta Manetti ci regala un prezioso gioiello che, come i precedenti volumi della stessa collana sui “forestieri” a Firenze, risulta essenziale per comprendere il fermento dell’attività letteraria e delle arti figurative del primo Novecento, non solo nella nostra città, ma anche in Europa e Oltreoceano.

E dopo le coppie famose – Anja e Dostoevskij, D.H. Lawrence e Frieda – non potevano mancare all’appello Gertrude Stein e Alice Toklas, «due donne diversissime, ma uguali: entrambe americane di origine ebraica e tedesca, entrambe appassionate di arte e cultura, tanto da supplire alla loro scarsa avvenenza con ben altra bellezza che le riempie e totalizza» e che proprio a Firenze si dichiararono il loro amore.

In queste righe non voglio approfondire il personaggio di Gertrude Stein – vi sono 140 e più pagine a disposizione che vi invito a leggere – ma ribadire quanto questa donna, «sacerdotessa del cubismo», fulcro e accentratrice dei maggiori esponenti dell’Arte del Novecento, abbia avuto un ruolo determinante per lo sviluppo artistico e letterario del suo e del nostro tempo.

Lo afferma l’autrice stessa, «si parla poco oggi, di Gertrude, pochissimo»; è forse, per questo scarso riconoscimento che sente il bisogno attraverso un percorso biografico di riportarla in luce e farla rivivere in queste pagine? Potrei azzardare la risposta affermativa, ma sarebbe riduttivo, perché alla storia della protagonista principale si intrecciano altre vicende, aneddoti, esistenze di donne e uomini che caratterizzarono il secolo con la propria arte; compresa la storia della stessa autrice che si inserisce nella narrazione stessa con sensibilità e delicatezza.

Passato e presente si intrecciano generando una narrativa fluente e gradevole che si legge con meraviglia e incanto, godendosi ogni parola, ogni frase, ogni scoperta. Una prosa accurata nel dettaglio, nella descrizione dei luoghi, dei personaggi, dei tempi, perché scrupolosamente documentata ed elaborata, caratteristica tipica dell’autrice che cerca, osserva, esplora, perlustra e … trova. Un resoconto emotivo e sensuale,  e non un asettico racconto biografico, tra saggio e romanzo, dove la presenza rispettosa dell’autrice arricchisce l’opera.

Ringrazio perciò doppiamente Nicoletta, per avermi fatto riscoprire Gertrude Stein – incontrata la prima volta in Midnight in Paris, film di Woody Allen credendo si trattasse di un personaggio di sua invenzione – una personalità  eclettica, affascinante e generosa, insieme a una realtà storica così ricca ed effervescente di cui molto ignoravo.

«Gertrude Stein e Alice Toklas a Firenze» di Nicoletta Manetti ( Angelo Pontecorboli Editore - Firenze 2024)

LA NOTTE NON FA PAURA di Kathryn Mannix

 

«Nessuno di noi è comune, anzi ciascuno è straordinario alla propria maniera»

Una lettura molto interessante, più romanzo che saggio, che ci porta a riflettere sul fine vita, su come un giusto, consapevole approccio alla morte sia fondamentale per viver meglio e soprattutto per affrontare in modo valorizzante il processo del morire.

Kathryn Mannix, medico palliativista, specializzata in Terapia Cognitiva Comportamentale, ci offre in questo libro l’opportunità di compiere questo viaggio, nella buia realtà che spaventa molti, perché rappresenta l’ignoto, la perdita, la scomparsa e con ciò la sofferenza, sostantivi tutti che implicano un vuoto oggettivo a cui nessuno ha saputo mai dare risposta.

Cosa c’è dopo la morte?

Ecco la Mannix ci propone una soluzione, offrendoci le informazioni di cui è a conoscenza, grazie alla sua esperienza e al contatto costante col fine vita, conducendoci nell’esplorazione e apprendimento di un momento così unico e difficile.

In maniera magistrale, da clinico esperto e da attenta osservatrice e narratrice, ci esorta a riflettere attraverso le storie ben descritte e documentate dei suoi pazienti - di cui per convenzione maschera nomi e luoghi -, sul valore della vita, della nascita e della morte (così simili e complementari), offrendo anche a noi lettori gli strumenti per “partecipare” all’evento finale delle persone care, descrivendo in modo oggettivo e tecnico lo schema del morire, ovvero la trasformazione della sfera fisica, emotiva e spirituale che, come un protocollo, molto spesso avviene in questo momento chiave. Tutto ciò, senza tralasciare il contesto di emozioni, sentimento e calore che vi ruota attorno.

«Osservare il processo del morire è come osservare un parto: in entrambi i casi esistono fasi riconoscibili in una progressione di cambiamenti che portano al risultato previsto […] Vi sono solo due giorni che durano meno di ventiquattro ore nel corso della vita, posti come dei fermalibri alle estremità della nostra esistenza; uno lo celebriamo ogni anno, ma è l’altro a rendere la vita preziosa».

Molto concreta è l’affermazione in cui nella morte «vi è ben poco da temere e molto da organizzare». Un viaggio molto interessante che nella società attuale, proprio per il tabù che lega questo evento, oggi è precluso a molti.

Vivere la propria morte - sembra un ossimoro - ma è proprio la maniera più efficace di dare un senso alla propria vita. L’evento del morire può rappresentare allora un’ epifania, l’espressione massima e conclusiva di una vita, la risoluzione di un enigma irrisolto, che come un finale di un romanzo ben scritto, lasci in eredità un buon ricordo, un lascito emozionale positivo per chi resta. Per questo sono pienamente convinta che non sia affatto vantaggioso evitare il pensiero della morte (dei nostri cari, la nostra), in quanto pensarci e parlarne in modo realistico, sicuramente migliora anche il nostro vivere quotidiano.

E a conclusione, voglio citare proprio una frase che implica e riassume il messaggio dell’opera stessa: “La vita è preziosa e forse riusciamo ad apprezzarla meglio quando la viviamo consapevoli della sua fine”. Per cui, anche alla luce dell’anno di Master appena terminato, aggiungo e sostengo che sia davvero giunto il tempo di crescere, comprendere e non aver più paura del buio.

La notte non fa più paura” di Kathryn Mannix ( ed.Corbaccio 2018)

 


16 settembre 2024

MARIE LAETITIA BONAPARTE WYSE RATTAZZI A FIRENZE di Caterina Perrone






Se vogliamo immergerci in modo avvincente nella realtà di fine Ottocento, ripercorrendo le tappe fondamentali di Firenze ai tempi che fu Capitale, non si può fare a meno di leggere questo libro, che con precisione, chiarezza e divertimento ci introduce e accompagna in questo affascinante viaggio.

Caterina Perrone ci riesce in modo eccellente attraverso la figura di Marie Laetitia Bonaparte Wyse Rattazzi (un personaggio già nel nome), moglie del ministro Urbano Rattazzi (giunto a Firenze insieme ai piemontesi per governare il Paese) donna assai discussa, per il carattere anarchico, ribelle e anticonformista.

Insieme alla storia della sua provocatoria e piccante personalità, si apprendono la trasformazione della città, i cambiamenti architettonici, migliorie e imbruttimenti, accordi e contraddizioni, ma non solo… anche tutto lo sfarzo, costumi e abitudini, velleità del ceto aristocratico e nobile che si affianca alla triste condizione popolare.

Una donna davvero fuori dalle righe Marie, eccessiva nel bene e nel male, motivo di gelosie, di odio, ma anche di tanta ammirazione soprattutto nel popolo maschile per la sua indiscutibile bellezza unita al fascino seduttivo e al suo carisma. Attiva politicamente, animata da spirito patriottico, ammiratrice di Garibaldi, partecipa alla vita culturale e sociale.

Pittrice caricaturista, scrittrice, poetessa, autrice di testi teatrali di cui ama realizzare i “quadri viventi,” si inserirà nel panorama letterario del tempo con le sue opere. Fondatrice anche di riviste su cui pubblica in maniera autonoma e indipendente, darà libero sfogo alla sua lingua che “taglia e cuce”. Con il suo pamphlet Bicheville attirerà antipatia, freddezza e discordia nella società fiorentina.

In competizione con Emilia Peruzzi, donna di tutt’altro stampo, si contenderà gli ospiti - intellettuali, artisti, politici e stranieri - accogliendoli nel suo salotto azzurro il giovedì  (a dispetto della rivale che riceve nel suo salotto rosso il lunedì)

Grazie all’autrice anche noi lettori potremmo introdurci nell’ambiente riservato, conoscere le conversazioni, gli intrighi, i pettegolezzi… davvero un’occasione unica.

Una lettura fluida, cristallina che arricchisce, offrendo conoscenze, aneddoti, curiosità senza mai appesantire.

Un libro che non deve mancare assolutamente nella biblioteca di coloro che amano Firenze e non solo, perché Caterina Perrone sa catturare i lettori col suo linguaggio preciso, chiaro e coinvolgente e trasportarli nella Storia.

 

“Marie Laetitia Bonaparte Wyse Rattazzi a Firenze” di Caterina Perrone (Angelo Pontecorboli Editore Firenze 2023)

23 agosto 2024

PIOGGIA NERA di Georges Simenon

 

Inserire tra le letture programmate un libro di Simenon è una strategia sempre vincente, un modo piacevole e appagante di rilassare la mente tra generi e stili diversi. Anche Pioggia Nera non ha tradito l’ assioma personale e soprattutto le mie aspettative.

Ambientato nella Normandia di metà secolo scorso, Pioggia nera ha il sapore, profumo e colore  ̶  per le atmosfere cupe e buie  ̶  del romanzo gotico, senza esserlo.

Il romanzo è una narrazione nella narrazione, perché è il protagonista adulto che rievoca con la madre una storia del passato: la caccia all’uomo, un anarchico, padre dell’amico Albert, abitante la casa di fronte. Narrato dal punto di vista di Jérôme ragazzetto di sette anni, si apprezza tutta la freschezza, ingenuità, bontà tipiche dell’età, unite al suo acume, intelligenza e sensibilità. Affacciati anche noi alla finestra a mezzaluna del suo appartamento, dove il piccolo ama trattenersi e giocare con la fervida fantasia della sua mente e il suo sguardo innocente, ascoltiamo le chiacchiere della madre con le clienti nella bottega di stoffe al piano inferiore, partecipiamo alla vita del mercato in strada, intuiamo chi e cosa si muove dietro le tende bicolori della casa dell’amico e di sua nonna, la signora Rambures.

Un fantastico mondo immaginifico turbato dall’arrivo della zia Valérie, un’imponente, superba e ingombrante figura che si inserirà nella vita regolare della famiglia Lecœur e che stravolgerà ogni abitudine e certezza del ragazzino.

Una storia dalla trama semplice ma piena di buon sentimento, una scrittura magistrale, essenziale e precisa, una lettura che coinvolge e appassiona, marchio di garanzia dell’autore.

“Pioggia nera” di Georges Simenon ( ed. Adelphi  2002)

18 agosto 2024

VORTICI di Marco Mannucci

 

Premetto, sono di parte nel recensire “Vortici”, perché conosco lo scrittore  ̶  ho già apprezzato le sue capacità letterarie nei racconti e in “Ai tempi del Biondo” ̶  conosco il medico, ma soprattutto conosco la persona. Marco Mannucci, una volta incontrato non lo si dimentica, grazie alla sua affabilità, gentilezza ed empatia. Ciò vale anche per la sua scrittura, altrettanto avvolgente, espressiva ed elegante dalla penna precisa, corretta, pulita.

Veniamo al libro, e cercherò di non spoilerare, pur parlandone.

Rocco Mazzoni , protagonista del romanzo, è un uomo di umili origini, ex poliziotto, sposato con figli, dall’indole semplice e moderata (all’apparenza) ma un vulcano di pensieri, sentimenti ed emozioni. Fiorentino “adottato” come ama definirsi, ma ugualmente innamorato della Città come ogni cittadino nativo.

L’autore, con maestria e dovizia di particolari, introdurrà noi lettori nella sua vita; al suo fianco vedremo i luoghi abitati dalla sua infanzia, maturità e poi vecchiaia; percorreremo insieme le strade della Firenze rinascimentale, le viuzze di acciottolato, ci fermeremo a chiacchierare nei bar rionali; passeggeremo sulle colline di Firenze, sconfinando anche oltre la Toscana, fino al lago di Bracciano; vivremo storie di amore, affetti, amicizie ritrovate e poi perdute; conosceremo il suo mondo interiore, pensieri, dubbi e paure alimentate da un virus crudele che sta mietendo vittime; entreremo nel suo cuore, pieno di amore ma anche di tanta nostalgia, ricordo di un tempo che non potrà più tornare.

Un viaggio nella Firenze e dintorni, arricchito da una miscellanea di profumi, sapori, suoni, sensazioni tattili unite a descrizioni minuziose che ci calano in maniera realistica nei luoghi menzionati.

Una storia costruita sulle relazioni umane, sui valori dell’amicizia, dell’amore e della famiglia, valori immortali, fondati sul rispetto condiviso. Non manca l’amore per la Viola, molto più di una semplice passione sportiva, ma un’ ulteriore conferma di solidarietà con la Città stessa.

Ma cosa sono i vortici da cui il libro prende il titolo? Mi piace interpretarli come tutte le circostanze impreviste (e nel romanzo non mancano), quelle che con l’irruenza e la forza di un tornado, travolgono e stravolgono la vita di ciascun essere umano, risucchiandolo e trasportandolo in un altrove non scelto. Purtroppo, a volte sono davvero tante e inimmaginabili: compito di ognuno è ricercare comunque la strada che riporta a casa.

“Vortici” è una lettura che rimane dentro per l’intensità dei sentimenti espressi, una prosa dove il passato e il presente si alternano con continui flashback e flashforward, ricca di similitudini, metafore e ossimori nel raccontare in modo originale una realtà “creata”, con un linguaggio appropriato, luminoso e raffinato. Il risultato: una narrativa che profuma di poesia. 

05 agosto 2024

UNA FAMIGLIA LEGGERA di Maria Pia Perrino

 

Rosa, protagonista del romanzo, donna semplice e indipendente, vive precocemente il lutto del marito per un incidente stradale. La sorte benevola le ha lasciato in grembo il suo seme che le farà dono, dopo nove mesi, di una splendida bimba, Eva. Nel romanzo seguiremo la sua crescita, dall’infanzia, adolescenza fino al suo essere donna. Ma Rosa, dal rapporto con Renzo, ha ereditato anche una grande amicizia, quella di Marta e Arturo, una coppia che non la lascerà mai sola e vivendo sotto lo stesso tetto condividerà la routine familiare, nella buona e cattiva sorte. I quattro cresceranno insieme, rappresentando una vera e propria istituzione familiare, anche se diversa, “leggera” appunto, perché non vincolata dagli obblighi della consanguineità ma solo da sentimenti spontanei di affetto, amore e benevolenza.

Non mancheranno anche nell’insolita routine, colpi di scena, repentini cambiamenti, svolte improvvise, come si conviene nell’arte del romanzo, momenti di gioia e tristezza tutti ben ponderati e superati alla luce di un grande e profondo amore per la vita stessa.

La famiglia “leggera” è tutt’altro che superficiale, ma una modalità diversa e nuova di interpretare il legame affettivo nel nucleo più prossimo e intimo identificato solitamente nella parentela tradizionale.

Una lettura che procede spedita per la fluidità, appropriatezza e piacevolezza del linguaggio, costruito con frasi e periodi brevi che come foto istantanee, mostrano la narrazione.

Un libro che, come anche il titolo riporta, si legge con leggerezza, motivo ricorrente nella storia, che non significa affatto superficialità, ma una maniera appropriata giusta e intelligente di approcciarsi e interpretare la realtà.

Una lettura che consiglio, in spiaggia o sotto l’ombra di un albero, all’alba o al tramonto, per lasciarsi trasportare dal sentimento e dall’ emozione, per alleggerire e rinfrescare queste giornate super afose.

Una famiglia leggera” di Maria Pia Perrino ( Ed. Scatole parlanti 2023)

22 luglio 2024

IL BABBO DI PINOCCHIO di Paolo Ciampi

 

Siete proprio sicuri di conoscere il babbo di Pinocchio, il burattino più famoso nel mondo, dal naso “animato” ogni volta che diceva una bugia? Non fate il mio stesso errore credendo si parli di Geppetto, il povero falegname che lo modellò da un pezzo di pino. Sicuramente anche lui, ma in questo libro il babbo di Pinocchio è Carlo Lorenzini, per tutti Collodi e credo proprio che (come me) dopo averlo letto vi renderete conto di quanto poco ne sapevate.

Ce lo descrive molto bene l’autore, nel suo cilindro calcato sul cranio calvo, in abito elegante, gambe incrociate, mani infilate sul panciotto [… ] l’aria  di chi sarebbe propenso al dolce far nienteun pigro indaffarato», seduto su una panchina ad osservare la sua Firenze, « la  città di Acchiappacitrulli» – come ripete più volte all’autore che gli si è seduto accanto –- « degradata, sporca, affollata di accattoni e poveracci. Eppure bella».

È la notte di San Lorenzo, notte magica di stelle cadenti, e tutto può accadere passeggiando per la città festeggiante e affollata di turisti. Anche di incontrare un uomo così speciale.

I due iniziano una conversazione fitta e concitata alternando «silenzi e discorsi che aspiravano alla reciproca sottomissione» aggrovigliando le riflessioni per poi recuperare « il filo della matassa». Non mancano le affinità, punti di incontro e argomenti di interesse comune, fra cui la professione, il legame con la città e l’amore per le parole, « parole che cambiano il corso degli eventi».

E fra una bevuta di birra e un’altra, gli autori si raccontano.

 Carlo Lorenzini, «per tutti  Collodi» narra di sé, delle sue umili origini a fianco della nobiltà, della sua “indolenza” rispetto al fratello Paolo invece più determinato ed equilibrato, del suo lavoro di giornalista, della sua ideologia patriottica … Si scopre in questo dialogare, il vero Lorenzini, un uomo di grande humour, amante dell’alcool e del gioco, « uomo di sfumature, linee d’ombra, confini incerti».

Non mancano le riflessioni e le battute su Firenze e i fiorentini, la Firenze capitale del suo tempo e quella contemporanea, città vetrina affollata di turisti che si abbuffano nei punti ristoro di cui la città è piena o in fila sotto il sole cocente per ammirare i capolavori del Rinascimento, incapaci di abbracciare con lo sguardo la vera bellezza della città. O come puntualizza Carlo Lorenzini stesso: «Una città, dove ogni casa ha la sua eco e le mura filtrano voci. Dove tutti sembrano sapere di tutto e presumono di poterlo raccontare a modo loro. Dove due terzi delle cose si sanno e l’altro terzo si tira a indovinare, ed è quello che davvero conta».

 Non mancano tanti aneddoti, verità e curiosità legati ai luoghi e ai personaggi che li abitano – vera e propria peculiarità stilistica dell’autore – che riescono sempre a meravigliarci.

Un libro indispensabile per conoscere davvero Pinocchio, perché senza la conoscenza del suo “babbo” si apprezza solo in parte il valore dell’opera. E poi c’ è quel nome, Collodi, uno pseudonimo che gli ha portato fortuna certo, ma che suona alle sue orecchie come una condanna, un velo destinato a celare  in modo indelebile la sua vera identità..

Una lettura semplicemente deliziosa, colloquiale – scritta in seconda persona –  scorrevole come acqua dell’Arno, in cui noi lettori come silenziose farfalle abbiamo il privilegio di assistere e seguire i due scrittori nel loro viaggio per vivere la stessa magica avventura, alla scoperta di curiose verità.

E se credete che vi abbia svelato troppo, niente di più sbagliato, c’è ancora molto da sapere, non per ultimo a chi è rivolta questa lunga e interessante chiacchierata.

Il babbo di Pinocchio” di Paolo Ciampi (ed. Arkadia 2023)

04 luglio 2024

MATTINO E SERA di Jon Fosse

 

«Oggi niente è com’è sempre stato, deve essere successo qualcosa, ma che cosa?».

"Mattino e sera," inizio e fine, nascita e morte, e nel mezzo la Vita.

Il protagonista del romanzo è Johannes, un uomo – marito, amante, padre, amico – che vive di pesca in un paesino della Norvegia, dove il rigido inverno spesso non mette cibo in tavola. L’autore è bravo a presentarcelo, svelandocelo con parsimonia; e lo fa attraverso i dialoghi (con la moglie, l’amico Peter, la figlia), i suoi pensieri e le descrizioni che fanno da caposaldo alla narrazione, illustrandoci un mondo interiore, una intimità e sensibilità così delicate e vere che sembra di vederle, toccarle per l’intensità in cui sono rappresentate. Si ripercorrono così gli eventi più significativi della sua vita: l’amore, la famiglia, gli affetti, le amicizie, il lavoro.

Una storia senza tempo o dove il tempo non ha tempo, perché si dilata e si restringe nell’infinità dell’essere.

Una scrittura dallo stile unico e all’apparenza complesso, tanto che non è facile all’inizio calarsi nella pagina e avviare quel processo di decodificazione della frase e del periodo senza l’ausilio di una punteggiatura (il punto nello specifico) a chiusura di un discorso, di un argomento. Incredibile come l’autore sia riuscito alla fine a regalarci un testo così appassionante, mantenendo la prosa comprensibile e sorprendentemente scorrevole (una volta entrati nel ritmo), anzi assai di più senza l’interruzione della punteggiatura. Una narrazione continua come un flusso di pensiero - in terza persona, dal punto di vista di Johannes - in equilibrio assoluto tra spazio e punteggiatura.

Una prosa pulita, essenziale e chiara. Una lettura “leggera” ma che nasconde una grande profondità di sentimento.

Un libro sulla vita, sul valore delle piccole cose.

Un libro sulla morte, sulla “buona morte,” quella che dà un senso alla vita come fine di un percorso di auspicabile e tranquilla serenità.

Un libro che apre le porte alla speranza: «Dove andremo adesso, non è nessun posto e per questo motivo non possiede neppure un nome […] Pericoloso è una parola, non esistono parole dove andremo […] Non esistono corpi dove andremo, quindi non esiste dolore […] Non esiste nessuna sofferenza, nessun tu e io dove andremo […] Non si sta né bene né male, ma è grande e tranquillo e vibrante e luminoso […] Tutto è uno e allo stesso tempo diverso, è uno eppure è proprio quello che è, tutto è diviso eppure senza divisione e tutto è tranquillo».

Una lettura che rimane attaccata alla pelle anche a libro chiuso e che penetra negli strati più profondi della coscienza, come un balsamo che evapora lentamente ma che rilascia le sue proprietà benefiche. Una lettura che fa riflettere sulla nascita e sulla morte, certezze uniche dell’esistenza alle quali nessuno può sottrarsi, restituendocele in tutto il loro valore intrinseco, in una dimensione di pienezza, gioia, serenità e dignità.

Un libro che tutti dovrebbero leggere per acquisire conoscenza e conferire la giusta connotazione all’evento più naturale e certo che è il fine vita.

“Mattino e sera” di Jon Fosse ( ed.La Nave di Teseo 2023)